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giovedì 10 settembre 2020

"L'amore che dai è l'amore che resta" di Myriam Jael Riboldi

Il folgorante titolo di questo saggio per me non è solo una frase, è piuttosto una profonda verità, infatti è sempre stata una mia intima convinzione, un vero e proprio principio di vita: l'amore che diamo è l'amore che resta, e resterà anche oltre noi. Ed è questo a dare significato alle nostre esistenze, le nostre e quelle di tutti gli esseri viventi a loro volta, costruendo ed intrecciando insieme relazioni.
Così mi sono lanciata nella lettura di questo libro di Myriam Jael Riboldi, con l'aspettativa di emozionarmi ad ogni sua pagina; in realtà si tratta di un saggio di stampo piuttosto accademico, impegnato nel delineare il quadro dell' "etologia relazionale".

 


Ammetto che avrei preferito che il libro fosse più ricco di racconti di vita vissuta dell'autrice a contatto con gli animali, invece gli emozionanti episodi che vengono narrati sono piuttosto rari. Ma ad ogni modo è stata una lettura assolutamente interessante.
Uno dei lati più affascinanti del saggio, e che in questo momento peraltro mi tocca moltissimo, è la cosiddetta "triangolazione" che viene usata nell'etologia relazionale per costruire rapporti positivi tra due soggetti per mezzo di un terzo, il quale già stringe relazioni di fiducia ed empatia con i primi due. La cosa funziona tra tutte le specie: l'autrice riesce ad esempio a far accettare un capretto neonato, inizialmente "rinnegato", da mamma capra, in virtù del suo ottimo rapporto con la femmina adulta.
Ampio spazio viene dedicato alla triangolazione tra "etologo relazionale", bambini e animali, per andare a costruire e promuovere rapporti positivi tra le nuove generazioni e le creature non umane. 

"I bambini assorbono per osmosi e il suggerimento dell'etologia relazionale è di essere mentori responsabili, pieni di entusiasmo, di competenza, di passione ed empatia. I bambini, ma anche i ragazzi, imparano a riconoscere e a leggere le intenzioni degli animali molto più facilmente di noi, ma è negli occhi degli adulti di cui si fidano che cercano le indicazioni su come orientarsi, su come muoversi, su quale strada imboccare nel rapporto con l'animale".

 (M.J. Riboldi, L'amore che dai è l'amore che resta, p. 68)

Stefano e Paciocca

Per me, da neomamma appassionata di tutto ciò che concerne il mondo degli animali, è stato davvero entusiasmante leggere queste pagine... e ho capito che, a mio modo, sto anche io avviando una triangolazione: quella tra me, la mia amata gatta Paciocca e il mio bimbo Stefano, ancora ignaro di avere una mamma gattofila che gli sta trasmettendo, spero nel modo più corretto ed autentico possibile, l'amore per tutti gli animali e in particolare i gatti.

mercoledì 5 agosto 2020

Di tutto ciò che mi ha dato questo blog

Cari amici, come previsto e annunciato, tra due mesi esatti concluderò le pubblicazioni su questo blog: si tratterà di tagliare il magnifico traguardo dei 10 anni di Rumore di fusa e salutare con gratitudine e rispetto quest'angolo virtuale. 
Forse qualcuno di voi potrà pensare che si tratti di una decisione dovuta all'arrivo di mio figlio... ebbene no, voglio puntualizzarlo: nonostante sia innegabile che il tempo libero con un bimbo di pochi mesi diventi praticamente inesistente (e ciò rafforza solamente il mio proposito), avevo maturato questa idea già un paio d'anni fa, come vi avevo appunto spiegato lo scorso ottobre.
Oggi allora, dato che il momento dei saluti si avvicina, vorrei celebrare questa pagina, il blog che ha riempito un decennio della mia vita di ricchezze impagabili.


È stato lo stimolo per approfondire i miei interessi, amplificare e valorizzare le mie passioni.
Avevo 24 anni quando ho aperto questa pagina, da allora ho scritto e pubblicato più di 600 post, scattato foto, letto e recensito libri, fatto esperienze memorabili che ho documentato con passione in quest'angolo virtuale. Un passatempo certo, ma per me pieno di significato, che ha dato più valore al tempo che intanto è trascorso.
Se ho iniziato a scrivere e condividere ciò che già avevo vissuto o stavo vivendo in quei mesi, poi si è instaurato un circolo virtuoso e avere questa pagina mi ha fatta andare alla ricerca di nuove esperienze da raccontare, sempre di più. E intanto mi scoprivo sempre più coinvolta dal contatto con la natura, ne sono uscita arricchita e fortificata. 
E vi confesserò pure questo: per un certo periodo, ben prima di vivere determinate esperienze che poi mi hanno condotta anche a questo blog, avevo persino creduto che il mio amore per i gatti dovesse essere uno di quegli interessi, vagamente puerili, che si salutano con l'entrata nell'età adulta, quando poi si pensa solo a cose più "serie".
Meno male che ho avuto l' "illuminazione" grazie ai gatti che arrivarono in quel momento (Trilli, la mamma di Paciocca, e appunto la sua cucciolata)... e ho capito che i nostri  interessi non vanno rinnegati, dimenticati o svalutati per nessun motivo, in nome di nessuna presunta "maggiore serietà"... perche sono proprio le nostre passioni a farci vivere più intensamente, a farci realizzare noi stessi più autenticamente. 
E questo blog me ne ha dato ampia prova, dandomi modo di vivere, ricercare, condividere e amplificare il mio amore viscerale per gli animali e la natura in 10 lunghi anni.


Rumore di fusa è stato anche una piccola piazza pubblica, dove ho conosciuto alcune persone che, nel tempo, sono diventati veri e propri amici... certo, "virtuali", ma sono già abbastanza vecchia da ricordare che un tempo esistevano gli "amici di penna". E probabilmente questa è l'evoluzione di quel concetto!
I commenti a questo blog sono più di 6000, le visualizzazioni più di un milione. Non si tratta di numeri utili a determinare la "fama" di questa pagina, bensì li interpreto come la cifra delle occasioni avute per confrontarmi, direttamente o indirettamente, con altre persone interessate al mondo dei gatti, della natura, degli animali, della coscienza ambientale. Sia i lettori silenziosi, sia i commentatori abituali, sia quelli con cui poi ho intrapreso una corrispondenza privata, mi hanno dato modo di capire che c'è "fame" di notizie, pensieri e riflessioni riguardanti la natura. Ed è stato davvero prezioso poter conoscere e stringere nuove amicizie con veri appassionati come me, che riescono a guardare il mondo non necessariamente "a misura d'uomo", che considerano un regalo un cesto di fichi raccolti dall'albero, che si emozionano di fronte al mutare delle stagioni, che si lasciano scaldare il cuore dalle fusa di un gatto.



Questo blog è stato pure fonte di grande impegno, ma anche di belle soddisfazioni. Non vi nego che leggere i vostri commenti di complimenti e meraviglia ai miei post (soprattutto a quelli più ispirati) mi ha estremamente gratificata, ma soprattutto mi ha fatta sentire empaticamente più connessa con l'umanità, che talvolta invece non comprendo... capire che le mie parole hanno fatto breccia in altre persone, scoprire un'analoga sensibilità e condividere ideali simili mi ha sempre ricordato, anche quando il genere umano ce la mette tutta per disgustarmi, di non fare mai di tutta un'erba un fascio, perché all'interno della nostra specie troviamo sì orrori indicibili, ma anche possibilità di redenzione, grazie a sensibilità ed empatia. E questo mi ha dato sempre speranza.



Infine, qualche volta questo blog mi è stato addirittura catartico, per digerire avvenimenti difficili, per esorcizzare sensi di colpa, per sfogarmi e condividere qui la mia rabbia, sofferenza e inquietudine. 
Ricordo ancora che, quando mi sentii così impotente di fronte alla famiglia di piccioni spezzata, tornai a casa con il cuore colmo di tristezza, rabbia e dolore. E scrissi, scrissi, scrissi, perché almeno di quella morte silenziosa e appartenente irrilevante, restasse traccia... e forse, se qualcun'altro avesse letto, forse qualcosa sarebbe cambiato e quella morte sarebbe servita a qualcosa di buono.
Ovviamente non so se questo sia accaduto davvero, ma la mia filosofia di fondo è sempre stata quella del "quello che facciamo è solo una goccia nell'oceano, ma se non lo facessimo l'oceano avrebbe una goccia in meno".


Rumore di fusa ha fatto parte della mia vita per 10 anni, un tempo lungo da qualsiasi lato lo si guardi. Mi mancherà senz'altro la condivisione che mi ha permesso di raggiungere, mi mancherà tutto quanto di prezioso mi ha regalato in questo decennio. Quando leggerò un saggio o un romanzo sugli animali che mi colpirà al cuore, sarà davvero molto strano non correre qui a consigliarvelo. Quando vedrò uno spettacolo della natura, nel mio giardino o in capo al mondo, mi dispiacerà sicuramente non avere più un "salotto" in cui raccontarne la meraviglia. Quando scatterò una foto a Paciocca, ai miei fiori o al mio orto, mi mancherà non mostrarvela. Quando macinerò delle riflessioni a mio parere importanti, che siano sui gatti, sull'uomo o sul pianeta, mi chiederò sempre cosa ne avreste pensato.
Ma sappiate che continuerò senz'altro a leggere libri e romanzi sugli animali, stare nella natura per godere delle sue meraviglie, fotografare gatti, piante e stagioni che mutano, riflettere sul nostro posto nel mondo, sulle relazioni che possiamo stringere tra noi e con le altre specie. Continuerò, continuerò, e in questi 10 anni spero di avervi fatto venir voglia di fare altrettanto.
Più che mai convinta a concludere Rumore di fusa tra due mesi prima di snaturarlo, banalizzarlo o abbandonarlo via via a sè stesso, proprio per il rispetto massimo che nutro verso questo blog, oggi mi sembrava giusto dedicargli un tributo.
E posso senz'altro dire che è stata tra le cose più belle, importanti e significative che io abbia vissuto negli ultimi 10 anni.

venerdì 3 luglio 2020

Dai domestici ai selvatici: una visione d'insieme

"La diversità, per capirla fino in fondo, bisogna esperirla sulla pelle e farsela entrare nelle ossa. Gli amanti degli animali 'd'affezione' rischiano l'eccessiva focalizzazione sulle dimensioni dell'affettività e dell'affiliazione (...). Occuparsi di selvatici che, invece, richiedono distanza, discrezione e spesso rinuncia, non solo consente di fare un bagno d'umiltà che costringe a spostarsi da qualunque ottica autocentrata; l'esperienza con animali da maneggiare poco, da stressare poco, da non rendere dipendenti perchè per loro si deve prospettare una liberazione in natura, insegna il valore profondo della libertà per gli esseri viventi, il loro struggente attaccamento al contesto ambientale, il valore del loro ruolo nel sistema della vita e la relatività della nostra posizione nel pianeta".

(Sonia Campa, L'insostenibile tenerezza del gatto, p. 313)




Quando ho letto questa frase ho avuto un colpo al cuore, perchè finalmente stavo leggendo nero su bianco e comprendendo l'importanza di alcune esperienze della mia vita che mi avevano aperto le porte su tutto un altro mondo nel quale ero immersa, come una dimensione parallela, sempre sotto i nostri occhi ma perennemente "nascosta" dal nostro sguardo, disabituato a coglierla. 
Piccoli ricci orfani e svariati ricci adulti, decine di bruchi e farfalle, dozzine di uccelli (upupe, cince, fringuelli, luì, piccioni, gufi...), centinaia di lucciole, qualche rospo e rana toro, insetti di tutti i generi... quanti incontri ho fatto, in questi anni, con la natura selvatica, solo uscendo dalla porta di casa mia e facendo due passi in giardino. Si è trattato di occasioni uniche, esperienze che tassello dopo tassello hanno arricchito straordinariamente la mia percezione del mondo e completato, in maniera commovente, il ventaglio delle forme d'amore che ero abituata a conoscere, esperire, ricercare.
Siamo abituati a stringere legami con i nostri simili e, i più sensibili ed empatici di noi, anche con gli animali domestici. Ho sempre amato i gatti e, per mia fortuna, per buona parte della mia vita fino a qui ho avuto il grande privilegio di condividere con loro la mia quotidianità. Mi hanno insegnato tanto e, al contempo, sono stati da subito un "ponte" per il resto della natura, quella più selvaggia. Non ci avevo mai appositamente riflettuto prima ma, quando sono venuta a contatto con gli animali selvatici, prendendomene cura se serviva o semplicemente osservandoli da lontano con il dovuto rispetto, ho provato tutta un'altra emozione, qualcosa di ancora più universale dell'amore per i miei gatti. Qualcosa che mi ha davvero insegnato il valore profondo della libertà per gli esseri viventi e la relatività del mio punto di vista ma anche il ruolo della mia esistenza nell'ecosistema del mondo. 


Coccolando ed amando i miei gatti non avvertivo certo alcuna "mancanza", intendiamoci: il rapporto con un animale domestico è meraviglioso e arricchente, sicuramente più diretto e facilmente esperibile. Non può essere considerato "manchevole" di nulla, se ben vissuto: si impara a comunicare con un linguaggio che non è nè umano nè non-umano, bensì una splendida sintesi di entrambi; si viene rassicurati dall'amore privo di filtri, giudizi e intenzioni che gli animali sanno riservarci; si diventa responsabili per la qualità di vita di quell'essere vivente che sta vivendo proprio accanto a noi; si scende a reciproci compromessi nella diversità di specie. Insomma, è qualcosa di davvero meraviglioso!
Eppure, dopo aver letto quel pensiero di Sonia Campa, ho capito cosa mi ha emozionato tanto quando ho potuto fare un passo oltre i miei gatti, quando sono venuta a contatto - inizialmente per caso e poi, sempre più, per mio specifico interesse - con gli animali selvatici. 
E ho compreso che si tratta di un mondo necessariamente complementare a quello degli animali domestici, nel quale entrare in punta di piedi, con grande rispetto ma anche con grande determinazione, perchè in grado di "regalarci" un senso di comunione con il nostro pianeta che - duole dirlo - tramite gli animali domestici si perde. Anzi, talvolta ho avuto spesso l'impressione che - per alcune persone, sia chiaro, non per tutti - il rapporto esclusivo con il proprio animale domestico possa addirittura tramutarsi in una barricata rispetto al resto del mondo, umano e non umano. 



E così eccomi qui a scrivere queste mie riflessioni per rilanciarle a voi, cari lettori, per incitarvi a uscire da casa vostra e, se ancora non l'aveste fatto, inseguire, ricercare, perseguire ogni possibile opportunità di venire in contatto con l'autentica natura selvatica, passo dopo passo, con rispetto e gradualità... perchè vi cambierà, vi arricchirà, completerà la vostra comprensione di voi stessi, del mondo che vi circonda ma anche i vostri sentimenti in proposito. Se potete, se avete un cane o un gatto, fatevi inizialmente guidare da loro nell'esplorazione del territorio e dell'ambiente. Cercate di togliere i vostri "occhiali antropocentrici" per indossare, anche solo temporaneamente, lo sguardo felino o canino del vostro compagno a quattro zampe... già questo vi condurrà sulla strada giusta. E se non avete invece animali domestici, magari dovrete fare uno sforzo in più, ma non negatevelo: iniziate a fare attenzione a un'ape o una mosca in giardino, agli uccelli che migrano, alle formiche che dominano in giardino. Nutritevi anche di natura selvatica, non limitatevi al rapporto - appagantissimo, lo ribadisco - con i vostri animali domestici, perchè si tratta di due facce di una stessa medaglia che vale davvero la pena di "conquistare". 
Cosa ne pensate? Quali esperienze uniche avete già fatto a contatto con gli animali selvatici? Aspetto i vostri racconti nei commenti e... se vi rendete conto che non ve ne viene in mente neppure uno, allora cogliete l'opportunità per iniziare oggi stesso a ricercare occasioni a contatto i selvatici, ad esempio visitando il CRAS della vostra città o partecipando a eventi e iniziative di valorizzazione della fauna selvatica. Basta poco per partire in questo viaggio che, potenzialmente, potrà durare poi per l'intera vostra vita.

lunedì 1 giugno 2020

Paciocca, Stefano e me

Questo mese Stefano compirà tre mesi e vorrei raccontarvi come sono andati questi primi tempi tra lui e Paciocca. O meglio, dovrei dire piuttosto tra Paciocca e lui, perché per il momento il mio bimbo non la considera molto (ed è naturale, nei primi tempi i neonati riconoscono e "mettono a fuoco" specificatamente i volti umani)... quindi è soprattutto lei ad essersi accorta della sua esistenza!
Quando ero incinta, dopo aver letto tante testimonianze sul come i nostri animali avvertano la "dolce attesa" dei propri umani, attendevo con trepidazione reazioni "particolari" da parte di Paciocca alla mia gravidanza, ma non ho osservato assolutamente nessun cambiamento in lei nei miei confronti. Vi dirò quindi che non sapevo proprio cosa aspettarmi dal presentarle Stefano, temevo che la mia gatta sarebbe fuggita spaventata.
Diciamo che le prime settimane sono state estremamente graduali: anzitutto Paciocca ha avvistato la navicella con dentro il bimbo in giardino, talvolta lui dormiva e quindi c'era completo silenzio, talvolta lui piangeva disperato (come solo i neonati sanno fare) e in quei casi la gatta se ne stava bene a distanza. In generale nelle prime settimane Paciocca guardava con grande sospetto la navicella, probabilmente immaginandola come una sorta di tagliaerba misteriosamente silenzioso, oppure misteriosamente urlante in altri momenti!





Va detto che in questi primi tempi non ero io a portare in giardino la navicella, perché ho avuto un post-partum pesante e per tre settimane sono rimasta confinata in casa, dove la mia micia entra poco volentieri (di solito fa la preziosa sull'uscio, vuole che siamo noi ad uscire). Il mio primo incontro con Paciocca è avvenuto appunto dopo questo primo e lungo periodo, solo tra me e lei ed è stato un momento per me di grande tenerezza, rivederla e coccolarla di nuovo dopo il mio parto! Lei non si è scomposta più di tanto, mi ha salutata con la sua coda alta, un miagolio e un fuseggiare discreto. Da quel momento in poi ho ricominciato ad uscire in giardino io stessa con Stefano, in braccio o nella navicella, e le occasioni per incontrare la mia micia non sono mancate.
Le prime volte che avvicinavo un piedino o una manina di Stefano alla mia gatta, lei dava un'annusatina tranquilla, talvolta strusciava il musetto affettuosamente e poi procedeva oltre: si comportava come se stesse semplicemente rapportandosi a una parte del mio corpo! Non so se avesse davvero colto che le stavo presentando mio figlio, forse i nostri odori erano talmente simili da non farle percepire la differenza e, inizialmente, io cercavo l'approccio solo quando Stefano era immobile e profondamente addormentato in braccio a me, per non spaventare Paciocca con eventuali grida o movimenti improvvisi.


Via via che passavano i giorni però, ovviamente la mia gatta ha dato segno di aver ben capito che insieme a noi c'era una nuova creatura! Sono certa di poter affermare che non ne è mai stata spaventata, né l'ha mai avvertito come se fosse un animale non umano con cui competere... insomma, Paciocca ha dimostrato di capire che Stefano fa parte della nostra famiglia e, con le dovute cautele, non è sicuramente una minaccia.
Ad oggi, ogni volta che esco in giardino con Stefano, lei ci raggiunge felice e ci accompagna nei nostri giretti. Il mio bimbo ama tantissimo passeggiare tra gli alberi e in generale ogni cosa del giardino è per lui fonte di curiosità, per cui io sono ben felice di esplorarlo insieme alla mia micia.
Da qui a dire che Paciocca sia interessata a relazionarsi di più con lui, proprio no: stiamo pur sempre parlando di un neonato di neanche tre mesi, al quale basta poco per iniziare a piangere... Paciocca non fugge al suo pianto, anzi credo che capisca perfettamente che è un segno di disagio di Stefano, ma comunque la cosa non sembra riguardarla più di tanto. Pace fatta anche con la navicella: la mia gatta deve aver capito che fa parte del "pacchetto Stefano", se così si può dire!
Mi piacerebbe che il mio bimbo fosse già abbastanza grande per interessarsi a Paciocca e per insegnargli ad interagire correttamente con un gatto (o un animale in generale), così come mi piacerebbe avere tanto più tempo e modo da dedicare alla mia micia, invece di solito i tempi li detta Stefano e, avendolo spesso in braccio, altrettanto spesso devo accontentarmi di accarezzare Paciocca con il piede. Lei in ogni caso sembra abbastanza tranquilla, sempre ben disposta nei nostri confronti e, pur senza fare mai slanci affettuosi particolarmente espliciti (come suo solito poi, è nel suo carattere essere delicatina e discreta), staziona spesso e fa ricognizioni diverse volte al giorno nel mio giardino, entra in casa per brevi giretti a suon di fusa e in generale ci raggiunge volentieri non appena usciamo. Io, se non la vedo subito, non manco mai di chiamarla e di considerarla sempre, per farle capire che la sua presenza è importante.


Su questa complessivamente raggiunta pace famigliare, in realtà gravano alcune ombre... qualche settimana fa, ho scoperto sotto la pancia di Paciocca una zona di alopecia piuttosto ampia, mai avuta precedentemente in vita sua.
La prima ipotesi della veterinaria è che si tratti appunto di alopecia "da stress", probabilmente dovuta soprattutto alle tre settimane tra parto e post-parto in cui la mia micia non mi ha vista mai: è stato in assoluto il periodo più lungo di separazione tra me e lei (prima, al massimo una decina di giorni in vacanza). Purtroppo non la aiuta il fatto che, da quando c'è Stefano, è indubbio che il tempo e le occasioni che posso dedicarle si siano ridotti di molto. Non che in gravidanza fossi sempre con lei, intendiamoci, però sicuramente mi vedeva più a lungo, durante la giornata, di quanto accada ora.
Inoltre, per la sensibilità di un gatto, credo sia palese che Stefano sta implacabilmente focalizzando su sè stesso la maggior parte dell'attenzione e delle energie sia mie, che di mia mamma (figura "secondaria" ma pur sempre di riferimento per Paciocca).
Non possiamo comunque neppure escludere eventuali sopraggiunte intolleranze alimentari, dal momento che proprio negli ultimi mesi abbiamo cambiato marca di umido, provandone diverse.


Ora come ora stiamo curando Paciocca con un unguento e un integratore apposito, nonchè io sto facendo del mio meglio per essere presente nella sua giornata (e le belle giornate mi aiutano tanto in questo!), tra incontri in giardino, qualche visita in casa e "catture" serali. Ammetto che finora grossi miglioramenti non ne ho visti, anche se la veterinaria mi ha detto che serve tempo perchè il pelo ricresca... vi dirò che questa cosa, sotto sotto, mi preoccupa non poco, perchè non posso fare a meno di pensare che Paciocca non è più una giovincella: il prossimo agosto compirà 12 anni tondi e questo, forse, è il primo concreto segno della sua età che avanza. A vederla non si direbbe: il resto del mantello è sempre lucido e pulito, lo sguardo è vispo e comunicativo, l'appetito non ha subìto cambiamenti sostanziali, lei è la solita micia discreta, cacciatrice e arrampicatrice di alberi come quando di anni ne aveva 5. Però mi sento sottilmente responsabile per la sua alopecia e, qualora non dipendesse affatto dalla presenza di Stefano, temo allora che possa essere sintomo di qualcosa di ben più grave di una comprensibile "gelosia" o della destabilizzazione dell'equilibrio famigliare.
Spero che la cosa possa rientrare presto e venire archiviata solo come un momento "delicato" nella vita della mia gatta, che sicuramente non è rimasta indifferente, nel bene e nel male, all'arrivo di un neonato nella nostra famiglia.


Concludo questo post con un pensiero più ampio, sempre relativo all'arrivo di mio figlio e del successivo mutare (o non mutare affatto!) delle altre relazioni affettive. Ebbene, aspettavo da tempo di diventare mamma a tutti gli effetti per verificare se fosse proprio vero che l'amore per un figlio sia qualcosa di infinitamente superiore rispetto a tutti gli altri rapporti affettivi. In particolare mi domandavo se, da parte mia, sarebbe cambiato qualcosa anche nei confronti di Paciocca, da tanto è opinione comunemente condivisa che:"Va bene voler bene a un gatto, ma un figlio è un figlio!".
Chiaramente sono solo all'inizio della mia vita di mamma e sono convinta che il rapporto genitore-figlio sia il più mutevole in assoluto (per forza di cose, un figlio da neonato diventa una persona adulta, ad un certo punto!), per cui è possibile che questi miei pensieri potranno eventualmente mutare di pari passo. Comunque, per il momento, posso dirvi che l'amore per un figlio è effettivamente qualcosa di incredibile, di travolgente e rivoluzionario, qualcosa che ti fa vedere il mondo con occhi diversi, è come essere nata una seconda volta... non esagero!
Però, e ci tengo a sottolinearlo, questo non ha tolto assolutamente NIENTE a tutte le altre forme di amore che provo nella mia vita. Anzi, se possibile, le ha amplificate, valorizzate e rese più importanti ancora, perchè vanno a intrecciarsi e in un qualche modo a completare il quadro di affetti della mia esistenza. Fare classifiche in amore è assurdo e mortificante, perchè ogni forma di amore, o affetto che sia, ha un suo valore impagabile e la sua peculiarità che la rende unica e insostituibile. Paragonare o chiedermi di scegliere tra l'amore per mio figlio e l'amore per la mia gatta è semplicemente assurdo.
Prosaicamente parlando, sarebbe come chiedermi di scegliere tra la pizza e la cioccolata: sono due cose talmente diverse, ma a loro modo talmente buone, che non potrei proprio fare una classifica di gradimento! E poi, che senso avrebbe? A che scopo?
Ogni forma, ogni manifestazione, ogni declinazione dell'amore ha una sua specificità, un suo valore intrinseco, una sua potenza originale, unica e inimitabile in sè stessa. Perchè mai allora pensare di fare graduatorie, classifiche, scelte? Si vive una sola volta e più forme d'amore avremo sperimentato nel corso della nostra esistenza, più avremo avuto una vita ricca, fortunata e piena.

lunedì 11 maggio 2020

"L'insostenibile tenerezza del gatto" di Sonia Campa

Ho avuto modo di conoscere Sonia Campa, etologa, diversi anni fa, ad una conferenza sul comportamento dei gatti e sul corretto modo di relazionarsi ad essi. Mai banale nel suo approccio, profonda conoscitrice dell'animo del nostro felino domestico, attenta osservatrice delle tendenze "antropomorfizzanti" che influenzano il nostro rapporto con gli animali... ha subito guadagnato la mia ammirazione e stima. Così, quando è uscito questo libro non potevo davvero farmelo sfuggire, pregustandomi una lettura di valore. Ebbene, le mie aspettative sono state ripagate al 100% e, nonostante per titolo e casa editrice l'opera possa in effetti confondersi tra mille altre (ormai l'editoria dedicata ai gatti è sovrabbondante, pena spesso la qualità delle singole pubblicazioni), la sostanza che racchiude è tutta un'altra cosa.



Non aspettatevi un manuale generico sui gatti, nè un saggio unicamente di etologia felina... è una riflessione di ampio respiro, che prende spunto dalle esperienze personali dell'autrice ma le approfondisce su basi scientifiche grazie alla sua formazione, a proposito del temperamento del gatto, di come si è evoluta la nostra relazione con lui, andando a tracciare una sorta di "bilancio" di quanto è stato perso e quanto guadagnato. 
Ma è anche una critica alla nostra società del terzo millennio, alle molte pecche del nostro mondo, evidenziando il rischio di perdere di vista l'anima e le necessità autentiche degli animali con cui condividiamo il pianeta: cani e gatti in primis, ma anche gli animali "da reddito" (mucche, galline, ecc.), fino ai selvatici (che spesso non consideriamo neppure). 
Ad esempio, scrive Sonia: "C'è qualcosa di drammaticamente condiviso tra gli animali stabulati in freddi capannoni industriali a produrre uova e latte, deprivati dell'esistenza e, quindi, della loro identità, e migliaia di piccoli umani assembrati nelle loro automobili bloccate nel traffico impazzito di città di cemento, per cercare di raggiungere i loro mini-appartamenti in enormi condomini della più economica periferia, dopo dieci ore di lavoro dedicate freneticamente a raggiungere degli obiettivi che, spesso, non appartengono neanche a loro" (S. Campa, L'insostenibile leggerezza del gatto, p. 50).
Oltre a ciò, troviamo anche consigli utilissimi - forniti su solide basi etologiche - per comprendere, conoscere e rispettare le esigenze più peculiari del nostro amato micio. Ad esempio, ci fa riflettere sul fatto che "per i gatti il pasto è un momento tutt'altro che comunitario, la consumazione è un rito solitario e le condizioni di stretta prossimità allestite in casa spesso portano i gatti a competere più o meno esplicitamente e a vivere il momento del pasto con ansia e tensione" (p. 72). 
O ancora, tutti noi tendiamo ad apprezzare e ricercare gatti coccoloni, socievoli e amanti del contatto fisico, eppure quest'approccio così "corporeo" non sempre è in linea con il temperamento più riservato dei felini: "Per il micio di famiglia (...) è già un gesto di enorme affettuosità (...) raggiungerci sul tavolo e sonnecchiare a mezzo metro da noi mentre siamo intenti a lavorare; affetto è la leccatina fugace che ci danno sulle dita e, persino, quella coda che ci sfiora appena mentre, apparentemente distratti e lontani, ci passano accanto (...). I gesti di affiliazione dei gatti non sono eclatanti (...) sono sottili, piccoli segnali, discreti come lo è il loro andare per il mondo, fatto di distanze accorciate, di sguardi ricambiati e di tempo trascorso vicini, anche senza far niente ma semplicemente condividendo l'atmosfera" (p. 189).  Poi certo, ci sono gatti amantissimi delle coccole anche molto irruenti, ma dobbiamo sempre ricordarci di non fare di tutta l'erba un fascio e soprattutto di interpretare correttamente i segnali che ci dà il micio in questione: apprezza davvero, oppure è solo estremamente mite e tollerante rispetto a un contatto fisico per lui non necessariamente indispensabile?


Paciocca non mi perde mai di vista e mi segue dappertutto, non tollera di essere esclusa dalle nostre attività, eppure non viene mai in braccio e richiede le coccole in quantità molto modesta. Me ne sono fatta una ragione... e la amo così com'è, apprezzando i segnali d'affetto che mi dimostra, come una bella coda alzata per salutarmi!

Insomma, un libro capace di scavare a fondo, con competenza e spirito critico, nella personalità e nei bisogni comportamentali dei gatti che, oggi sempre più, vengono travisati e svalutati. Mi è piaciuta molto, tra le altre, la riflessione sul fatto che - spesso - si tenda ad adottare un gatto invece di un cane, perchè considerato "meno impegnativo": "Questa falsa credenza deriva dal ritenere questo un animale con poche pretese: non va portato fuori ogni santo giorno per la sua consueta passeggiata, può rimanere solo in casa senza fare danni e senza disturbare il vicinato (...) è autopulente (...) non richiede attenzioni continue (anzi, se ne sta anche parecchio per i fatti suoi) e si adatta a vivere anche in piccoli spazi. (...) Paradossalmente, oggi si è arrivati a credere che solo chi ha un giardino dovrebbe adottare un cane, mentre il gatto sta bene solo se tenuto in casa" (pp. 74-75). Cosa, questa, davvero snaturante nei confronti di un predatore ed esploratore quale è il gatto, che anzi avrebbe un bisogno vitale di poter accedere in sicurezza e libertà a un ambiente dove cacciare, esplorare, sorvegliare e marcare il suo territorio. 
Che altro dirvi? Le considerazioni sarebbero ancora tante ma non vorrei neppure togliervi il piacere della lettura di questo bellissimo saggio, che vi consiglio spassionatamente come una delle pubblicazioni più valide degli ultimi anni sul tema "gatti". E altrettanto vi suggerisco di visitare il portale di Sonia Campa Pet Ethology ma anche il suo blog "La soglia di Morgan", sul quale potete leggere anche diversi articoli - tutti altrettanto interessanti - sempre sul comportamento dei gatti.

domenica 3 maggio 2020

Brevi pensieri ai tempi del Coronavirus

Ne avrei di cose da dire, su queste strane settimane di quarantena. In realtà, come sapete, essendo diventata mamma da poco ho avuto ben altri pensieri e tanto altro da fare, per cui non ho avuto né tempo né modo di fare il punto sulla pandemia di coronavirus e sui cambiamenti che ha comportato in tutto il mondo, che ci accompagneranno ancora a lungo. Qualche cosa però voglio scriverla, a futura memoria, ma anche per condividere con voi i pensieri che mi sono passati per la testa, nei pochi momenti che non ho dedicato alla cura di mio figlio neonato. 
Una delle prime riflessioni rispecchia tale e quale un pensiero di Michele Serra, che avrete facilmente letto anche voi nelle scorse settimane:



La sera prima avevo giusto notato, mentre scrollavo in giardino la tovaglia della cena, quanto fossero più brillanti le stelle, luccicanti in un buio intenso e limpido... e dire che, abitando in campagna da sempre, sono abituata ad ammirare un cielo stellato solitamente abbastanza pulito. Eppure che differenza! Ho ho avuto la chiara impressione che la natura stesse respirando, come non succedeva da anni, probabilmente da decenni.
Per non parlare di quello che in tanti hanno definito "silenzio", anche nelle ore di punta... io abito su una trafficatissima strada provinciale e ho ben presente il rumore delle auto, a tutte le ore del giorno. In realtà la drastica diminuzione della circolazione dei veicoli non ha affatto comportato un "silenzio"... piuttosto ci ha finalmente lasciato la possibilità di ascoltare le voci dell'ambiente che ci circonda: il vento tra le foglie appena germogliate, i tanti cinguettii degli uccelli, il ronzio degli insetti che in primavera hanno ripreso alacremente la loro vita. È sembrato innaturale perfino a me, a mezzogiorno della domenica di Pasqua, uscire in giardino e udire solo e unicamente suoni e rumori naturali... un vero ossimoro!



A riprova della generale riscoperta dei suoni della natura da parte di tutti, in campagna come in città, ci sono anche i nuovi commenti fioccati al mio post dedicato all'assiolo: con più tempo a disposizione e la possibilità di ascoltarlo senza il frastuono del mondo umano, tante persone si sono accorte della sua presenza e sono arrivate al mio blog cercando informazioni in proposito.
Infine, non dirò nulla sul valore del tempo trascorso in famiglia e sulla possibilità di rallentare i nostri assurdi ritmi lavorativi... serviva una pandemia mondiale per questo? E io temo che, non appena l'emergenza sarà passata, si tornerà a correre correre correre come prima. 
Ma se qualcosa questo brutto periodo ci sta insegnando, è proprio che la natura, con i suoi tempi lenti, i suoi cicli ricorrenti e le sue dinamiche discrete, vive meglio in un mondo dove la presenza dell'uomo si fa a sua volta più lenta e discreta. E forse, con le dovute misure e un equilibrio più positivo rispetto a quello imposto da una quarantena così rigida, potrebbe essere un mondo dove sta meglio anche l'uomo.

lunedì 30 marzo 2020

Le mie considerazioni su toxoplasmosi e gravidanza

Fin da quando abbiamo iniziato a cercare una gravidanza, io ho cominciato altrettanto a stare attenta alla toxoplasmosi. In più di trent'anni di vita, nonostante assidue frequentazioni di gatti e gattili, lettiere pulite senza guanti, consumo di salumi (anche artigianali) e frutta e verdura colta e mangiata direttamente dall'orto (che incoscienza!) non l'avevo mai presa. 
Devo essere sincera, i primi tempi era un'ossessione: in ogni cibo "incriminato" vedevo un rischio enorme e mi sembrava all'improvviso di non poter mangiare più in sicurezza nessuna verdura o frutta cruda, così come avevo iniziato a disinfettare convulsamente la cucina se anche solo poggiavo un limone sul lavello. Lavavo le mani decine e decine di volte al giorno, sentendomi perennemente a rischio di un'infezione o un contagio. Non parliamo poi delle eventuali uscite al ristorante o  in vacanza: erano diventati pericolosi un ciuffo di prezzemolo crudo decorativo, la rucola sulla pizza, una foglia di insalata a fianco di una bistecca ben cotta, una caprese con pomodoro fresco, una macedonia. Tutto off limits. Ora, vi sembrerà esagerato, ma la vivevo proprio male, anche perché reperivo informazioni contrastanti, e intanto consumavo una confezione di amuchina alla settimana, senza peraltro avere la certezza di debellare il pericolo (vedi dopo).
Allora, sia per tranquillizzarmi, sia per capire come mai in tanti anni di condotta "sconsiderata" io non avessi mai contratto la toxo, ho approfondito la questione e le cose che ho scoperto mi hanno aiutata parecchio a collocare al giusto posto questo rischio e i relativi comportamenti da assumere per evitarlo.

La classica insalata mista al ristorante è vietatissima per il pericolo toxo! Foto di Thomas Wenger su Wikipedia.

Cos'è la toxoplasmosi e come "funziona" nel gatto
Si tratta di un'infezione provocata da un protozoo (NON un virus, NON un batterio!), il Toxoplasma gondii, che può infettare tutti i mammiferi e si "incista" poi nelle fibre muscolari (per questo, se si consuma carne cruda, si rischia di venire infettati). Solo nel gatto il protozoo riesce a completare tutto il ciclo vitale, per questo il micio è detto "organismo serbatoio", ossia il toxoplasma si moltiplica in esso e si propaga nell'ambiente tramite le feci del felino. Da qui lo spauracchio del "stai attenta ai gatti in gravidanza, perché da loro contrai la toxo", sapendo che questa infezione è particolarmente grave e pericolosa per la salute dell'embrione o del feto.
Il nocciolo fondamentale però sta in due informazioni chiave, che difficilmente i medici si prendono la briga di spiegarti:
1) Dire che "i gatti ti infettano con la toxo" sarebbe più o meno come dire "gli umani ti infettano con l'influenza". Serbatoio della toxo non sono TUTTI i gatti, bensì i gatti in quel momento malati di toxo e infettivi. Questo momento dura al massimo un mese nell'arco dell'intera vita del felino e non è neppure detto che si ammali mai, soprattutto se non ha la possibilità di consumare carne cruda.
2) Le feci di un gatto con toxoplasmosi hanno bisogno di un certo tempo di "maturazione" nell'ambiente per diventare effettivamente infettive, dalle 24 ore in poi. Una cacca appena defecata da un gatto infetto, non è immediatamente infettiva.
Questo cosa implica? 
Implica che sostanzialmente, se hai gatti, resti incinta e temi la toxo da parte loro, intanto non vederli come untori malefici, perché magari la toxo non l'hanno mai presa, forse non la prenderanno mai, forse l'hanno presa anni fa e non sono più infettivi da un pezzo. Se invece fossero esattamente in quel momento della loro vita in cui espellono feci contagiose, basta fare due semplici cose: far pulire a qualcun altro (o usare dei guanti e poi lavarsi accuratamente le mani) la lettiera e farlo almeno una volta al giorno, per evitare che le feci "maturino" e diventino infettive.
Bon, questo è quanto. La toxo NON si prende accarezzando il gatto, o tramite la sua saliva, o tramite un graffio, o tramite la sua pipì. Quindi non bisogna esiliare il proprio felino o peggio abbandonarlo, così come non ha senso smettere di accarezzarlo o coccolarlo. Basta seguire norme di buon senso e igiene di base, che dovrebbero valere indipendentemente dalla toxo o dallo stato di gravidanza.

Molto più probabile contrarre la toxo dalla carne al sangue che dai gatti. Foto di Gail su Wikipedia.

Perchè allora tanto allarme?
Perchè, in effetti, è comunque possibile contrarre la toxoplasmosi. Come? 
Soprattutto mangiando o manipolando, senza poi lavare mani, utensili e piani d'appoggio:
- Carne cruda e salumi crudi (perchè, lo ripeto, potrebbero derivare da un animale infettato, nelle cui carni è rimasto incistato il toxoplasma, che muore solo con la cottura);
- Verdura cruda poco lavata, in particolar modo se viene dall'orto del contadino dove potrebbero circolare più spesso gatti liberi o selvatici. Meno facile è il contagio di verdura del supermercato, dato che arriva da produzioni a livello industriale (immaginate serre e coltivazioni "in batteria"): dovreste proprio acquistare quel maledetto cespo di insalata tra mille altri, vicino al quale è passato proprio un gatto infetto e ha defecato proprio lì. Mi darete atto che ciò è molto improbabile, ma altrettanto io ammetterò che non è impossibile. Quindi per eliminare il rischio, sapendo che la verdura e la frutta cotte non danno comunque alcun problema, per quella cruda va semplicemente effettuato un lavaggio molto accurato (sotto vi darò maggiori dettagli). 
Un'altra possibile modalità di contagio è facendo giardinaggio in campagna, dove è più facile che il vostro o altri felini usino il terreno come lettiera a cielo aperto: per questo è fondamentale usare guanti e lavarsi le mani dopo le attività tra orto e giardino (ma questo, non lo fareste comunque?).

Più dei gatti, preoccupatevi di usare guanti quando fate giardinaggio! Foto di Z28scrambler su Wikipedia.

Quindi, in sostanza...
Se sei incinta e recettiva alla toxoplasmosi (cioè non sei immune, perchè non l'hai mai contratta prima):
- se hai gatti fai pulire ad altri, quotidianamente, la loro lettiera (o puliscila tu usando sempre i guanti e igienizzando poi le mani) e comunque rispetta le normali regole igieniche di buon senso nella convivenza con gli animali (lava le mani dopo le coccole, ad esempio).
- evita tutta la carne cruda o poco cotta. Questo significa no anche a tutti i salumi crudi (bresaola, crudo, salame...). Si possono invece mangiare i salumi cotti (come prosciutto cotto o mortadella), meglio se in vaschetta (al banco dei salumi freschi spesso usano le stesse affettatrici per salumi crudi e cotti, indifferentemente... e i più prudenti vi vedono un rischio di contagio); 
- lava molto accuratamente la frutta e la verdura che vuoi consumare da cruda. I medici più scrupolosi ed equilibrati vi spiegheranno che il toxoplasma, essendo un protozoo e quindi un micro-organismo, non muore con l'ammollo in amuchina, o nel bicarbonato... l'unica maniera di rimuovere il protozoo è tramite lavaggio "meccanico": sfregando e lavando bene sotto acqua corrente la frutta e la verdura che volete mangiare. Chiaramente gli ammolli in amuchina/bicarbonato vi danno una ragione in più per sciacquare poi bene gli alimenti "trattati", ma l'uso di queste due sostanze non dà garanzie specifiche di "disinfezione", proprio per il fatto che non stiamo parlando di virus o batteri. C'è quindi chi addirittura per mesi rinuncia a mangiare l'insalata... inizialmente l'avevo fatto anche io, dato che è particolarmente arduo lavarla al meglio, ma quando poi sono rimasta incinta davvero e gli insalatoni erano una tra le poche cose che riuscivo a mangiare (ho avuto un mucchio di problemi digestivi con la gravidanza), me ne sono fatta una ragione e ho proceduto a lavare con bicarbonato (solo per scrupolo) e successivi risciacqui le mie foglie di insalata. Però senza farne una malattia, così come mi sono accontentata di lavare bene solo sotto acqua corrente mele, pesche e frutti che poi avrei sbucciato.
- al ristorante o fuori casa non consumare carne cruda o poco cotta e piatti che contengano frutta o verdura crude (non è possibile avere la garanzia di un lavaggio accurato).
- se e quando pratichi giardinaggio, usa sempre i guanti e lava accuratamente le mani al termine delle tue attività all'aria aperta.

Divieto a salumi e preparazioni che li contengano senza assicurarne la completa cottura. Foto di Jessica Spengler su Wikipedia.

Eppure la psicosi "gatto-toxoplasmosi" continua a diffondersi...
Nonostante centinaia di pubblicazioni scientifiche, così come articoli di testate giornalistiche affidabili e testimonianze di veterinari e medici illuminati, abbiano ormai provato che il ruolo del gatto nel contagio della toxo è piuttosto marginale (e peraltro riguarda casi e contesti in cui non vengono rispettate le norme igieniche di base), resta nella cultura medica una certa superficialità nel comunicare i comportamenti a rischio, così come spesso passa il messaggio che nonostante le accortezze suddette sia facile prendersi la toxoplasmosi. E si alimenta quindi uno "spauracchio" che degenera presto in una vera e propria ossessione, per tante donne in gravidanza.
Io stessa mi sono sentita ripetere da tante conoscenti, ma anche da amiche: "Fai molta attenzione al gatto! Ma non sarebbe meglio allontanarlo? Lo tocchi ancora?" oppure "Non sottovalutare il pericolo toxoplasmosi!". 
La cosa più irritante è stata ricevere queste preoccupate affermazioni da amiche con un elevato livello culturale e talvolta persino specifico (laurea in medicina, dottorato di ricerca...). Vi assicuro che ci sono rimasta proprio male: cosa avrei potuto o dovuto fare di più di quel che stavo già facendo? Evitare completamente per nove mesi frutta fresca e verdura cruda? 
Quanto all'ignoranza sul ruolo del gatto non ci sono parole: sono stata io stessa a dover spiegare il meccanismo "gatto infetto -> feci in ambiente per almeno 24 ore -> ingerire feci infette per contrarre la malattia". Ma ancora, alcune persone non erano convinte... ho notato anzi una certa propensione al non approfondire la questione dal punto di vista veterinario-biologico, accontendandosi del "divieto della nonna": non toccare i gatti in gravidanza! 
E la cosa più disturbante è stata osservare, in alcune mie conoscenze, una mentalità talmente antiquata e antropocentrica (purtroppo spesso legata a una concezione biblica della gravidanza, dato che erano le stesse persone ad affermare che l'anestesia epidurale non è necessaria, è naturale soffrire al parto!), per cui dal loro punto di vista non valeva neppure la pena di approfondire la cosa: se il gatto di casa può essere anche minimamente collegato alla toxo, va senza dubbio allontanato... perchè quando si resta incinta, la cosa più importante diventa il figlio che arriverà, mentre il tuo gatto diventa immediatamente un sacrificabile orpello. Questo mi ha fatto arrabbiare ma soprattutto riflettere, e così ecco questo lungo, lungo post.

Le coccole al gatto non fanno male a nessuno! Foto di Heikki Siltala su Wikipedia.

Vi rimando infine ad una serie di articoli particolarmente accurati ed equilibrati, che affrontano la questione a mio parere approfondito e non "allarmistico":

mercoledì 4 marzo 2020

"Cat people" di Asako Ushio

Di gattofili è pieno il mondo, lo sono io e anche tanti di voi che mi leggete, ma cosa spinge un'amante dei gatti a diventare una vera e propria gattara (o gattaro)? E chi sono davvero queste persone che dedicano il loro tempo libero e tante delle loro energie al recupero, alla sterilizzazione e alla salvaguardia dei gatti liberi sul territorio? Questa è la domanda a cui l'originale film "Cat People" (traducibile in italiano come "gattari") vuole rispondere. 
La pellicola è un vero e proprio documentario sulla vita dei gattari che si prendono cura di gatti domestici e selvatici, tra il Giappone (nella famosa isola Tashirojima) e i quartieri di Los Angeles, dove lavorano i volontari di Luxe Paws. Nel mostrare le attività quotidiane di cattura, cura e sterilizzazione dei gatti randagi, con lo scopo poi di re-immetterli in salute sul territorio frenando al contempo la sovrappopolazione felina, ci si può immaginare che un "gattaro" sia solo questo: una persona un po' bizzarra, con scarsa vita sociale e famigliare, che preferisce il duro lavoro fatto sul campo (spesso nelle ore notturne), rapportandosi meglio ai felini piuttosto che agli umani. Eppure "Cat People" è un eccellente documentario perchè va ben oltre questo, indagando cosa si nasconde nell'animo umano dei gattari e altrettanto cosa possiamo cogliere nell'animo dei felini di cui si occupano. E le riflessioni che nascono dal nostro rapporto con i gatti (che siano domestici o randagi) sono assolutamente esistenziali e profonde.



Ad esempio: un gattaro è necessariamente una persona che ha voluto/dovuto incanalare il suo mancato istinto genitoriale nella cura dei felini? E davvero si può (o invece non si può proprio) paragonare l'amore per i gatti a quello per i propri figli? Mi è piaciuto tantissimo il modo, delicato, aperto e onesto, di rispondere a questa domanda... perchè non esiste un'unica verità: ciascuno ha la propria e ci possono essere mille sfumature e forme di quel sentimento atavico e potente che è l'amore, ciascuna degna di esistere e co-esistere, senza classifiche. 
E ancora: la sterilizzazione, mostrata in "Cat People" senza alcun filtro edulcorante, è davvero un bene assoluto per i gatti? Il fenomeno del randagismo felino, preoccupante e importante in molte zone del mondo, è contrastabile effettivamente solo con campagne di sterilizzazione a tappeto e senza dubbio questo protegge e tutela la salute delle popolazioni feline... eppure, presa singolarmente, una gatta incinta non suscita forse in ciascuno di noi uno spontaneo sentimento di tenerezza e protezione?
E infine, forse il tema più spinoso e complesso su cui getta luce il documentario: stiamo offrendo davvero la giusta vita ai gatti, rispettosa della loro natura più intima? I mici domestici spesso sono confinati in case e appartamenti che li proteggono certo dai pericoli del mondo, ma sottraggono loro la possibilità di manifestare i loro istinti esplorativi e cacciatori. I gatti randagi, al contrario, si vedono spesso negati cibo sicuro, un tetto sopra la testa e la difesa da pericoli tutti umani (incidenti stradali, ma anche torture e maltrattamenti), ma possono esprimere i loro impulsi felini più vitali. 




Il film, per la regia della nippoamericana Asako Ushio, è disponibile sottotitolato in italiano sulla piattaforma UAM.TV, dedicata ai temi della consapevolezza, del benessere, dell'economia sostenibile, dei diritti dell'uomo e della madre terra... oltre a "Cat People" ci sono un sacco di altri film interessanti, vi consiglio davvero di darci un'occhiata!
"Cat People" è un documentario pieno di sostanza, che suggerisco a tutti coloro che vogliano dare uno sguardo non solo alle vicende dei gattari ma anche porsi qualche domanda su come si è evoluto - nell'ultimo secolo - il nostro rapporto con i gatti. Perchè se è indubbio che tutti noi li amiamo, è allora ancora più importante capire in che modi e maniere quest'amore può concretizzarsi nella nostra e nella loro vita.

lunedì 17 febbraio 2020

La frase del giorno: Sonia Campa

I gatti rappresentano dei ponti eccezionali per affacciarsi ai temi dell'ambiente, dell'ecologia, della psicologia e dell'etica che riguardano la relazione dell'uomo con gli animali non-umani e persino con sé stesso. (...) Il gatto riesce a immergerci in un mare di contatto autentico, primitivo con la natura, pur continuando a cullarci, a trasmetterci attraverso le sue fusa e le sue lusinghe lascive il senso di calore, di affetto, di dolcezza legata al sentimento e alla casa. Il gatto riesce a mettere in comunicazione il mondo dell'uomo di oggi con il resto del sistema dei viventi, aderendo a certe coordinate affettive umane ma, nello stesso tempo, negando l'idea di possesso e di controllo per spingerci verso logiche più ecosistemiche, all'interno delle quali (...) ci sentiamo parte di un disegno complessivo più ampio.
Sonia Campa

Paciocca in giardino

In occasione della "festa del gatto", quest'oggi ho scelto questa bella citazione per rimarcare il valore aggiunto del nostro micio e del rapporto che abbiamo (o potremmo avere) con lui. Spesso tendiamo solo a dargli importanza in quanto amabile, curioso e socievole animale domestico, talvolta addirittura ci dimentichiamo di quanto potenziale "selvatico" abbia ancora e dovrebbe poter esprimere... perchè la possibilità per il nostro gatto di esperire un legame con la natura arricchirebbe tanto lui quanto noi, osservandolo ed eventualmente accompagnandolo in questa dimensione da cui siamo sempre più lontani. 
Tante volte ho riflettuto sul fatto che Paciocca è estremamente fortunata: non solo ha una casa con tutti i confort a disposizione, ma può tutti i giorni uscire liberamente in un ampissimo giardino, dove arrampicarsi, cacciare, esplorare, marcare il suo territorio e sorvergliarlo dai "suoi" posti preferiti. E altrettanto mi sono resa conto di quanto fortunata sia io, a poterla accompagnare nelle sue perlustrazioni, che mi hanno dato spesso occasioni preziose per aprire gli occhi sulla natura che ci circondava: e così ho scoperto funghi, fiori ed insetti, sono diventata testimone della lotta per la sopravvivenza tra piante e parassiti, ho raccolto gusci di uova di uccelli selvatici ormai involati... e quanto altro ancora! Credo fermamente che una parte della mia attenzione, empatia e interesse per l'ecologia, l'ambiente e la natura, sia stata stimolata proprio dalla convivenza con i miei gatti... così importanti per me, seppur così diversi da me: questa è stata una miccia che ha acceso la mia curiosità e sensibilità per anche il resto del mondo vivente.
E così è proprio vero che il gatto, tra i mille pregi che già ha e che oggi festeggiamo come uno dei più amati tra gli animali domestici, riesce in un qualche modo anche a metterci in comunicazione non solo con lui stesso, ma anche con il resto della natura, dandoci modo di sentirci parte di un unico, meraviglioso ecosistema. O per lo meno, questo sarebbe l'ideale rapporto da ricercare con il nostro gatto, oltre le coccole, le fusa, il piacere che proviamo nel prenderci cura di lui.
Troppo spesso, in questi ultimi decenni, ho avuto l'impressione che il nostro rapporto con gli animali "da compagnia" (forse addirittura più nel caso del gatto che del cane, con il quale siamo in un qualche modo "obbligati" a ritrovarci all'aperto per le passeggiate) stia diventando sempre più "snaturato", nel senso che lo esperiamo semplicemente tra le quattro mura domestiche, dove il micio riesce a manifestare pienamente solo una parte dei suoi istinti e della sua "vera anima". E questo impoverisce il felino ma parimenti l'uomo, che si riduce a considerare l'animale solo come una propria "propaggine", dimenticando la grandezza e la meravigliosità della natura all'esterno.
Certo mi rendo conto che la possibilità di fare uscire all'aperto il proprio gatto non è per tutti, eppure allora mi viene da dire che - in ogni caso - dovremmo cogliere al volo l'occasione del rapporto con lui, con un animale non-umano, con il quale comunichiamo in modi e maniere non certo principalmente verbali, dovrebbe darci la spinta per aprirci alla natura tutta, alle creature viventi che ci circondano e all'ecosistema che andiamo ad occupare... perchè il nostro gatto, se potesse, ce lo dimostrerebbe in maniera mirabile, che tutto è connesso e che, per quanto si possano amare i confort casalinghi, esiste anche una dimensione di libera naturalità da cui discendiamo e che non possiamo rinnegare. 
Sarebbe bello che questa "festa del gatto", oltre che i video simpatici su youtube e facebook, diventasse anche l'occasione per ricordarci questa "potenzialità ecosistemica" del nostro micio: uno dei doni più preziosi che potrebbe farci, oltre al suo amore che già sperimentiamo ogni giorno.

sabato 30 novembre 2019

Aspettando il Natale... un po' controcorrente!

Ultimo giorno di novembre: da domani, anche i più recalcitranti (come ahimè lo sto diventando io), dovranno rassegnarsi ad entrare a pieno diritto nell'atmosfera natalizia, che ci è stata imposta ormai con diverse settimane d'anticipo. Devo essere sincera... amerei molto il periodo di Natale, adoro decorare la casa fuori e dentro, fare i dolci tipici, così come mi piace organizzare cene e pranzi festivi con amici e parenti. Altrettanto amo pensare ai regali per le persone care, mi immergo volentierissimo in letture natalizie, mi sciolgo in brodo di giuggiole di fronte ai mielosi film di Natale, programmo sempre almeno un giorno in qualche località famosa per mercatini natalizi, meglio se con la neve... eppure, anche per un'entusiasta come me, negli ultimi anni trovo che si stia amaramente esagerando, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche: al supermercato il primo panettone l'ho avvistato (non scherzo) a fine settembre. In ottobre, mentre imperversava il marketing spinto per Halloween, in tv iniziavano già a comparire le pubblicità con jingle natalizi completamente fuori luogo. Con l'arrivo dei primi di novembre, non c'è stato più freno... sembrava che fosse già pieno periodo natalizio: alberi di Natale e decorazioni ovunque nei negozi, eventi in città pompati all'inverosimile (inaugurazione delle bancarelle a metà novembre, con annesse luminarie già tutte completamente accese... spettacolari, lo ammetto, ma ora di Natale non ci avremo già fatto l'abitudine?), perfino qualche coraggioso (?) cittadino ha decorato il giardino e acceso le luci natalizie in contemporanea, aumentando il mio fastidio.

Le vie di Ferrara già illuminate a Festa a metà novembre...

E' come se la nostra società volesse cancellare i periodi "normali", come lo era un tempo novembre: un mese forse un po' lugubre, lo ammetto, molto piovoso... ma era l'anima più cupa dell'autunno, forse proprio quel periodo che poi faceva salutare con ancora più gioia il primo albero di Natale, il primo balcone illuminato dalle lucine, l'idea di iniziare a pensare ai regali, il desiderio di un weekend sulla neve tra i mercatini, l'aspettativa delle festività, la festa in tavola per un dolce dal sapore tipicamente natalizio. 
E' chiaro che il Natale fa vendere molto e di più di un anonimo novembre... ma a questo punto, se guardassimo a come gira il mondo in Occidente, potremmo comodamente cancellare novembre dal calendario o cambiargli nome, rinominandolo ad esempio "Predicembre". L'anima di novembre è stata uccisa, neanche troppo lentamente o timidamente, da una società dove è il marketing a dettare il calendario e come ci dobbiamo sentire: Natale sta arrivando, è già ora di pensarci e fare compere, di sentirci felici! 
E invece, affrettando così le cose, felici probabilmente ci sentiamo sempre meno... e arriviamo al 25 dicembre già nauseati, sicuramente già assuefatti al clima festivo, per cui non resta più nulla da apprezzare davvero: la piazza illuminata a festa è solo un insieme di edifici e di lucette a led, il panettone in tavola ha il sapore usuale come quello di un Buondì (in fondo, lo stiamo mangiando da settimane, no?), le musiche natalizie ci fanno lo stesso effetto di un ripetitivo e martellante tormentone estivo. Che bel guadagno!

Un bel panettone: sicuri di averne ancora voglia a Natale, se iniziamo ad assaggiarlo a novembre? Foto di Nicola Wikipedia.

Ovviamente sta ad ognuno di noi vivere in maniera personale e critica ciò che la società ci propone/impone, decidendo cosa accogliere e cosa rifiutare, eppure è sempre più difficile sfuggire a questa finta euforia natalizia che si scatena fin dai primi di novembre... e parlo io che vivo in campagna, per cui per fortuna non devo ritrovarmi ad ogni uscita da casa le vie di Ferrara illuminate a festa, le vetrine con la neve finta e le palle di Natale! 
Se guardo fuori dalla mia finestra, siamo ancora in un autentico e naturale novembre: le foglie ormai quasi tutte a terra, tanta pioggia, gli uccellini che visitano ormai quotidianamente la mia mangiatoia, nessun segno del Natale che sta arrivando. Per carità, a brevissimo inizierò anche io i preparativi tradizionali, ma mi secca tanto avere sempre meno entusiasmo per un periodo che adoravo... 
Ad ogni buon conto, questo post non vorrebbe essere solo uno sfogo personale e abbastanza fine a sè stesso sul marketing natalizio... anzi, l'idea principale sarebbe un'altra! 
Girellando in internet ho trovato una bella idea per vivere un po' diversamente l'attesa natalizia, per riempire questo periodo che ci separa dal 25 dicembre con attività legate alla natura. Si tratta di un vero e proprio "calendario d'avvento" in versione "wild", inerente solo e unicamente al mondo naturale o, eventualmente, agli animali domestici. L'idea mi è piaciuta tanto e ho pensato di riproporvela!



L'originale arriva dal sito americano "Wilder Child" (per incentivare nei bambini un legame più quotidiano e stretto con la natura, soprattutto grazie all'educazione e al coinvolgimento dei genitori e delle famiglie): se conoscete l'inglese, potete seguire comodamente anche la loro versione (graficamente più bella e curata della mia). Oggi come oggi il "calendario d'avvento" è una pratica destinata ai bambini più o meno grandi, ma se impostata in maniera seria può dare degli spunti di riflessione anche a noi adulti... in particolare una versione come questa, che si propone di darci l'occasione di entrare quotidianamente a contatto con la natura e il mondo non umano. Un bell'antidoto contro il folle marketing "natalizio", non trovate?
E così vi offro la mia versione, ispirata chiaramente a quella di Wilder Child ma tradotta in italiano e riadattata... l'idea sarebbe di ritagliare ogni bigliettino (ciascuno corrisponde ai giorni 1-24 dicembre), piegarli e metterli alla rinfusa in un contenitore a vostra scelta: ogni giorno estrarre a sorte un bigliettino e cercare di mettere in pratica il suggerimento scritto. Ovviamente c'è ampia libertà di adattamento: se alcune attività proposte non si adeguano al meteo o ai vostri impegni di quel giorno, si può liberamente scegliere un altro bigliettino. Così come si può, al contrario, non ritagliare i bigliettini e tenerli semplicemente così, in bella vista, scegliendo giorno per giorno l'attività che ispira di più... o cambiandola, modificandola a proprio piacimento. L'importante è trovare un po' di tempo quotidiano, da qui a Natale, per la natura. Forse arriveremo alle feste un po' meno nauseati, sicuramente molto arricchiti dalle esperienze che avremo maturato a contatto con il mondo selvatico... l'opposto del mondo umano patinato (e spesso finto) che ci circonda in questo periodo. E poi, chissà... forse in questo modo scopriremo che anche dicembre ha un'anima tutta sua speciale e selvatica, indipendente dalle feste di Natale... vi va di provarci insieme?


Clicca sull'immagine per visualizzarla grande e poi salvala sul pc. Altrimenti... contattami via email (rumoredifusa@gmail.com) ti spedirò il PDF!

Io ci proverò senz'altro e vi aggiornerò a iniziativa finita di com'è andato il mio "avvento selvatico"! Vi consiglio davvero di lanciarvi in questa (o in una simile) iniziativa, non perchè sia io a proporla, bensì perchè ho già sperimentato come un piccolo proposito come questo possa davvero dare una qualità diversa alle giornate e alle settimane... e ai più fortunati di voi dico: non chiudetevi dietro al pensiero "beh, tanto io vivo già abbastanza a contatto con la natura, non ho bisogno di un'attività così strutturata", perchè tante volte l'ho pensato anche io per me stessa... per poi ricredermi e scoprire che un piccolo impegno effettivamente progettato e ideato per ogni singolo giorno, vi dà modo di assaporare anche meglio il vostro "vivere selvatico". Un po' come è successo a me per l'estivo "30 days wild", di cui vi parlai anni fa... per cui amici, se l'idea vi piace e come me siete davvero già nauseati dal Natale commerciale, vi aspetto per questa piccola avventura natalizia controcorrente!
Buon inizio dicembre a tutti... e buona autentica attesa del Natale!

venerdì 22 novembre 2019

La frase del giorno: Eckhart Tolle

"E' così meraviglioso guardare un animale, perché un animale non ha opinioni di se stesso. Lui è!
Questa è la ragione per cui il cane è così felice e il gatto fa le fusa. 
Quando coccoli un cane o ascolti un gatto che fa le fusa, la mente può fermarsi per un istante e uno spazio di calma sorge dentro di te, un passaggio per entrare nell'Essere."

Eckhart Tolle



Che la chiave della felicità sia proprio il non avere opinioni di sè stessi, nè soprattutto pensieri e preoccupazioni, come i nostri amici animali? Vivere solo il momento presente (che, in fondo, è l'unico nel quale siamo davvero...) e concentrarci prevalentemente sul "qui ed ora"?
Possono sembrare domande ormai banali, anche un pochetto trite e ritrite, ma in realtà trovo che sia sempre più difficile tornare e restare al nostro "qui ed ora", soprattutto da quando, grazie alla realtà virtuale, il "qui" vero e proprio non è più limitato solo al luogo fisico nel quale stiamo vivendo, ma si estende ipoteticamente a tutto il mondo con il quale è possibile essere connessi...
Credo sia impossibile, per un essere umano del terzo millennio, riuscire a sospendere in pianta stabile pensieri, opinioni e preoccupazioni riguardanti sè stessi, ma anche il mondo che ci circonda, il futuro che ci attende e il passato che stiamo lasciando... fa parte della natura umana riflettere, ragionare, forse anche rimuginare, e soprattutto pianificare, progettare e quindi preoccuparsi per il futuro. E, obiettivamente, la realtà della nostra epoca ci dà svariati motivi per essere pensierosi...
Eppure è anche vero che, oggi come oggi, non bastassero le "normali" preoccupazioni ed occupazioni quotidiane, ci si aggiunge un bel po' di rumore inutile e dannoso, quello creato soprattutto dagli stimoli virtuali ed estemporanei dei social network, dalle notifiche di email, messaggi e chat di whatsapp, che ci danno modo di commentare, spesso polemizzare, e comunque interagire quasi costantemente con altre persone, idee, opinioni.
E che gran fatica è, spesso una fatica inutile che ti casca tra capo e collo senza che tu abbia davvero scelto di dedicare il tuo tempo e le tue energie proprio a quell'argomento, a quella tematica, a quella discussione specifica. Si dovrebbe interrompere questo circolo vizioso, limitare la nostra ormai costante connessione internet che ci insegue ovunque sul nostro smartphone, e ricordarci che la nostra mente e il nostro equilibrio intero trarrebbero molto più beneficio da una vita più "disconnessa", più concentrata sul concreto qui ed ora, e per "qui" intendo solamente il luogo fisico che si sta occupando.
Per cui ecco una ragione in più per trascorrere del tempo con il nostro gatto o il nostro cane, meglio ancora se all'aperto per una bella passeggiata in natura... ma anche una mezz'ora di coccole sul divano, senza interruzioni o disturbi di sottofondo, è in grado di rasserenarci, rilassarci, riportarci in contatto con la piacevolezza del vivere solo il "qui ed ora", ritrovando una preziosa calma anche grazie all'affetto del nostro animale e alla naturalezza con cui è bello spendere del tempo insieme.
Il vostro cane e il vostro gatto vivono nella dimensione più importante che ci sia: quella del presente, del momento attuale, nella concretezza del luogo che stanno occupando in quel preciso istante. E dimostrano di saperne godere a pieno, come forse noi stiamo dimenticando sempre più, anche a causa dell'iper-connessione.
Certo, come esseri umani siamo chiamati ad avere anche pensieri lungimiranti, fare riflessioni sulla nostra storia e previsioni sul nostro domani, la nostra profonda auto-consapevolezza è un tratto innato della nostra specie... ma allora è davvero stupido, per degli esseri tanto intelligenti quali dovremmo essere, sprecare tanto tempo e tante energie in chiacchiere vuote, distrazioni perenni, stimoli evanescenti, come quelli che ci arrivano dal mondo virtuale (soprattutto) dei social network.
Se il nostro micio o il nostro cane riescono a dare un sano taglio a queste dannose abitudini, che temo un po' tutti rischiamo di assumere... beh allora, passiamo ancora e sempre più tempo in loro compagnia!

lunedì 30 settembre 2019

Greta Thunberg, necessaria ma non sufficiente

Nelle scorse settimane Greta Thunberg è salita di nuovo alla ribalta grazie alla sua partecipazione al vertice ONU sul clima e soprattutto in virtù della clamorosa adesione in tantissime nazioni ai vari "scioperi per il clima", da noi svoltosi con straordinario successo lo scorso venerdì. Piazze e strade piene, colme di giovani più o meno arrabbiati, più o meno consapevoli, a richiedere a gran voce che i nostri governanti ascoltino il grido di sofferenza del pianeta, agendo immediatamente di conseguenza con politiche verdi concrete e urgenti. 
Sono rimasta piacevolmente colpita dalla grande adesione che Greta è stata in grado di suscitare tra il pubblico giovanile (e non solo): dobbiamo esserle grati per aver reso il "problema ecologico" qualcosa di quotidiano per cui battersi a tutti i livelli della società... finalmente la crisi ecologica non è più solo appannaggio della comunità scientifica che, da decenni, non sa più con quali altri mezzi e quali altre parole comunicare la grave emergenza e richiamare l'attenzione della politica e dell'economia, le due ruote che fanno girare la nostra società. Potere e soldi. Non mi illudo che migliaia di giovani abbiano più voce in capitolo degli scienziati, ma magari una protesta così plateale e trasversale può coinvolgere anche altre fasce della popolazione. 

Greta Thunberg, foto di Anders Hellberg su Wikipedia.

Ma c'è un ma. Ho letto moltissimi articoli, commenti e approfondimenti sulle proteste studentesche dello scorso venerdì, seguito trasmissioni a livello nazionale e locale. Sono riuscita però a focalizzare con lucidità cosa mi stonasse, nel vedere quei lunghi cortei e quella rabbia giovanile, solo quando ho letto il magnifico post di Dario Bressanini, che vi invito caldamente a leggere con calma. Apprezzo Bressanini - "amichevole chimico di quartiere" ed eccellente divulgatore scientifico - da anni... ma trovo che nel suo articolo sia riuscito, sinteticamente per quel che era possibile, a centrare esattamente il problema: Greta Thunberg e la protesta giovanile sono necessari, ma certo non sufficienti.
Perchè? Perchè la crisi ecologica è complessa, talmente complessa ormai che non necessariamente potremo ancora trovare il bandolo della matassa da cui cominciare. Non si tratta solo di volontà personale o collettiva, nè solo di decisioni singole o politiche... il punto è che le rinunce efficaci che la crisi ecologica ci imporrebbe (ed è un "ci" rivolto all'intera umanità, riguarda tanto me, quanto Donald Trump, quanto un bambino povero del Congo) sono attualmente impensabili. Bisognerebbe intanto riuscire a considerare e gestire il nostro pianeta come se fosse davvero "un'unica Terra" (che paradosso, dato che lo è!)... invece l'umanità è nettamente divisa per ricchezza, povertà e culture inconciliabili. Come seguire allora una linea comune? E qualora anche si riuscisse ad individuare una sorta di politica mondiale condivisa, davvero riusciremmo tutti a vivere con meno, con poco, per certi versi con niente? Davvero saremmo disposti a rinunciare all'auto, ad avere più di un figlio o forse perfino nessuno (eccolo, il grande convitato di pietra nella questione ambientale), a un'alimentazione pure moderatamente onnivora, al nostro stile di vita insostenibile? Perchè di questo si tratta, con buona pace sia della rabbia degli studenti, sia dell'indifferenza di fondo dei politici.
Sono argomenti scottanti, spinosi, dolorosi e scomodi... e con questo non voglio certo gettare la spugna e dire che il poco che facciamo nel nostro quotidiano non conti: conta certamente, per la nostra coscienza personale, per non tirarci indietro e per farci trovare già pronti ad accogliere un cambiamento sostanziale, se mai dovesse arrivare. Ma non dobbiamo farci troppe illusioni: ciascuno di noi, proprio come Greta, è necessario ma non sufficiente. 
E così ha ragione Bressanini quando sostiene che l'unica speranza che abbiamo è che l'umanità riesca a comprendere e gestire la complessità del problema ecologico: una crisi che non si risolve certo solo con la scienza acclamata dai ragazzi e da Greta, perchè invece oggi è l'economia il terreno fondamentale sul quale innestare i semi del cambiamento, passando per la politica e le scienze sociali. 
Ce la faremo, o è già troppo tardi? La protesta di Greta Thunberg riuscirà a scalfire davvero lo scudo di disinteresse della politica mondiale, andando a sostituire almeno alcuni degli interessi meramente economici con quelli ambientali? E noi piccoli cittadini, del nostro paese e del mondo intero, avremo mai la speranza di vedere i nostri gesti quotidiani di rispetto per la natura avere un qualche peso - oltre a quello educativo e di principio - per la salute del pianeta?