Oggi voglio raccontarvi due episodi della mia vita, due momenti completamente differenti che però, nel tempo, mi hanno sempre dato da pensare all'abisso profondo di sentimenti, consapevolezza, intelligenza e sensibilità che si cela dietro allo sguardo spesso imperscrutabile di un animale. Siamo portati a considerare i nostri gatti come allegri birbanti, simpatici giocherelloni, curiosi esploratori, pigri dormiglioni, quasi avessero un animo eternamente bambino. Siamo abituati a vederli esprimere, al massimo, disappunto per le nostre stranezze, oppure irritazione per i divieti che imponiamo loro nella nostra convivenza. Se li portiamo dal veterinario potremo vedere la loro paura e difficoltà nel gestire situazioni impreviste, se hanno modo di incontrare un loro simile "invasore" del loro territorio, potremo vedere la loro aggressività. I gatti di un gattile spesso esprimono
tristezza e avvilimento, come ho già avuto modo di raccontarvi.
Difficilmente però assistiamo da parte di un gatto all'espressione di uno stato d'animo più complesso, come può essere ad esempio la speranza. E non parlo della normale, quotidiana aspettativa fiduciosa di ricevere la propria porzione di croccantini o le coccole, parlo di quella speranza esistenziale, intima e radicata che noi esseri umani riserviamo alle cose di cui più ci importa, quella speranza che, se delusa, fa davvero male, spezza il cuore.
Avete mai visto ad un gatto spezzarsi il cuore? Perchè succede, anche a loro.
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Orlando, uno dei gatti adottati al Gattile di Ferrara |
La speranza è l'ultima a morire.
Nell'agosto del 2009 in famiglia dovemmo affrontare le perdite dei nostri amati gatti Trilli e Nico. Erano rispettivamente la mamma e il fratello di Paciocca, e se ne sono andati entrambi a causa di incidenti stradali. Morì prima Trilli e, dopo cinque giorni, Nico, probabilmente andato alla ricerca disperata della madre.
Anche Paciocca si era certamente accorta dell'assenza della mamma - per quanto fossero già tutti adulti e Trilli avesse smesso da almeno 6 mesi di trattare i suoi figli amorevolmente... anzi, era una gatta piuttosto stizzosa - ma, meno intraprendente di Nico, non si era azzardata ad allontanarsi da casa. Nico invece, animo esploratore e indomito come la madre, era partito irrimediabilmente, per non tornare più. Il pomeriggio che non lo vidi più in giardino, cinque giorni dopo la morte di Trilli, sentii una morsa di gelo nel cuore. Servì a poco chiamarlo per ore, dal primo pomeriggio fino a notte fonda. Nico non tornò mai più e quando, il giorno successivo, ne trovai il corpo esanime, fu solo l'ultima, tremenda conferma di qualcosa che avevo già intuito. Io ero francamente distrutta, non ci sono molte altre parole. Non occorre stare a spiegare che "era solo un gatto"
è una frase completamente priva di significato, quando dobbiamo
affrontare la perdita di qualcuno che amiamo, umano o non umano che
sia.
Per Paciocca fu diverso, non potevo spiegarle a parole quello che era successo e non le avevo certo mostrato il corpo del fratello senza vita. La mia gatta - con cui allora, se paragonato al rapporto intenso che avevo con Trilli e Nico, non c'era ancora un feeling approfondito - apparentemente non tradiva alcuna particolare emozione: sempre discreta e riservata, Paciocca sembrava tranquilla come se non fosse cambiato niente. Ma era ovvio che anche lei dovesse provare qualcosa, fosse anche solo inquietudine: nel giro di cinque giorni erano spariti due componenti fondamentali (forse all'epoca, i più importanti) della sua famiglia.
Ebbene, arrivo al dunque, per raccontarvi l'episodio che mi spezzò il cuore, e probabilmente anche a Paciocca. Non credo di aver mai assistito prima alla palese manifestazione di una chiara speranza e felicità esistenziale da parte di un gatto, per aver ritrovato qualcuno di amato che si era perduto. E al successivo smarrimento nel comprendere che in realtà non è così.
Nico mancava ormai da 48 ore e, se io stavo già volente o nolente affrontando il lutto, per Paciocca non c'era ragione di pensare che i suoi compagni felini non potessero tornare da un momento all'altro. Distrattamente, spostai in cucina (il posto preferito di Paciocca) un cesto che negli ultimi tempi usava solo Nico, senza cambiare la coperta di pile che vi era dentro.
Paciocca si avvicinò al cesto e, non appena vi fu entrata, annusando la coperta iniziò a fare profondissime fusa, mentre con le zampe scavava nel panno con convinzione, rovistando tra le pieghe alla ricerca del fratello, convintissima che fosse finalmente lì, tornato a casa. Mentre la osservavo ripresi a piangere silenziosamente, perchè non potevo spiegarle niente, non avevo modo di comunicarle che Nico non sarebbe più tornato, e che per quanto lei potesse cercarlo in quella coperta ancora impregnata del suo odore, non l'avremmo visto più. Man mano che i secondi passavano e Paciocca, pur avendo praticamente rivoltato in tutto e per tutto la coperta con le zampe, si rendeva conto che lì il fratello non c'era, smise di fare le fusa. Mi guardò, dal cesto, interdetta. L'olfatto le aveva giocato un brutto scherzo, Nico non era ritornato. Il mio cuore, già in lutto, quel giorno si spezzò di nuovo, nel capire che Paciocca, nella sua apparentemente composta tranquillità, stava invece sperando tanto quanto avevo sperato io di rivedere suo fratello... e quando avrebbe capito, in un modo o nell'altro, che Trilli e Nico non sarebbero tornati mai più da lei, sarebbe stata male esattamente come me.
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Paciocca! |
Un tradimento è un tradimento.
Il secondo episodio è ben più recente, e risale a quando dovetti portare a malincuore
Silver in gattile. Dopo un paio di giorni che avevo lasciato il micio là, visibilmente confuso e disorientato, tornai a trovarlo. Per me il giorno peggiore era stato esattamente quello della decisione di affidarlo al gattile, unitamente al momento concreto in cui lo avevo chiuso nel trasportino - lui sempre fiducioso - e portato nella struttura. Per lui quel giorno deve essere stato senz'altro traumatico, ma è stato due giorni dopo credo di averlo davvero "ferito a morte", almeno a livello sentimentale. Fino a quel momento c'era, per lui, ancora la possibilità che il trasferimento in gattile fosse una specie di lunga permanenza da un veterinario, un viaggio inspiegabile ma temporaneo, certamente un errore. Perchè mai avrei voluto portarlo via da casa e lasciarlo nella gabbia di un gattile? Non c'era ragione, ci volevamo bene. E mi dimostrò con i fatti questo logico ragionamento, dal momento che non appena mi vide sulla soglia della stanza dove stava la sua gabbia, si drizzò subito in piedi, con la coda alta e vibrante, facendo un sacco di miagolii felicissimi. Anche io ero ero felice di vederlo, avevo voglia di coccolarlo di nuovo, anche per capire come effettivamente avesse preso l'entrata in gattile. E quello che accadde poco dopo spezzò il cuore a entrambi.
Mi avvicinai alla gabbia (in gattile i primi giorni i gatti vengono tenuti lì, perchè si "abituino" in sicurezza agli altri felini della stanza) e la aprii: subito Silver si sporse per farmi un mare di fusa e darmi le sue usuali testatine, mi mise anche le zampe sulle spalle come era solito fare, per poi "appollaiarsi" tra collo e schiena. Io non lesinai coccole e grattini, e le frasi tipicamente "dolci" che si riservano ai gatti di famiglia. Ma quando lo ricollocai nella gabbia, sempre aperta, restando ferma lì davanti e continuando a fargli le coccole, senza però accennare a rimetterlo in un trasportino, o a portarlo fuori dalla stanza... qualcosa si ruppe.
Le fusa diminuirono, l'entusiamo calò all'improvviso e Silver, dopo avermi dato un'ultima occhiata, si appallottolò nella gabbia, voltandomi le spalle, come se all'improvviso non avesse più importanza che ero venuta a trovarlo. La gabbia era ancora aperta, io ero ancora lì davanti a lui che gli accarezzavo la testa, il collo, le orecchie... ma lui aveva capito, dopo averci creduto davvero, che quel giorno non ero venuta per riportarlo a casa e che lui sarebbe rimasto lì. E questo era tutto, non c'era più speranza, non c'era più dubbio: non mi ero sbagliata, il gattile non era temporaneo, non era uno brutto scherzo, il mio era stato un abbandono, un tradimento in piena regola.
Mi viene ancora la pelle d'oca a pensare a quel momento, quando si girò di spalle e si appallottolò di fronte a me... non tanto per il rifiuto che mi propose, che capisco e che era inevitabile, quanto per aver assistito esattamente all'attimo in cui ho deluso, tradito la speranza viva e fiduciosa di un gatto che mi ha voluto bene, che chiaramente aveva creduto che io fossi tornata per riportarlo a casa, mentre invece gli ho dato l'orribile conferma di averlo - nella pratica - abbandonato definitivamente.
Le volte seguenti in cui tornai al gattile, quando Silver era già libero e inserito nella comunità felina della struttura, con me non fu mai scostante o indifferente, anzi era sempre ben disposto alle coccole, ma non vidi mai più quell'entusiasmo, quella felicità, quella confidenza speciale che si riserva a una persona amata. Beneficiava delle mie coccole più o meno come di quelle di chiunque altro. L'avevo abbandonato, non ero più la sua famiglia. Nei confronti di un gatto non conta meno, un tradimento è un tradimento.
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Silver: se vi siete persi la sua storia e volete sapere come è andata a finire, potete leggere qui e anche qui. |
Ora, non so cosa ne pensiate di questi due episodi che vi ho raccontato. Chi non ha esperienza di gatti potrebbe perfino commentare che ho esagerato nell'interpretarli, caricando di troppo significato gli atteggiamenti di Paciocca e Silver... eppure ogni volta che ci ripenso, le mie conclusioni sono sempre queste. Perfino chi conosce e già ama
moltissimo i gatti, potrebbe comunque stupirsi della profondità e
sfaccettatura dei loro sentimenti, che si avvicinano molto ai nostri...
Io stessa, nel rendermi conto di quanto a fondo arrivasse la
consapevolezza felina, mi sono sentita estremamente toccata. Per quanto
mi sforzi, resta anche in me quella tendenza
antropocentrica a considerare l'essere umano "su un altro piano",
rispetto alle altre creature viventi. Come se i nostri sentimenti fossero di serie A, rispetto ad altri. E capire che invece non c'è poi
tanta differenza tra le speranze, le delusioni, il senso di abbandono che possono abitare nel
profondo dell'animo umano e di quello non umano, mi ha dato parecchio da pensare. Immagino
che il mio discorso valga per qualsiasi altro animale dotato di un
certo livello di intelligenza e sensibilità, ma non ho modo di dimostrarlo con altre testimonianze... ben volentieri ascolterò le vostre, anche riguardanti altri animali.