lunedì 30 settembre 2019

Greta Thunberg, necessaria ma non sufficiente

Nelle scorse settimane Greta Thunberg è salita di nuovo alla ribalta grazie alla sua partecipazione al vertice ONU sul clima e soprattutto in virtù della clamorosa adesione in tantissime nazioni ai vari "scioperi per il clima", da noi svoltosi con straordinario successo lo scorso venerdì. Piazze e strade piene, colme di giovani più o meno arrabbiati, più o meno consapevoli, a richiedere a gran voce che i nostri governanti ascoltino il grido di sofferenza del pianeta, agendo immediatamente di conseguenza con politiche verdi concrete e urgenti. 
Sono rimasta piacevolmente colpita dalla grande adesione che Greta è stata in grado di suscitare tra il pubblico giovanile (e non solo): dobbiamo esserle grati per aver reso il "problema ecologico" qualcosa di quotidiano per cui battersi a tutti i livelli della società... finalmente la crisi ecologica non è più solo appannaggio della comunità scientifica che, da decenni, non sa più con quali altri mezzi e quali altre parole comunicare la grave emergenza e richiamare l'attenzione della politica e dell'economia, le due ruote che fanno girare la nostra società. Potere e soldi. Non mi illudo che migliaia di giovani abbiano più voce in capitolo degli scienziati, ma magari una protesta così plateale e trasversale può coinvolgere anche altre fasce della popolazione. 

Greta Thunberg, foto di Anders Hellberg su Wikipedia.

Ma c'è un ma. Ho letto moltissimi articoli, commenti e approfondimenti sulle proteste studentesche dello scorso venerdì, seguito trasmissioni a livello nazionale e locale. Sono riuscita però a focalizzare con lucidità cosa mi stonasse, nel vedere quei lunghi cortei e quella rabbia giovanile, solo quando ho letto il magnifico post di Dario Bressanini, che vi invito caldamente a leggere con calma. Apprezzo Bressanini - "amichevole chimico di quartiere" ed eccellente divulgatore scientifico - da anni... ma trovo che nel suo articolo sia riuscito, sinteticamente per quel che era possibile, a centrare esattamente il problema: Greta Thunberg e la protesta giovanile sono necessari, ma certo non sufficienti.
Perchè? Perchè la crisi ecologica è complessa, talmente complessa ormai che non necessariamente potremo ancora trovare il bandolo della matassa da cui cominciare. Non si tratta solo di volontà personale o collettiva, nè solo di decisioni singole o politiche... il punto è che le rinunce efficaci che la crisi ecologica ci imporrebbe (ed è un "ci" rivolto all'intera umanità, riguarda tanto me, quanto Donald Trump, quanto un bambino povero del Congo) sono attualmente impensabili. Bisognerebbe intanto riuscire a considerare e gestire il nostro pianeta come se fosse davvero "un'unica Terra" (che paradosso, dato che lo è!)... invece l'umanità è nettamente divisa per ricchezza, povertà e culture inconciliabili. Come seguire allora una linea comune? E qualora anche si riuscisse ad individuare una sorta di politica mondiale condivisa, davvero riusciremmo tutti a vivere con meno, con poco, per certi versi con niente? Davvero saremmo disposti a rinunciare all'auto, ad avere più di un figlio o forse perfino nessuno (eccolo, il grande convitato di pietra nella questione ambientale), a un'alimentazione pure moderatamente onnivora, al nostro stile di vita insostenibile? Perchè di questo si tratta, con buona pace sia della rabbia degli studenti, sia dell'indifferenza di fondo dei politici.
Sono argomenti scottanti, spinosi, dolorosi e scomodi... e con questo non voglio certo gettare la spugna e dire che il poco che facciamo nel nostro quotidiano non conti: conta certamente, per la nostra coscienza personale, per non tirarci indietro e per farci trovare già pronti ad accogliere un cambiamento sostanziale, se mai dovesse arrivare. Ma non dobbiamo farci troppe illusioni: ciascuno di noi, proprio come Greta, è necessario ma non sufficiente. 
E così ha ragione Bressanini quando sostiene che l'unica speranza che abbiamo è che l'umanità riesca a comprendere e gestire la complessità del problema ecologico: una crisi che non si risolve certo solo con la scienza acclamata dai ragazzi e da Greta, perchè invece oggi è l'economia il terreno fondamentale sul quale innestare i semi del cambiamento, passando per la politica e le scienze sociali. 
Ce la faremo, o è già troppo tardi? La protesta di Greta Thunberg riuscirà a scalfire davvero lo scudo di disinteresse della politica mondiale, andando a sostituire almeno alcuni degli interessi meramente economici con quelli ambientali? E noi piccoli cittadini, del nostro paese e del mondo intero, avremo mai la speranza di vedere i nostri gesti quotidiani di rispetto per la natura avere un qualche peso - oltre a quello educativo e di principio - per la salute del pianeta?

lunedì 23 settembre 2019

Il vivere, tra il distaccato e il "promiscuo", con i gatti

Oggi un post forse un po' "scomodo", che sicuramente non mancherà di accendere in voi una ben precisa opinione. Recentemente, per varie ragioni, mi è capitato di riflettere sulle abitudini di vita e di condivisione della casa che si instaurano con il proprio gatto (o i propri animali, più in generale). C'è chi il micio lo fa dormire accanto a sè sotto le lenzuola tutte le notti, chi non fa una piega nel vederlo saltare sul top della cucina, sul tavolo o sui vari pensili, chi invece addirittura gli sbarra stanze della casa "vietate" e gli riserva eventualmente solo le zone "di servizio" (ingressi, magazzini, sgomberi) della propria abitazione. Ora, dove sta la giusta condotta? A mio parere prima di tutto si tratta di capire se il gatto è davvero considerato parte integrante della famiglia, oppure se è un "membro minore" che non può accedere alla sfera (ambientale e affettiva) più intima del nucleo famigliare, ma oltre a questo non basta: servirebbe sempre quella certa dose di buon senso che aiuti a mediare tra necessità igieniche e necessità sentimentali.


Il gatto da cortile "cattura topi"
Questa situazione è oggi sempre meno diffusa, ancora esistente soprattutto nelle campagne e nelle famiglie "di una certa età" con una mentalità antiquata: il felino domestico, adottato con l'intenzione primaria di avere un "cattura topi", viene tenuto solo all'esterno dell'abitazione, nel cortile. Qui gli si può organizzare un giaciglio e un riparo più o meno solido: eventualmente lo si fa entrare in un capanno per gli attrezzi o in un magazzino, oppure gli si prepara una cuccia sotto un portico o una tettoia. Non si tratta necessariamente di una relazione anaffettiva nei confronti del gatto, che pure viene coccolato (in cortile) e nutrito, eppure è la situazione in cui l'animale non fa davvero parte della famiglia - non più di quanto lo farebbero le galline del pollaio, che altrettanto vengono nutrite e messe al riparo durante la notte. 
Si tratta ancora di una visione estremamente "strumentale" dell'animale, al pari di un cane da caccia addestrato unicamente per questo, che spesso trascorre la sua settimana in un box e trova la libertà e la condivisione del tempo con il proprio "padrone" solo nelle infauste battute di caccia del weekend. Che si può dire di questo tipo di rapporto con i propri animali? A mio avviso ci troviamo al limite estremo inferiore per disponibilità affettiva e vero interesse a sviluppare una relazione nei loro confronti. Per fortuna, sono casi sempre meno diffusi, ormai reperti di una mentalità di cent'anni fa.




Il gatto si ferma qui, perchè "sporca"
Siamo ad una piccola evoluzione della situazione precedente: il micio viene adottato con le migliori intenzioni, con l'idea di fornirgli cure, nutrimento e coccole, eppure non viene ammesso a pieno titolo nella vita della famiglia. La questione parte essenzialmente come un problema di "igiene ambientale": si crede - ancora un pregiudizio vecchio di cent'anni - che il gatto sia "sporco" e quindi che non gli si debba concedere pieno accesso a tutta la casa. Gli vengono riservate alcune stanze "di servizio", come ad esempio un ingresso secondario o uno sgombero, il magazzino, una lavanderia... anche in questo caso spesso si tratta di famiglie "vecchio stampo", che risiedono in case di campagna dotate di tante stanze e di tanti ambienti "di lavoro" nella propria abitazione. 
Ma in questo modo la zona più "viva" dell'abitazione, come la cucina e il soggiorno, dove si consumano e avvengono normalmente tutti i momenti più importanti della routine pratica e affettiva famigliare, non viene mai aperta al gatto, che ne resta escluso. L'esilio ambientale comporta di conseguenza anche un esilio sentimentale e relazionale, per cui il micio non può partecipare a quei momenti nella giornata in cui potrebbe dare un proprio apporto fondamentale, andando a costruire con gli umani della famiglia una relazione ben approfondita e sfaccettata. Ad esempio è un gatto che non si accoccolerà mai sul divano per guardare la tv o leggere un libro in compagnia della sua famiglia, nè salirà mai sulla sedia della cucina durante la cena o il pranzo, per seguire - a suo modo - le chiacchiere degli umani. 
La tristezza più grande è data dal fatto che in realtà questa situazione è frutto di un pregiudizio totalmente campato in aria: come se tenere il gatto fuori casa garantisse un'igiene e una salute migliori per i famigliari. Non sono nuovi gli studi che, invece, hanno dimostrato come la presenza di animali nella propria abitazione riesca a stimolare positivamente il sistema immunitario (soprattutto dei bambini), rafforzandolo. Certo, serve buon senso.




Il gatto uno di noi, ma diverso da noi
Questa linea di condotta è quella che fondamentalmente mi appartiene, quella che metto in pratica e, lungi dal dichiarare di avere la verità in tasca, credo sia piuttosto equilibrata tra le necessità igienico-sanitarie e la volontà di instaurare con il proprio animale un rapporto profondo e il più possibile completo, ben integrato nella vita famigliare.
In questo caso, al gatto viene concessa piena libertà di circolare nell'abitazione, nessuna porta gli viene sbarrata nè alcuna stanza vietata, eppure fin dai primi giorni dell'adozione vengono fissati alcuni limiti fondamentali per una convivenza "igienica". Ad esempio, anche se le porte delle camere da letto sono aperte e l'ambiente è sempre accessibile al micio, il letto è off-limits: il gatto non dorme sotto le lenzuola, nè sulle coperte. Allo stesso modo, in cucina il micio può comodamente sedersi e appallottolarsi sulle sedie, ma il tavolo, il top della cucina (peraltro pericolosissimo a causa del piano cottura) e i pensili non devono essere "territorio accessibile" al gatto. 
In questo caso il micio è parte integrante della famiglia, ha l'occasione di partecipare ad ogni momento "conviviale" o meno dei componenti del gruppo e ha la possibilità di accedere interamente a tutta la casa che diventa pienamente anche sua, sapendo però di avere alcuni precisi limiti.
Qual è il trucco? I trucchi sono due:
- Avere l'occasione di adottare un gattino di pochi mesi, per potergli insegnare fin da piccolo queste abitudini di vita (con un gatto adulto, già abituato diversamente, è un'impresa molto più difficile e non sempre producente... e non si può neppure biasimare troppo il micio, qualora continuasse a ripetere atteggiamenti non graditi che però aveva già interiorizzato nella sua "vita precedente");
- MA SOPRATTUTTO: fornirgli sempre le alternative più che adeguate. Non volete che il vostro micio salga sul letto? La soluzione non è sbarrargli la porta della camera da letto (questo equivale per lui ad una sfida ancora più stuzzicante), bensì fornirgli nella stessa stanza un giaciglio altrettanto appetibile (no, di solito non basta un tappeto per terra...), come ad esempio un cesto imbottito, una poltrona "sacrificabile", una nicchia con un pile tutto per lui. Questo vale un po' per tutte le zone della casa: la libertà di andare ovunque, il limite di avere spazi per noi e spazi per lui, condivisi nella stessa stanza. Questo di solito funziona sempre. 

Paciocca sul divano di casa mia
I gatti sono animali estremamente intelligenti e sensibili, in grado di cogliere sottigliezze sorprendenti. Per cui anche i limiti che per me sono fondamentali per una corretta igiene in cucina, su cui non sono disposta a transigere in nome di nessun buon rapporto con il mio gatto, vanno insegnati con buon senso. La mia gatta è abituata al divieto assoluto di salire sui ripiani dei mobili e delle librerie, ma soprattutto sul tavolo e sul top della cucina. Eppure, nel tempo, le è stato invece concesso di salire sulle due scrivanie di mio padre, accovacciandosi volentieri su pile di quotidiani da leggere o documenti vari. Altrettanto le viene sporadicamente concesso di salire sul tavolo del soggiorno (dove talvolta mangiamo) quando c'è forte temporale: è estremamente spavantata e si sente al sicuro solo lì. Lei sa bene che in altre condizioni non le sarebbe concesso, noi sappiamo altrettanto bene che è un'eccezione derivante dalla sua paura. Per cui noi tolleriamo e passato il temporale puliamo il tavolo, e con il bel tempo la nostro micia non si è mai sognata di salirci per capriccio. Come dicevo: buon senso... da parte di uomini e gatti. 
Spendo ancora una parola su questo "regime" vigente in casa mia: mi rendo conto che probabilmente l'equilibrio che siamo riusciti a trovare con la nostra gatta Paciocca deriva anche dalla sua possibilità di uscire in giardino e di sfogare tutta la sua voglia di esplorare, arrampicarsi, farsi le unghie e cacciare nell'ambiente esterno. Un'altra cosa su cui, ad esempio, non sono mai dovuta intervenire, è stato il farsi le unghie sui divani o sui mobili di casa: mai successo, forse perchè è la mia gatta per prima che trova più confortevole grattare la corteccia degli alberi che ha a disposizione. Allo stesso modo, dal momento che Paciocca può arrampicarsi su querce enormi, pioppi e ginkgo biloba, non credo che possa mai trovare una libreria particolarmente accattivante, una volta rientrata in casa. 
Capisco che la cosa possa cambiare nel caso di gatti "unicamente di appartamento", per cui anche in questo caso dovrebbero raddoppiare gli sforzi per fornirgli un arredamento "a sua misura", in modo da rendere ragionevole un eventuale divieto nei confronti di uno specifico tavolo, un tale complemento d'arredo, ecc...

Paciocca si stira soddisfatta sulla scrivania di mio padre

Il vivere "promiscuo" con il proprio gatto
Arriviamo a quello che identifico con l'altro limite estremo: il gatto ha pieno accesso a tutta la casa, condivide con noi tutti i momenti importanti della nostra routine famigliare, ma non incontra neppure un divieto. Per cui il micio dorme sotto le coperte con i propri famigliari, può tranquillamente saltare e accedere ad ogni piano e arredo disponibile, compresa la cucina. Ho assistito di persona a gatti che stavano tranquillamente appollaiati sul top della cucina o sul tavolo da pranzo, mentre il resto della famiglia preparava da mangiare a poche spanne di distanza o apparecchiava senza troppi problemi, oppure persone che prendevano the e biscotti con il micio adagiato sulla tovaglia vicino alla zuccheriera. Generalmente questo atteggiamento si riscontra soprattutto nelle famiglie che adottano un gatto e lo possono tenere solamente in appartamento. In parte diventa una necessità concedergli la totale libertà, soprattutto nel caso di famiglie lavoratrici (come ormai quasi tutte) che trascorrono buona parte della giornata fuori casa e quindi non possono davvero "controllare" le azioni del gatto, che con buona pace diventa il padrone solitario e incontrastato dell'abitazione per tante ore... in parte, secondo me, ci si "nasconde" dietro alla scusa che "tanto il gatto non esce, è pulito". Da "è sporco" a "è pulito": da un estremo all'altro. 
Un gatto non è nè sporco, nè pulito: è un gatto.
Ora, comunque voi la pensiate, anche se è certo che un animale che può cacciare topi, lucertole e uccellini verrà a contatto con tanti più batteri, parassiti e microrganismi, è altrettanto certo che anche i gatti di appartamento defechino e - dato che non hanno altro modo - si puliscano con la stessa lingua con cui si puliscono il resto del mantello e delle zampe. Per cui quando io vedo un gatto d'appartamento traquillamente seduto sul tavolo dove poco dopo si mangerà, o un micio che cammina placidamente sul top della cucina e si "snuma" sul rotolo di carta assorbente, sapendo che prima ha camminato per terra dove io stessa ho camminato con le mie scarpe fatte di mondo, mi dispiace ma non riesco ad approvarlo. 
Per carità: sono convinta che non sia mai morto nessuno, nè probabilmente nessuno morirà mai, facendo dormire il gatto sotto le proprie lenzuola (e credo anche che sia una sensazione molto bella!) o facendo camminare il micio sulla propria cucina... però trovo anche che sia un eccesso di "promiscuità" che non va assolutamente ad aggiungere niente all'intimità e alla solidità relazionale con il proprio gatto.  



E voi come vi comportate? Siete riusciti a instaurare con il vostro gatto una serena convivenza, oppure ancora dovete battagliare per insegnargli determinate abitudini? E ancora: rinuncereste mai a dormire con il vostro micio in nome dell'igiene, oppure credete che non debba esserci limite alla condivisione fisica e affettiva con il vostro animale? Spero che questo post, nel quale mi sono apertamente schierata a favore di una specifica posizione, possa essere occasione di confronto e riflessione. Raccontatemi tutto!

sabato 7 settembre 2019

La frase del giorno: Vladimir Nabokov

"Osservare le farfalle è gioia pura: ...è un'attività che, se non sconfigge il tempo, almeno lo sospende, tutto il resto intorno si scolora e rimane solo l'attimo che stiamo vivendo."
 
Vladimir Nabokov

Uno dei "miei" macaoni adulti
 
... ed eccolo nella versione bruco! Quale preferite?

Quante volte ho pensato esattamente la stessa cosa! Osservare le farfalle (e tanti altri insetti interessanti, a dire il vero...) mi ha sempre rapita dallo scorrere del tempo e dalle preoccupazioni del giorno, regalandomi attimi sospesi tra la curiosità pura, l'entusiasmo e l'apprezzare una bellezza mai scontata. E quante cose che continuo a imparare, anno dopo anno... anche quando credo di essere sufficientemente esperta, ecco che mi sorprendo a scoprire qualcosa di nuovo!
Quest'estate sono stata molto fortunata e, benchè non me ne sia presa cura personalmente quasi mai, ho potuto osservare ben due generazioni di macaoni sul mio finocchietto. Le ben quattro piante di ruta adiacenti, altrettanto nutrici per i bruchi di questa farfalla, sono state invece completamente ignorate. Ma veniamo a noi... questa volta la fortuna maggiore, per la prima volta, è che ben tre bruchi hanno deciso di impuparsi direttamente sulla pianta del finocchietto, cosicchè ho potuto seguire i loro progressi fino allo sfarfallamento... direttamente in natura!
 

 

Va comunque detto che una parte dei bruchi, anche quelli che erano riusciti a diventare grandi e ciccioni, a un passo dall'impupamento è stata predata all'improvviso. Fa parte delle feroci regole della natura... ma per quest'anno non ho potuto fare diversamente: per una serie di ragioni non sarei riuscita ad allevare i bruchetti in cattività con tutte le giuste cure, per cui ho lasciato fare al corso naturale degli eventi. Sono intervenuta solo in due casi, all'ultimo... di cui poi vi racconterò!
 
Ecco il bruco correttamente "agganciato", in attesa di trasformarsi in crisalide

Ed ecco la sua crisalide, perfetta, a distanza di diverse ore!
 
La prima generazione (giugno-luglio, quest'anno) di tre bruchi, individuati già quando erano abbastanza grandi (quindi probabilmente erano anche di più, in origine), si è "risolta" in una sola crisalide, che ha sfarfallato presumibilmente con successo mentre io ero in vacanza.  
Ciò che mi ha riempita di gioia è stato, in agosto, osservare ben altri quattro bruchi novelli, sul finocchietto... evidentemente almeno una coppia di macaoni ce l'ha fatta a riprodursi e la femmina è tornata sulla mia pianta a deporre le uova! Una grande soddisfazione, mista a un cauto sollievo, che fa ben sperare per il futuro... per anni e anni, di macaoni non c'è stata più traccia dalle mie parti (mentre invece erano molto numerosi quando ero bambina). 
Di questa seconda generazione uno dei quattro bruchi è sparito all'improvviso e senza purtroppo farmi sperare di essersi impupato da qualche parte nascosta: fino all'ora precedente stava benissimo e non dava segni di inquietudine (mentre i bruchi pronti per l'impupamento sono agitatissimi), poi è sparito all'improvviso. Voglio solo sperare che sia andato a beneficio di qualche nidiata di uccellini affamati...
 
 

Gli altri tre bruchi hanno avuto invece tutti una lieta conclusione! Uno in realtà l'ho avvistato quando era proprio già "agganciato", pronto a fare la crisalide da lì a un giorno. Il nostro è rimasto in forma di crisalide una decina di giorni, prima di sfarfallare in un fiero macaone... presumibilmente un maschio, osservando la forma dell'addome.
Anche il secondo bruco ha completato tutto il processo senza difficoltà... l'unico problema è stato un malefico moscerino che continuava pervicacemente a sostare sul bruco agganciato, prima che facesse la metamorfosi. Ora, i moscerini so che possono infestare facilmente le uova di macaone... e temevo che facesse lo stesso con il bruco. Così dopo averlo scacciato più e più volte (e con le brutte, non bastava soffiare ma ho dovuto addirittura spostarlo usando le foglie del finocchietto... disturbando il povero bruco, in una fase così delicata poi!), alla fine ho tagliato la testa al toro e l'ho ucciso. Ho sperato di essere arrivata in tempo e di aver salvato il bruco dall'essere parassitato... e per fortuna è stato così! Dalla crisalide, verde e perfetta, è nata una splendida e perfetta farfalla!

Macaone - primo bruco
Macaone - primo bruco... notate l'addome a punta: è maschio!

Macaone - secondo bruco
Macaone - secondo bruco... l'addome mi pare meno appuntito... potrebbe essere femmina!
 
Invece il terzo bruco dava segni di sofferenza già da alcune giornate: posizionato su un ramo quasi secco di finocchietto, era più apatico, notevolmente più smunto e sembrava quasi disidratato (chi conosce i bruchi, mi capirà). Una sera, presa dallo sconforto, ho deciso di trasferirlo in un fauna box con foglie di finocchietto fresche, debitamente selezionate dalla pianta ormai a fine stagione... ho pensato "o la va, o la spacca"... il bruco era già in difficoltà e almeno per le ultime fasi prima della metamorfosi sarei riuscita ad allevarlo. Il bruchetto, una volta tranquillizzatosi dopo la "cattura", si è dato a banchettare come non mai con le foglie giovani e fresche... e il giorno dopo si è addirittura impupato! In realtà lo davo comunque per spacciato: molto più piccolo e smunto dei suoi compagni, nonostante il corretto "aggancio" e impupamento, ha dato vita a una crisalide verde evidentemente crepata e danneggiata in superficie... tant'è che fin da poche ore dopo la muta, ha iniziato a diventare nerastra. Lo davo prorio per perso... come sempre mi sono trattenuta dal buttarlo via solo perchè sapevo di dovergli dare una possibilità (tanto che mi costava?) e poi quella colorazione nerastra mi sembrava un po' troppo regolare per essere semplicemente segno di marciume. Ma le speranze erano poche.
 
Sorpresa! Sono nato anche io!
Macaone - terzo bruco, ormai liberato sul finocchietto
 
E così... nell'ultimo soleggiato sabato di agosto, sono nati contemporaneamente sia il macaone corrispondente al "secondo bruco" (probabilmente una femmina) e anche la farfalla dalla crisalide nerastra, il "terzo bruco" che davo per spacciato, chiaramente un maschio! Ho preso un colpo quando, buttando per caso lo sguardo sul fauna box, ho visto un macaone perfetto con le ali già spiegate dentro al contenitore... non potevo crederci! Così sono corsa a liberarlo... ed è stato un trionfo: due macaoni (tra l'altro di sesso diverso) nella stessa mattina! Favoloso!
 
Macaone - terzo bruco... l'addome è ancora palesemente a punta: maschio!
Ora non so se avrò la fortuna di intercettare una terza generazione... sarebbe bello, in quel caso probabilmente le crisalidi che si formeranno in ottobre andrebbero in diapausa (una fase di sospensione dello sviluppo, a causa del freddo che ucciderebbe la farfalla adulta, ma non la crisalide) per sfarfallare solo in primavera con l'arrivo del caldo. Terrò gli occhi ben aperti!
Comunque insomma, anche questa volta ho imparato qualcosa di nuovo... sapevo già che le crisalidi di macaone potevano essere verdi o marroncine... ma nerastre proprio non credevo! E poi, fidatevi, era proprio danneggiata in superficie! Evidentemente non abbastanza per impedire il corretto sviluppo della farfalla... e a questo punto ho avuto la conferma che non bisogna mai dare nulla per scontato e mai buttare una crisalide... alla peggio, esporre il bastoncino dove è agganciata all'aperto, e lasciar fare alla natura il suo corso.
 
Crisalidi a confronto, dopo lo sfarfallamento... questa la prima, che da verde è diventata un involucro secco.
La seconda, poco dopo lo sfarfallamento... comunque di un bel colore trasparente (la parte scura è dovuta a liquido fisiologico rimasto dalla metamorfosi)
Ed ecco la terza crisalide... bruttina eh? Chi mai avrebbe pensato che avrebbe sfarfallato?
 
"Bonus track" a questo post dedicato ai macaoni: la scorsa primavera ho anche rivisto eccezionalmente, dopo davvero ANNI che non succedeva (è diventata ancora più rara dei macaoni, dalle mie parti) una splendida Vanessa Io adulta... so che i suoi bruchi si nutrono di ortiche, ma quelle poche piante che ancora sopravvivono all'agricoltura intensiva ed estensiva le ho sempre trovate spoglie di bruchi. Comunque una visione di speranza! 
 
Vanessa Io adulta, foto di Dumi su Wikipedia. Io proprio non sono riuscita a fotografarla!
 
Infine quest'estate ho anche avvistato un bruco mai visto prima che, con l'aiuto di esperti, sono riuscita a identificare: il simpatico "pelosone" diventerà una falena poco appariscente, Acronicta rumicis. 
 
Bruco di Acronicta rumicis, sul mio marciapiedi
Sempre lui, da un'altra prospettiva
 
Acronicta rumicis adulta, foto di Harald Süpfle su Wikipedia.
Che dirvi? Confermo che osservare bruchi e farfalle e gioia pura... e, mentre siamo concentrati sulla loro meraviglia e bellezza, rimane solo l'attimo che stiamo vivendo!