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martedì 29 agosto 2017

Siccità ed emergenza animali selvatici: limitare la caccia?

Giunti ormai al termine di un'estate rovente com'è stata questa del 2017, non si contano i danni all'agricoltura e all'ambiente tra incendi, siccità estrema e varie altre problematiche legate a questo clima insostenibile. Le associazioni animaliste e ambientaliste, durante le scorse settimane, hanno spesso cercato di attirare l'attenzione sulle gravi difficoltà vissute da tante specie di animali selvatici, anch'essi messi in ginocchio dalla mancanza d'acqua, con fiumi in secca e un ambiente sempre più arido e torrido, più somigliante all'Africa che all'Italia. Ovviamente è difficile intervenire su larga scala per aiutare gli animali selvatici e un semplice appello fatto ai privati cittadini che vivono in periferia, in campagna o al limitare di boschi, è stato quello di mettere sempre contenitori di acqua fresca nel proprio giardino, dando modo ai selvatici di passaggio di abbeverarsi, dal momento che in natura trovare una fonte d'acqua (e non ormai putrida) è diventato impossibile.


Eppure, con il finire di agosto, sta per arrivare una data fatidica, che potrà segnare ancora di più il destino dei selvatici già allo stremo delle loro forze: con l'inizio di settembre, riapre la caccia. Sono tantissime le associazioni, ma anche i responsabili dei Centri di Recupero Animali Selvatici (ad esempio il qui citato "Il Pettirosso" di Modena), che da settimane stanno chiedendo a gran voce quantomeno il rinvio e alcune limitazioni, se non la sospensione, della stagione venatoria per questo 2017. Anche l'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) raccomanda alle Regioni italiane una forte limitazione della caccia, per non infliggere il colpo di grazia ai selvatici seriamente messi alla prova da incendi e siccità. "L'Ispra consiglia alle Regioni di sospendere l'allenamento dei cani da caccia (che stressa la fauna selvatica), vietare la caccia da appostamento (che si svolge presso gli scarsi punti di abbeverata rimasti), posticipare all'inizio di ottobre o limitare numericamente la caccia agli uccelli acquatici (come le anatre) e alle specie oggetto di ripopolamento (come lepri e fagiani), vietare per due anni la caccia nelle zone colpite da incendi (fonte: Ansa)". Alcune Regioni, pur confermando fin d'ora l'apertura regolare della caccia, hanno programmato in effetti alcune limitazioni orarie e/o di specie cacciabili. Resto perplessa di fronte alle limitazioni orarie, come se anatre, colombacci e volpi sapessero guardare l'orologio per uscire dal loro nido o dalla loro tana, ma al contempo, in sincerità, non mi aspettavo di meglio. Soprattutto dopo un'estate in cui c'è stata l'ennesima dimostrazione di becera ignoranza umana di fronte alle esigenze degli animali, nella triste, tristissima vicenda che ha visto uccisa l'ennesima orsa, stavolta l'esemplare "KJ2". Dispiace vedere che, nella scala delle priorità degli esseri umani, gli animali (e in particolare quelli selvatici) occupano ben facilmente l'ultimo posto, o addirittura non entrano neppure in classifica. Cambieranno mai le cose?

venerdì 16 gennaio 2015

"Ho visto piangere gli animali" di Giancarlo Ferron

Era da tanto tempo che volevo leggere "Ho visto piangere gli animali", consigliatomi proprio su questo blog da uno dei miei affezionati lettori... ed è stato così che ho iniziato il mio 2015 letterario, con questo bel libro: autentico e vissuto, a tratti poetico e a tratti crudo. Giancarlo Ferron, l'autore, è un guardiacaccia che per anni ha lavorato sulle montagne vicine all’altopiano di Asiago e attualmente lavora sul monte Pasubio. Narratore per vocazione, in "Ho visto piangere gli animali" racconta infatti le proprie esperienze come guardiacaccia, in eterna e agguerrita lotta contro i bracconieri, ma narra anche delle meraviglie del bosco, della ricchezza e saggezza della Montagna, luogo unico e prediletto per sentirsi in armonia con la natura.


Giancarlo Ferron svolge la sua professione con passione, dedizione, forza e coraggio; colpisce davvero leggere in cosa consista essere un guardiacaccia, con appostamenti notturni, emergenze e veri e propri inseguimenti nel bosco... per ogni bracconiere colto con le mani nel sacco, per quel poco che valga, abbiamo la consolazione che i troppi animali barbaramente uccisi sono stati, in un qualche modo, vendicati. E se pure in "Ho visto piangere gli animali" ci sono pagine dolorose e crude, dedicate ai metodi raccapriccianti usati dai bracconieri per uccidere e infliggere le peggiori pene agli animali selvatici, Giancarlo Ferron riesce a raccontarci questo mondo con la schiettezza e la pragmaticità di chi lavora a contatto con queste problematiche e sa bene che parlarne è un passo importante per delegittimare i bracconieri.
La seconda e la terza parte di "Ho visto piangere gli animali" riguardano gli animali appunto e la natura: racconti talvolta poetici, che si soffermano a riflettere sulla bellezza e varietà delle creature viventi ma anche sullo splendore dell'ecosistema nel quale vivono, sulla necessità di proteggerlo e di tutelarlo. Vi consiglio fortemente di leggere questo bel libro, una finestra autentica sulla professione del guardiacaccia, ma anche una serie di "cartoline-ricordo" dedicate alla montagna e alle sue meraviglie. Io non mancherò di leggere altri libri dell'autore (qui per visitare il suo sito), che continua a scrivere con passione i suoi ricordi e le sue esperienze di vita vissuta a contatto con animali e natura.

sabato 13 settembre 2014

La frase del giorno, per Daniza: Fulco Pratesi

Tanti anni fa io ero un cacciatore. Un giorno, mentre mi trovavo a caccia di orsi nei boschi della Turchia, ho assistito ad una scena che mi ha cambiato la vita: un'orsa con i suoi tre cuccioli, a pochi metri da me. In una manciata di secondi ho capito che stavo facendo una follia. Sono tornato in Italia, ho venduto i fucili e, con un gruppo di amici appassionati di natura, ho fondato il WWF. In me era nato un sogno: proteggere gli animali, gli ambienti, fare qualcosa per costruire un mondo di armonia tra uomo e natura.
Fulco Pratesi, Presidente Onorario di WWF Italia
Immagine tratta da QUI
Mi sono imbattuta in questa frase la scorsa settimana, in occasione dell'ottantesimo compleanno di Fulco Pratesi, fondatore di WWF Italia e oggi suo Presidente Onorario. Leggerla in questi giorni lascia un sapore amaro, amarissimo: un gusto di drammatica tristezza e insopportabile ingiustizia, per una vicenda gestita male fin dall'inizio. Ormai la notizia ha fatto il giro di tutta Italia: Daniza, l'orsa bruna con al seguito due cuccioli che stava allevando e proteggendo (e malaguratamente li ha difesi da un cercatore di funghi, ferendolo), è morta, uccisa da una dose troppo massiccia di anestetico.
Vorrei essere breve sulla vicenda, invitandovi soprattutto ad informarvi leggendo i tanti articoli che sono stati pubblicati da quotidiani, da siti delle più importanti associazioni ambientaliste ed animaliste italiane, che ora chiedono soprattutto tre cose: che si faccia chiarezza sulla morte dell'orsa per capire quando la sua triste sorte sia stata accidentale; che i suoi due cuccioli di 8 mesi, rimasti orfani ben prima di essere considerati autonomi, siano monitorati e protetti qualora risultasse chiaramente a rischio la loro sopravvivenza; che questa storia non si ripeta più. 
A questo proposito, vi invito fin d'ora a firmare la petizione della LAC (Lega Abolizione Caccia) per revocare la delibera sull'uccisione degli orsi in Trentino: potete firmare qui.
Ed ecco alcuni articoli:
E per non essere solo arrabbiati ma anche un pò propositivi, vi mostro un bel video di WWF appunto per promuovere un mondo di armonia tra uomo e natura: "viaggiare sicuri nel paese degli orsi".

Chiudo questo post citando un pezzo di un articolo illuminante, che vi consiglio di leggere integralmente: "Daniza voleva solo vivere", scritto dalla Dott.ssa Annamaria Manzoni, che riassume perfettamente dov'è stato (dove è sempre stato e dove purtroppo starà ancora lungo, aggiungo), il problema grave che ha condotto all'evitabile morte di un'orsa e ora mette a serio rischio la vita di due cuccioli:
"Daniza che difende i suoi piccoli e che per questo viene condannata, è solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, di un animale che non fa altro che esprimere le proprie caratteristiche di specie e che per questo viene punito dall’uomo. Uomo il cui giudizio, sempre guidato dall’interesse, in queste situazioni sembra equiparare a sé gli animali, riconoscendo loro la responsabilità di scegliere tra bene e male, li ritiene colpevoli di comportamenti che violano la pacifica convivenza interspecifica stabilita secondo parametri esclusivamente umani; lo stesso uomo che, in ogni altro contesto, tratta gli stessi animali come esseri inferiori quando non semplicemente cose".
Ciao Daniza, non siamo stati all'altezza di gestire il tuo sacrosanto istinto materno e il tuo diritto di esistere, libera e compresa nelle tue necessità, accanto alla nostra civiltà... speriamo almeno di dimostrarci in grado di prenderci cura dei tuoi cuccioli, che un giorno possano diventare orsi adulti e liberi, in una natura che è nostra tanto quanto loro.

giovedì 29 maggio 2014

La "piramide della felicità" del gatto

Recentemente ho avuto l'occasione di assistere ad un seminario dedicato al rapporto tra uomini e gatti, tenuto dalla bravissima dott.ssa Sonia Campa, consulente comportamentale specializzata in gatti (se volete visitare il suo sito internet: Pet Ethology). Tra le tante cose interessanti di cui la dott.ssa Campa ha parlato, alcune in particolare mi hanno colpita molto ed oggi ve ne parlo. Vi siete mai domandati, ad esempio, quando possiamo affermare che il nostro gatto è felice? Ebbene, possiamo valutare la felicità del nostro gatto non solo da esperienze quotidiane come le fusa o il suo stato di benessere momentaneo, ma anche considerando il quadro generale del suo modo di vita. In particolare, la dott.ssa Campa suggerisce di valutare la felicità del nostro gatto tenendo presente la "piramide dei bisogni" che vanno soddisfatti per sentirsi appagati dalla propria vita.


Alla base di tutta la piramide si trovano i bisogni primari, che sono quelli che possono accomunare un pò tutti gli animali (uomini compresi) e si tratta delle necessità fisiologiche: alimentazione, sonno, riproduzione, omeostasi (situazione di equilibrio del proprio organismo). Soddisfatti questi, è importante soddisfare i bisogni etologici: si tratta di esigenze innate, che sono però specifiche di una certa specie. Nel caso del gatto troviamo diversi bisogni etologici:
1. la caccia: nei millenni di evoluzione, il gatto si è specializzato come predatore e soddisfare questo istinto è per lui sempre fondamentale. Quei gatti che non hanno modo di cacciare, sfogano questo istinto nel gioco, che è un modo di "accontentarsi" esprimendo comunque la predazione.
2. la sicurezza: il gatto ha una profonda necessità di sentirsi al sicuro, sia a livello di incolumità fisica, che in termini di sicurezza emotiva. Per questo spesso i gatti odiano le porte chiuse e reclamano a gran voce che vengano aperte: non lo fanno per spirito di contraddizione, lo fanno perchè avere una via di accesso sbarrata non li fa sentire padroni della situazione! 

Immagine da web, fonte: QUI
3. avere un proprio territorio: il nostro micio conosce perfettamente la propria casa e (se è fortunato) il proprio giardino, è consapevole dei rischi e dei vantaggi che si trovano nell'ambiente ed instaura un legame fortissimo con il suo territorio. Avere uno spazio conosciuto nel quale muoversi si lega alla necessità di sicurezza del gatto, che fissa precisi riferimenti nel suo ambiente, per sapere dove rifugiarsi in caso di pericolo e quali zone evitare; ma il territorio - e la possibilità di esplorarlo - è importante per il gatto anche per permettergli di arricchirsi a livello cognitivo ed emotivo. Un pò come per noi uomini!
4. esplorazione: si lega al bisogno etologico precedente, nonchè alla possibilità di cacciare. Il gatto è un predatore occasionale: non parte da casa con la precisa intenzione di andare a caccia, ma mentre esplora il territorio si cimenta nella predazione qualora si imbatta in qualche tipo di preda interessante. Ecco perchè sarebbe fondamentale permettere al gatto di soddisfare anche questo di bisogno di esplorazione, eventualmente arricchendo spesso il suo ambiente (pure se si tratta di un appartamento chiuso) in modo da dargli l'occasione di "scoprire" oggetti ed esperienze nuove.

Pauline, micia del gattile di Ferrara in cerca di adozione
In quanto ai bisogni soggettivi, si tratta del "modo" di esprimere e di soddisfare le proprie necessità tipico di ogni micio a seconda del proprio temperamento, e sappiamo quanto questo possa essere personale! Ci sono ad esempio quei gatti che, per soddisfare la loro esigenza di predazione tramite il gioco, amano rincorrere palline di carta stagnola... mentre altri vorranno tassativamente solo topini di peluche. Pensate che i mici si specializzano anche nella caccia, a seconda delle loro inclinazioni soggettive: esistono i gatti specializzati nella caccia ai topi, ma anche quelli specializzati nella caccia agli uccellini. L'avreste mai detto?
Tra i bisogni soggettivi troviamo insomma le necessità più intime e personali del nostro gatto: quelli che spesso sappiamo riconoscere solo noi, i "suoi umani". Così ad esempio sappiamo riconoscere quando il nostro micio ha voglia di coccole e quando di essere lasciato in pace, quando ci sta chiedendo croccantini piuttosto che cibo umido, quando ha bisogno di essere rassicurato e quando gli stiamo francamente dando a noia.

Rossana, micia in attesa di adozione per "A Coda Alta"
Ora che avete letto questo post, cosa mi rispondereste sulla felicità del vostro gatto? Spesso tanti problemi di convivenza tra uomini e gatti derivano da piccole frustrazioni dei bisogni del micio, che talvolta possono essere fraintesi o proprio non compresi da noi umani. E, riguardando la piramide della felicità... è interessante notare che questo schema può ben valere anche per noi uomini, anche se naturalmente rispetto al gatto variano i nostri bisogni etologici e soggettivi!

venerdì 13 dicembre 2013

Morte in dicembre

Dicembre, poco prima dell’Immacolata: all’alba i campi si svegliavano brinati, la luce del sole restava soffusa e zuccherina fin verso metà mattina, gli uccellini frullavano tra i cespugli mentre grossi fagiani perlustravano le zolle, becchettando di tanto in tanto.
Era stata una mattina di spari.
L’ultimo era esploso in aria pochi istanti prima che io uscissi di casa, dopo pranzo, insieme alla mia gatta. Eravamo solite fare un giro in giardino nelle ore più calde della giornata, per poi tornarcene in casa: io alle mie occupazioni, lei a poltrire come ogni buon gatto domestico. Non appena però la gatta svoltò dietro il magazzino, si irrigidì gonfiando il pelo, assumendo la posizione di caccia: aveva visto qualcosa.
Non riuscii a individuare nulla, finché non fui guidata da uno strano rumore, un rantolio: c’era un colombo a terra, visibilmente in difficoltà. La gatta si avvicinò con cautela e io feci altrettanto: il povero colombo cercò di allontanarsi, ma era come piantato nel terreno, terrorizzato. Pensai che avesse un problema alle ali, ma poi ricordai il colpo di fucile di pochi minuti prima: era stato sicuramente colpito da un cacciatore.
Tenni la gatta lontana per cercare di valutare meglio la situazione, ma come risultato ebbi che spaventai ancora di più l’animale ferito, che cadde a zampe all’aria: in quel momento vidi due piccole macchioline di sangue sul piumaggio del petto. Gli occhi del colombo mi fissavano atterriti, le zampe impiastricciate di fango, il corpo esposto ad ogni aggressione, mentre il suo rantolio si fece incontrollabile. Stava agonizzando.
Ma io non mi ero resa conto del tutto della gravità della situazione. Dentro di me, anzi, stavo elaborando un piano di emergenza: avrei sistemato l’uccello ferito in una cassetta e messo in un luogo riparato, sperando che si riprendesse. Il centro LIPU era chiuso - era sabato – ma potevo comunque provare a telefonare. Questo pensai, mentre prendevo la cassetta.
Solo pochi istanti e mi resi conto di quanto le mie idee fossero vane: appena mi avvicinai con la cassetta in mano, scoprii che l’uccello era morto. Le palpebre semichiuse avevano accolto il sonno definitivo per quella creatura che, inconsapevole, era morta tra i rantolii, il dolore e la totale vulnerabilità.
La mia ingenuità e la gratuità della sua fine mi travolsero come un fiume in piena.

Per cosa sei morto? Volavi mezz’ora fa. Stamattina hai aperto gli occhi come in una giornata qualsiasi, ti sei alzato in volo godendo dei raggi del sole, hai planato nell’aria fredda di dicembre. Finché un uomo ha deciso che oggi dovevi morire. Perché? Per quale motivo sei morto?

Due piccole lacrime mi si condensarono ai lati degli occhi. Quell’animale era morto gratuitamente: non rappresentava una minaccia; non c’era la necessità stringente di ucciderlo per cibarsi di lui. Eppure era morto, nel giro di pochi minuti il suo corpo era passato dalla più viva funzionalità all’immobilità definitiva. Una vita in meno su questo pianeta. C’era almeno una ragione? 
Fu la totale inutilità della sua morte a rendermela insopportabile e iniziai a piangere: per quell’uccello che non era più un uccello, ma era tornato ad essere semplice materia dell’universo; per me stessa, che stupidamente non mi ero resa conto della gravità della situazione; per l’umanità che uccide e domina sul pianeta, del tutto indifferente rispetto al male che produce.
Osservai meglio l’uccello: il piumaggio era liscio e lucido, pulitissimo. Ammirai le piume e le penne, che ne facevano una perfetta creatura volante. Una penna era innaturalmente fuori posto. Presi i guanti e la vanga, scavai una piccola fossa vicino ai bulbi di giacinto e tornai a prendere il colombo.
Nonostante i guanti, sentii che il corpo era ancora tiepido: il capino molle, le membra leggere e rilassate, il piumaggio perfetto, salvo quelle due macchie sul petto, le palpebre non del tutto abbassate, ma il becco era pieno di sangue.
Accomodai la creatura nella terra fredda, appena scavata: il gelo si sarebbe presto appropriato di quel tepore vitale. Sistemai il capo del piccione nella maniera più decorosa possibile e a un tratto capii perché per noi umani è così importante la sepoltura: si dà dignità a una condizione che ha già reso inutile ogni decoro. Ma è importante, per chi resta, fare quest’ultimo gesto.
Faticavo ad accettare il fatto di dover soffocare quel corpicino tiepido sotto il terreno gelido; cominciai quindi solo a circondarlo di foglie e piccole zolle. Ma poi pensai che, nella terra, il suo calore in fondo non sarebbe andato sprecato.
Meglio alla terra che all’aria gelida: che il tuo calore nutra questa terra, che essa ti accolga materna.
Quando l’ebbi coperto del tutto, sistemai alcune grosse pietre sopra la terra smossa, per scoraggiare le volpi. Se poi queste fossero riuscite comunque a raggiungere l’uccello, sarebbe stato un destino naturale, in qualche modo utile e giustificato dalla sopravvivenza altrui.
Singhiozzavo ancora. Mezz’ora prima quella creatura volava libera in cielo, adesso si stava raffreddando per sempre sotto terra. Nessuna ragione valida a giustificare l'accaduto.
Dove era caduto il colombo, restava solo una penna.


La raccolsi e la portai in casa con me.