La scorsa domenica ero in giardino, con il proposito di piantare una cinquantina di bulbi di crocus. La giornata prometteva pioggia, il terreno era già umido per il maltempo delle settimane passate, Paciocca fedelmente seduta a pochi passi da me, che sorvegliava tutte le operazioni. Ho iniziato quindi con la vanga a smuovere la terra, diserbando da radici e piante moleste, per preparare la dimora dei bulbi. Tutto sembrava andare per il meglio, quando malauguratamente, all'ennesimo affondo della vanga, ho sentito un gemito, chiaramente di dolore, provenire dal terreno. Mi si è stretto il cuore, gelato il sangue, so bene che il terriccio non geme, così come so bene quanto universale sia un lamento di dolore. Scavando con delicatezza usando le dita, ho trovato un povero rospo, che evidentemente si era già interrato per il letargo: con la vanga l'ho ferito al muso. Per fortuna non ho colpito parti vitali, nè arti o occhi, ma ero addolorata e mortificata, nel vedere il taglio sanguinante sul suo musetto. Quello che ho fatto successivamente temo sia stata altrettanto un gesto sbagliato, purtroppo non me ne intendo abbastanza di rospi, e ho cercato di agire seguendo il buon senso. Ho deposto il povero anfibio, spaventatissimo e disorientato (se era già addormentato per il letargo, che risveglio orribile...), in una buca di terra smossa, mezza coperta da una pianta verde; ho pensato che avrebbe così potuto scegliere cosa fare. Ho cercato di lasciarlo tranquillo ma osservandolo, mentre piantavo i miei crocus con il cuore pesante.
Crocus fioriti. Foto da Wikipedia, autore BenHur. |
Dopo una decina di minuti il rospo è uscito dalla buca di terra e ha iniziato, con circospezione, ad allontanarsi nell'erba, probabilmente per fuggire da me che ero ancora nei paraggi, con i miei bulbi da piantare. Osservandolo da vicino, ho visto che la ferita non sanguinava più e per questo ho deciso di non trattenere il rospo, nella speranza che il taglio possa rimarginarsi senza problemi e confidando che, essendo appena all'inizio dell'autunno, poi l'animale potrà riprendere il suo letargo. Ho fatto la scelta giusta? Documentandomi in seguito, purtroppo ho capito che sarebbe stato più saggio trattenere comunque l'animale, per portarlo quando possibile a un Centro di Recupero per le dovute cure, scongiurando infezioni. Purtroppo si impara solo sbagliando, sarò più preparata nella prossima eventualità di trovare un rospo ferito. In ogni caso, ero così addolorata e costernata per l'accaduto che ho voluto fare una piccola donazione a favore di un'associazione che si occupa del recupero di animali selvatici feriti (purtroppo non ho trovato raccolte fondi specifiche per i rospi). E' una cosa che ho sempre fatto nei (per fortuna rari) casi in cui ho provocato un danno, anche se ovviamente involontario, alla natura. Il fatto che si sia trattato di un incidente non lo rende meno doloroso o più giustificabile, anche se nella mentalità umana può essere così: "Non l'hai mica fatto apposta, non potevi prevederlo, pace e amen". Un ragionamento che applichiamo in realtà soltanto agli animali, perchè se arrechiamo danno involontario a un nostro simile, giustamente dobbiamo anche pagarne le conseguenze. Come se la nostra responsabilità valesse solo verso gli esseri umani, ma non verso il resto del mondo vivente. E insomma, la mia donazione a favore di chi lavora per salvare animali feriti non ripara il mio danno, non aiuta quel rospo, nè può essere un modo per sentirmi la coscienza a posto: la mia sensibilità non me lo permette. Ma è l'unico modo che conosco per bilanciare, almeno un po', il male che quel giorno ho provocato e di cui sono responsabile. L'unico modo che mi viene in mente per far sì che da questo incidente derivi, almeno, anche un po' di bene. Unitamente alla consapevolezza di stare più attenta nei miei lavori di giardinaggio, soprattutto in determinate stagioni, ma anche di essere più pronta ad agire meglio, di fronte a un povero rospo ferito.