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martedì 26 maggio 2020

"Kedi, la città dei gatti" di Ceyda Torun

Cari amici, oggi vi parlo di un piccolo gioiellino per i gattofili cinefili: "Kedi. La città dei gatti", della regista Ceyda Torun. È un originale documentario dedicato ai gatti di Istanbul, quasi un tributo alla popolazione felina molto numerosa che nei decenni si è integrata con particolare successo alla vita urbana e umana. Nella capitale turca infatti i gatti sono ovunque: per le strade, sui tetti, nei caffè, nei negozi, negli hotel, sulle barche dei pescatori... e ovunque sono rispettati come animali quasi sacri, sicuramente degni di tanta considerazione da parte degli uomini. Il film è unico nel suo genere, per merito soprattutto di una strepitosa fotografia capace di mettere in risalto una duplice bellezza: quella dei gatti, con magnetici primi piani, e quella della colorata Istanbul, ripresa nei suoi scorci più caratteristici.



Uno degli aspetti che mi ha più colpita è stato il constatare le condizioni complessivamente molto buone della maggior parte dei gatti: nonostante conducano una vita di quartiere, a metà tra il randagismo e la domesticità, questi mici hanno folti mantelli ben curati, occhi limpidi e vispi, un portamento sicuro e fiducioso nei confronti degli esseri umani. Entrano ed escono da locali, case, balconi  e accolgono quanto di buono può arrivare dalle mani umane: coccole, bocconcini, cure o semplicemente gradita compagnia. Del resto, sono proprio gli uomini di Istanbul a prendersi cura quotidianamente di questi felini, rapportandosi ad essi come fossero veri e propri concittadini, vicini di casa e parte integrante della propria comunità. 
Non è un mistero che nel mondo islamico il gatto goda di particolare considerazione e a Istanbul questo ha portato davvero a realizzare una "città dei gatti" che vive di pari passo a quella degli uomini, intersecandosi con essa con una certa grazia ed armonia.
Mi è piaciuta molto anche la spiritualità che emerge da diversi passi del documentario: i gatti non sono semplicemente simpatici, utili e piacevoli animali con cui condividere la vita, bensì un tramite per arrivare a Dio, per fare qualcosa di gradito a lui. Trovo che questo tratto della religione islamica sia assolutamente unico e affascinante.
E così "Kedi. La città dei gatti" racconta le diverse storie di alcuni gatti di quartiere e degli uomini che se ne occupano, mostrando con delicatezza come gli uni si prendano cura degli altri... e viceversa. È uno scambio alla pari!





"In qualche modo, Dio cerca sempre di mettere alla prova le persone. Dio conduce ognuno di noi a lui, usando immumerevoli modi e infinite vie sconosciute a noi umani. Nel mio caso l'ha fatto attraverso questi meravigliosi amimali. Forse sono degno del suo amore".

"Kedi. La città dei gatti" vi aspetta sulla piattaforma UAM.TV (ricca di tanti altri film e documentari di pregio): vedrete, da gattofili ne resterete incantati! 

mercoledì 4 marzo 2020

"Cat people" di Asako Ushio

Di gattofili è pieno il mondo, lo sono io e anche tanti di voi che mi leggete, ma cosa spinge un'amante dei gatti a diventare una vera e propria gattara (o gattaro)? E chi sono davvero queste persone che dedicano il loro tempo libero e tante delle loro energie al recupero, alla sterilizzazione e alla salvaguardia dei gatti liberi sul territorio? Questa è la domanda a cui l'originale film "Cat People" (traducibile in italiano come "gattari") vuole rispondere. 
La pellicola è un vero e proprio documentario sulla vita dei gattari che si prendono cura di gatti domestici e selvatici, tra il Giappone (nella famosa isola Tashirojima) e i quartieri di Los Angeles, dove lavorano i volontari di Luxe Paws. Nel mostrare le attività quotidiane di cattura, cura e sterilizzazione dei gatti randagi, con lo scopo poi di re-immetterli in salute sul territorio frenando al contempo la sovrappopolazione felina, ci si può immaginare che un "gattaro" sia solo questo: una persona un po' bizzarra, con scarsa vita sociale e famigliare, che preferisce il duro lavoro fatto sul campo (spesso nelle ore notturne), rapportandosi meglio ai felini piuttosto che agli umani. Eppure "Cat People" è un eccellente documentario perchè va ben oltre questo, indagando cosa si nasconde nell'animo umano dei gattari e altrettanto cosa possiamo cogliere nell'animo dei felini di cui si occupano. E le riflessioni che nascono dal nostro rapporto con i gatti (che siano domestici o randagi) sono assolutamente esistenziali e profonde.



Ad esempio: un gattaro è necessariamente una persona che ha voluto/dovuto incanalare il suo mancato istinto genitoriale nella cura dei felini? E davvero si può (o invece non si può proprio) paragonare l'amore per i gatti a quello per i propri figli? Mi è piaciuto tantissimo il modo, delicato, aperto e onesto, di rispondere a questa domanda... perchè non esiste un'unica verità: ciascuno ha la propria e ci possono essere mille sfumature e forme di quel sentimento atavico e potente che è l'amore, ciascuna degna di esistere e co-esistere, senza classifiche. 
E ancora: la sterilizzazione, mostrata in "Cat People" senza alcun filtro edulcorante, è davvero un bene assoluto per i gatti? Il fenomeno del randagismo felino, preoccupante e importante in molte zone del mondo, è contrastabile effettivamente solo con campagne di sterilizzazione a tappeto e senza dubbio questo protegge e tutela la salute delle popolazioni feline... eppure, presa singolarmente, una gatta incinta non suscita forse in ciascuno di noi uno spontaneo sentimento di tenerezza e protezione?
E infine, forse il tema più spinoso e complesso su cui getta luce il documentario: stiamo offrendo davvero la giusta vita ai gatti, rispettosa della loro natura più intima? I mici domestici spesso sono confinati in case e appartamenti che li proteggono certo dai pericoli del mondo, ma sottraggono loro la possibilità di manifestare i loro istinti esplorativi e cacciatori. I gatti randagi, al contrario, si vedono spesso negati cibo sicuro, un tetto sopra la testa e la difesa da pericoli tutti umani (incidenti stradali, ma anche torture e maltrattamenti), ma possono esprimere i loro impulsi felini più vitali. 




Il film, per la regia della nippoamericana Asako Ushio, è disponibile sottotitolato in italiano sulla piattaforma UAM.TV, dedicata ai temi della consapevolezza, del benessere, dell'economia sostenibile, dei diritti dell'uomo e della madre terra... oltre a "Cat People" ci sono un sacco di altri film interessanti, vi consiglio davvero di darci un'occhiata!
"Cat People" è un documentario pieno di sostanza, che suggerisco a tutti coloro che vogliano dare uno sguardo non solo alle vicende dei gattari ma anche porsi qualche domanda su come si è evoluto - nell'ultimo secolo - il nostro rapporto con i gatti. Perchè se è indubbio che tutti noi li amiamo, è allora ancora più importante capire in che modi e maniere quest'amore può concretizzarsi nella nostra e nella loro vita.

lunedì 8 luglio 2019

Perchè vedere (e amare) Dragon Trainer

Cari amici, oggi vi propongo un argomento apparentemente "off topic" per il mio blog... non sono solita fare recensioni cinematografiche, l'ho fatto raramente solo per film che avessero come protagonisti animali o felini, o eventualmente per quelle pellicole che mi avessero proprio colpita al cuore. Ebbene, quest'oggi si tratta certamente di questo secondo caso... ma, alla fine di questo post, scommettiamo che scoprirete come Dragon Trainer rientri a pieno titolo tra i "temi forti" di Rumore di Fusa?
 
La scena chiave del primo film, fonte Wikipedia.

La trilogia della Dreamworks è diventata ormai celeberrima, ma quello che potreste non immaginare è che si tratta di un racconto capace di parlare a tutti: ai bambini in quanto film fantasy d'animazione, ma forse ancora di più agli adulti, che potranno vederla come metafora del mondo reale, apprezzandone ogni non scontata sfumatura.
La storia è presto detta: nel villaggio di Berk vive una comunità di vichinghi, dediti alla caccia e l'uccisione dei draghi, bestie indomabili e sanguinarie che di tanto in tanto fanno razzie di pecore nel villaggio. Ogni abitante di Berk che si rispetti ha ucciso almeno qualche drago e tutti sanno difendersi al meglio dai pericolosi mostri alati - chi sputa fuoco, chi scaglia aculei velenosi, chi soffia gas tossico - per vincere la battaglia mortale. Tutti... tranne Hiccup, il nostro protagonista, che per sua disgrazia è gracile, goffo e insicuro, cosa che cerca di compensare grazie alla sua mente brillante e ironica, soprattutto per non sfigurare agli occhi di suo padre Stoik, che è anche il valoroso capo di Berk.

"Incubo orrendo" uno dei feroci draghi a Berk. Foto da web, a questa pagina.

Nel corso di una battaglia contro i mostri alati, Hiccup riesce incredibilmente a colpire - grazie a un marchingegno di sua invenzione - uno dei draghi, forse il più temibile, certamente il più misterioso e sfuggente: una "furia buia". L'animale, ferito, precipita nel fitto della foresta e Hiccup lo insegue per dargli il colpo di grazia: non potrebbe fare cosa migliore, per guadagnare la fiducia di suo padre e migliorare la sua reputazione in tutto il villaggio.
Rintracciato il drago nero, che a causa del colpo infertogli è immobilizzato in una rete, Hiccup - benchè spaventatissimo - estrae il coltello e si prepara a ucciderlo. Ci prova in tutti i modi a sferrare il colpo mortale, si sforza finchè può, pensando a suo padre, al fatto di essere un vichingo cacciatore di draghi e alla storica guerra in corso tra il suo popolo e quei rettili alati. Ci prova, ci prova... ma proprio non ci riesce, uccidere una bestia immobilizzata non fa per lui. Così, affranto e amareggiato per la propria inettitudine (ma anche profondamente convinto di non poter fare scelte che non gli appartengono davvero), con il coltello recide la rete e libera il drago, il quale fugge nella foresta.

Hiccup libera il drago. Foto da web, da questa pagina.

Ma il rettile è rimasto ferito nello scontro: una parte della sua coda è irrimediabilmente danneggiata e non ha più modo di volare. Sarà per questo che Hiccup, un po' per senso di colpa, un po' per la sua estrema curiosità, inizierà a sorvegliare da lontano l'animale... per rendersi conto che forse non si tratta di quel mostro sanguinario e terribile che suo padre e i suoi avi gli avevano descritto. Così, con discrezione, osserva i suoi comportamenti, le sue peculiarità... e si sente responsabile della sorte di quel drago che ormai non riesce più a volare a causa sua.
Ed ecco una delle scene più belle dell'intera trilogia, probabilmente quella che mi ha fatta innamorare di questi film, quella in cui umano e drago vincono la reciproca diffidenza e, nel rispetto delle loro differenze, stringono un'amicizia per la vita.



Il resto della storia non ve lo racconto, sappiate solo che a Hiccup e al drago Sdentato starà l'arduo compito di smentire trecento anni di storia vichinga, per far comprendere a tutto il popolo di Berk come i draghi non siano una minaccia, bensì creature intelligenti, dotate di una loro sensibilità e in grado di arricchire straordinariamente la vita umana. E, una volta riusciti a far questo, avranno l'ancora più arduo compito di difendere e rispettare quei draghi che il resto dell'umanità vuole invece uccidere o sfruttare per i più biechi giochi di potere e di guerra. Una storia appassionante e piena di colpi di scena, animazioni spettacolari e una musica (di Andrew Powell) che a mio parere è un capolavoro.
Ma veniamo ai motivi per cui, da lettori di Rumore di Fusa, Dragon Trainer dovrebbe conquistarvi: anzitutto, Sdentato assume atteggiamenti, pose e modi di fare tipicamente da... gatto! Nessun animale esistente vi ricorderà più del gatto questo meraviglioso drago nero! Ne resterete folgorati.

Sdentato in posa. Foto da web, da questa pagina.

Inoltre, buona parte di tutti i tre film è costruito su temi e sensibilità animalista: come ci cambia la vita rapportarci con gli animali, quale rispetto dobbiamo riconoscere loro e quale libertà dobbiamo concedere, nell'ambito di un legame d'amicizia speciale come è quello tra specie diverse.
In realtà, in Dragon Trainer c'è molto più di questo... trovano spazio questioni universali come l'amore e l'amicizia, la morte e l'abbandono, le responsabilità e la crescita, ma anche l'accettazione di sè stessi, con tutti i propri limiti, le proprie peculiarità e le proprie insicurezze. E se si è spesso voce fuori dal coro.... forse è bene restare tali, perchè è nei differenti punti di vista che sta la ricchezza e la possibilità di cambiare il mondo.
Certo, si narra di draghi e di vichinghi in luoghi fantastici, eppure si parla anche di tutti noi e degli animali con cui viviamo, con cui impariamo ad interagire e con cui stringiamo relazioni d'affetto, autentiche e durature.
Insomma, se questa trilogia ha avuto così successo, trascinando in sala non solo bambini e ragazzi (con le rispettive famiglie), ma anche giovani adulti tra cui la sottoscritta... i motivi ci sono tutti.
La parola ora passa a voi miei lettori: quanti di voi hanno avuo l'occasione di vedere Dragon Trainer? E se non l'aveste ancora visto... sappiate che invidio: avete la possibilità di scoprire per la prima volta un mondo fantastico e una storia commovente, che ha così tanto da dire anche sulla nostra realtà. Non fatevelo sfuggire!

lunedì 14 novembre 2016

"A spasso con Bob", una storia vera

La storia vera del cantante di strada James Bowen e del gatto randagio Bob, forse, la conoscete già: qualche anno fa, infatti, il libro che la racconta diventò un best seller mondiale. Ma in questi giorni è uscito nelle sale anche il film e, cari amici, non posso che consigliarvelo spassionatamente! Io l'ho visto ieri e ne sono uscita con il cuore gonfio di felicità e gratitudine, ma anche ben impressionata dalla capacità di narrare una storia di vita difficile senza scadere in troppo sentimentalismo.
L'esistenza di James Bowen, artista di strada che si guadagna da vivere cantando con la sua chitarra a Londra, è fatta di stenti, freddo, droga, crisi di astinenza, tentativi di uscirne e continue ricadute. James vive ai margini della società, in una profonda solitudine esistenziale, rifiutato dalla famiglia come dagli altri clochard. Sembra che per lui non debba esserci più speranza, condannato a sparire, un giorno o l'altro, nell'oblio della fame, del freddo e dell'overdose. La sua ultima possibilità gli viene data da Val, assistente sociale che cerca di salvarlo dal suo più probabile destino, quando gli fornisce un tetto sopra la testa con un ultimatum ben chiaro: al primo sgarro dal programma di recupero, James perderà ogni cosa. E qui arriva Bob, un meraviglioso gatto rosso di strada.


Bob entra nella vita di James con la tipica grazia di ogni gatto alla ricerca di una casa, nella speranza di trovare anche una famiglia. Il bel tigrato rosso è addirittura ferito; James a quel punto non può ignorare un micio in difficoltà, che lo guarda come nessun altro l'aveva mai guardato prima: come se lui, proprio lui, potesse fare la differenza. Ed è questo, essenzialmente, a cambiare la vita di James: trova un amico che conta su di lui, esige attenzioni, cure e lealtà costanti, dando in cambio fiducia, affetto, riconoscenza, amicizia. Tutto quello che prima mancava a James. Il cantante di strada, prendendosi cura di Bob, impara anche a prendersi cura di se stesso: grazie al gatto inizia a cantare per guadagnare gli spiccioli necessari per le scatolette per gatti, invece che per una dose di eroina; grazie a Bob attira le attenzioni di un pubblico distratto e indifferente ai clochard, avendo l'occasione di dare una svolta alla sua vita; per il suo micio cerca di stare fuori dai guai, si mette in gioco, affronta e vince la sua battaglia contro la dipendenza dalla droga. In conclusione, James e Bob saranno davvero riusciti a cambiarsi reciprocamente la vita.

Bob e James. Fonte immagine: Dailynews24
Ciò che mi è piaciuto di più del film, oltre alle straordinarie inquadrature e alla presenza del gatto Bob (interpretato da se stesso, oltre che da altri bravi felini rossi), è stata la capacità del registra di non edulcorare per nulla il mondo dei clochard, lo squallore e la tragedia continua che si ritrovano a vivere i tossicodipendenti... così come l'amicizia, la fiducia e il rapporto tra James e Bob, sullo schermo, risultano realistici e spontanei, non una favoletta. Sembra di guardare davvero la vita reale... ma, in fondo, è esattamente questo: è la storia di James Bowen e del gatto Bob. Perchè è proprio vero: a volte ci vogliono sette vite per salvarne una.

mercoledì 1 giugno 2016

"Microcosmos, il popolo dell'erba": un capolavoro da vedere e rivedere

La primavera ha raggiunto e sorpassato il suo apice: sta per sfociare in estate, la stagione più calda e brulicante di vita, dove in natura tutti gli organismi sembrano indaffarati nel fare qualcosa di importante... crescere la prole, nutrirsi in abbondanza, cantare al bel tempo come fanno le famose cicale. Un giardino tra primavera ed estate è al culmine delle sue possibilità... ed è il momento migliore per esplorarlo con occhi diversi, alla ricerca della biodiversità che lo abita, per diventare testimoni delle piccole grandi lotte quotidiane per la sopravvivenza. Forse vi imbatterete nella letale tela del ragno predatore; oppure scoverete gli esoscheletri vuoti, ancora attaccati alla corteccia, della forma giovanile delle cicale; magari invece seguirete incantati il volo leggiadro di una farfalla o quello a zig-zag di un'ape; o magari vi verrà l'idea di cercare bruchi da allevare
Per meglio apprezzare il vostro giardino, vi propongo la visione di uno strabiliante film del 1996 che fece un successo enorme allora e continua a farlo oggi, perchè è un vero capolavoro: "Microcosmos, il popolo dell'erba", scritto e diretto da Claude Nuridsany e Marie Pérennou. Il documentario consiste in un'ora abbondante di incredibili riprese mozzafiato, dove farfalle, bruchi, coleotteri, formiche, lumache, rane, ragni e molti altri abitanti dei nostri giardini si lasciano riprendere nei momenti centrali delle loro esistenze: la nascita, la caccia, la riproduzione, l'alimentazione, i momenti in società (per chi ne ha una) o in solitudine, la reazione alle intemperie, la morte. Se gli insetti vi affascinano e non vi disgusta l'idea di vederli ad una dimensione mai vista prima, "Microcosmos" sarà per voi uno spettacolo indimenticabile.


Film pluripremiato (anche con il "Grand Prix tecnico" al Festival di Cannes del 1996), è stato anche recentemente "rieditato" in dvd e ve lo consiglio assolutamente, per poter godere a pieno della qualità delle sue straordinarie riprese. Utilissimo anche come strumento per chi insegna, è un documentario per niente "scolastico" che punta sulla forza delle immagini e la meraviglia di quelle creature quasi aliene che vivono a un passo da casa nostra: gli artropodi. Pochissime le parole, perchè la colonna sonora sono ronzanti ali in volo, il "chiù" degli assioli notturni, i sordi "tocchi" delle corna dei cervi volanti in combattimento, le goccie d'acqua che rendono la pioggia un concerto irripetibile, ogni volta. Vi lascio il trailer, ma vi incito davvero a recuperarne il dvd.


La visione di "Microcosmos" può essere duplice: se già ve ne intendente di artropodi, sarà entusiasmante vedere i momenti "celebri" delle specie più conosciute (le formiche che "mungono" gli afidi; i bruchi che, appena nati, mangiano anche il guscio del proprio uovo; la zanzara che nasce dall'acqua come un'insospettabile Venere; lo stercoraro che, con testardaggine e costanza, fa rotolare la sua pallina di sterco; la velocità del ragno nel catturare la sua preda sulla tela). Se invece non ve ne intendete molto riguardo a insetti, aracnidi, miriapodi e crostacei, può essere una visione elettrizzante e certamente in grado di aprirvi gli occhi sullo straordinario microcosmo - appunto - che si nasconde tra i fili d'erba del vostro giardino. Potreste perfino ritrovarvi a provare un'inaspettata ed affettuosa empatia per quelle creature così diverse da noi esseri umani, ma anche così straordinarie, le cui vite in fondo seguono ragioni comprensibili e condivisibili: garantirsi un pasto quotidiano, vivere in un rifugio sicuro e in una società ordinata e, magari, incontrare anche un buon partner. In ogni caso, credetemi, dopo "Microcosmos", sarà impossibile guardare il vostro prato con gli occhi distratti e annoiati di prima.

P.s. Oggi comincia giugno e riparte l'iniziativa "30 Days Wild": potete farvi spedire direttamente via email il calendario del mese per completarlo con i vostri attimi di vita quotidiana alla riscoperta della natura! Io l'ho già fatto e non vedo l'ora di ripetere la fantastica esperienza dello scorso anno!

mercoledì 18 maggio 2016

"Cowspiracy", come un pugno nello stomaco

Questo film ha la forza di un pugno che arriva dritto nello stomaco. Credi di guardarlo sapendo già tutto, soprattutto se sei una persona informata ed "ecologista": sai già che il cambiamento climatico è un problema globale, urgente e drammatico. Sai anche che, in quest'emergenza mondiale, una grave parte è giocata dall'allevamento industriale, responsabile di esorbitanti emissioni di gas serra in atmosfera, per tacere di inquinamento e consumi idrici legati alle coltivazioni per alimentare gli animali che diventeranno le nostre bistecche. Ma Cowspiracy va oltre questo: oltre a riproporre tali problemi con dati e ricerche, mette in luce come il ridurre la carne dalle nostre diete non basti: bisognerebbe eliminarla del tutto. E afferma quindi, con coraggio e coerenza, che un "ecologista" non può dirsi davvero tale se continua a seguire un'alimentazione onnivora.

 
Il film passa in rassegna più e più temi, tutti connessi: dall'effetto serra che negli ultimi secoli è "decollato" a causa delle attività umane, al grave impatto che ha in questo senso proprio l'industria della carne; dalla necessità di informarsi e cambiare abitudini alimentari, alla difficoltà di capire davvero quali scelte tutelino l'ambiente e quali invece siano semplici atteggiamenti di facciata. Anche se le motivazioni ecologiste non sempre coincidono con quelle animaliste, in Cowspiracy c'è anche una scena shock nella quale viene mostrata esplicitamente l'uccisione di un'anatra. Peraltro un'anatra allevata in campagna, una di quelle che ha relativamente vissuto un'esistenza piacevole e che non è mai stata sottoposta (fino a quel momento) a sofferenze e trattamenti indicibili. Ci viene mostrato ciò che tutti cerchiamo di ignorare, un atto che pochi di noi si sentirebbero di fare di persona: uccidere a sangue freddo quell'anatra, fiduciosa e inerme, con le proprie mani, per fare diventare quell'animale, vivo e cosciente, un semplice pezzo di carne da consumare. Seguono alcuni secondi di silenzio, di fronte all'insopportabilità della scena che abbiamo visto. E la domanda: "Se non sopporto di farlo io stesso, come posso pensare di farlo fare ad altri per me?".

Fonte: Wikipedia
Sia chiaro: il film non è perfetto e alcune perplessità me le ha sollevate. Alcune delle maggiori organizzazioni ambientaliste mondiali (e/o americane) vengono accusate di "omertà" a favore delle lobby dell'allevamento industriale, non divulgandone le gravi conseguenze per l'ecosistema. In realtà io stessa ho appreso e ricavato tanti dati a proposito di questo problema proprio sui siti di alcune di queste organizzazioni! Quindi una prima critica va al tono eccessivamente complottistico che fa di tutta l'erba un fascio per quanto riguarda le associazione ambientaliste, accusate di essere complici del sistema industriale della carne.
Un'altra personale perplessità mi è sorta a proposito del finale, una sbrigativa quanto superficiale critica all'alimentazione "solo vegetariana" a favore di una integralmente vegana, sulla base del fatto che tutti i latticini sarebbero nocivi per l'essere umano, poichè derivanti dal latte che è un "fluido di accrescimento per vitelli". Suvvia, il latte è un composto di acqua, grassi e zuccheri! A mio parere questa "fobia antilatticini" è una posizione infondata, vagamente modaiola; condivido molto di più le intelligenti considerazioni di Bressanini.
Se invece parliamo di abbracciare la dieta "vegan" perchè anche uova e latticini possono comportare sofferenza animale e impatto ambientale, è un altro (e a mio parere ben più valido) discorso, fermo restando che ciascuno deve decidere in base alla propria coscienza, convinzione e sensibilità.


Detto questo, Cowspiracy resta un ottimo documentario che mette in crisi le nostre abitudini alimentari, ma anche la nostra coscienza apparentemente pacificata da quei gesti ecologisti che ci costano meno fatica. Diretto e prodotto da Kip Andersen e Keegan Kuhn, ne consiglio la visione a tutti, poichè trovo sia meglio prendere pugni nello stomaco adesso, vedendo un film che ci mette in guardia sul collasso prossimo del nostro pianeta, piuttosto che domani, quando quello stesso colpo ci sarà inferto dalla catastrofe già avvenuta, ma non potremo più reagire.

venerdì 9 gennaio 2015

"Un gatto a Parigi", meraviglia dell'animazione tradizionale

Dallo scorso dicembre e ancora in questi giorni sta uscendo, solo in alcune delle sale italiane, un lungometraggio animato che merita più di un applauso: Un gatto a Parigi (titolo originale Une vie de chat, la vita di un gatto), prodotto dallo studio francese Folimage. Candidato agli Oscar come miglior film d'animazione 2012, si tratta di una perla dell'indimenticato cinema animato "tradizionale": interamente disegnato a mano e realizzato con tecniche d'animazione classiche, riesce a incantare lo spettatore grazie a colori, scene e scelte prospettiche che dipingono personaggi e ambientazioni parigine in modo semplicemente magico. La storia è un vero e proprio noir animato e, pure con l'atteso e immancabile lieto fine, riesce a non essere banale o infantile; merito anche dei personaggi estremamente credibili e ben approfonditi, pure nell'arco di solo un'oretta di film. Il gatto Dino è solo uno dei protagonisti ed è, con buona pace delle solite versioni antropizzate e favolistiche degli animali, un vero e proprio felino: caccia e uccide, graffia e soffia, fa la fusa solo alle persone di cui si fida e diffida delle altre, con il buio scorrazza sui tetti ma al mattino torna sempre a dormire tra le braccia della sua "padroncina".


Come quasi tutti i gatti che si rispettino, Dino si divide tra due vite: sornione e placido di giorno accanto a Zoe la sua padroncina, al calare della sera il gatto balza e vagabonda sui tetti di Parigi, accompagnando nei suoi furti il ladro gentiluomo Nico. Entrambi ignari della doppia vita di Dino, sono vane le richieste di Zoe e di Nico rivolte al micio di stabilirsi, per più di mezza giornata, nell'una o nell'altra casa: segno inequivocabile che il gatto è così per natura, domestico e selvatico, mite e irrequieto, coccolone e, talvolta, anche un pò delinquente. Dino si muove con eleganza e furbizia tra le vicende umane: consola la sua amata padroncina Zoe, chiusa in un mutismo a seguito dell'uccisione del padre; accompagna Nico nella sua avventurosa vita notturna; osserva in silenzio gli sforzi di Jeanne, madre di Zoe, che cerca di tenere insieme una vita da mamma ma anche da poliziotto, con il proposito di catturare una volta per tutte Victor Costa, il criminale che ha ucciso suo marito e padre della sua bimba. E così, quando arriva a Parigi per un'esposizione il Colosso di Nairobi, un'improbabile statua bramata da Victor Costa, gli eventi condurranno tutti i personaggi ad incontrarsi e scontrarsi. Il fine è lieto ma non troppo zuccheroso, rendendo Un gatto a Parigi un film animato capace di piacere a tutti, senza distinzioni di età.


La sceneggiatura è di Alain Gagnol e di Jacques-Rémy Girerd, mentre alla regia troviamo Jean-Loup Felicioli e di nuovo Alain Gagnol. Qui potete vedere il trailer. Che dirvi? Se il film arriva anche nella vostra città, non lasciatevelo sfuggire: sarà una visione interessante ed esteticamente pregevole, una storia ben articolata, gentile ma non scontata, che vi conquisterà fino all'ultimo fotogramma... lasciandovi con un pizzico di nostalgia per il buon cinema d'animazione tradizionale: segno che, anche a confronto con le nuove tecnologie, quando una cosa è davvero bella, tale resta nel tempo.
Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol
Alain Gagnol, Jacques-Rémy Girerd
Alain Gagnol, Jacques-Rémy Girerd

lunedì 3 novembre 2014

"Bears", storia di due piccoli orsetti... ricordiamoci di quelli di Daniza!

Recentemente ho visto "Bears", il bellissimo documentario naturalistico che DisneyNature ha prodotto in occasione della scorsa giornata della terra, dedicato alla vita di due piccoli cuccioli di orso grizzly e della loro madre. La storia è ambientata in Alaska, nello Katmai National Park, e si resta assolutamente rapiti dalla magnificenza della natura selvaggia: le riprese del documentario sono da mozzare il fiato, così come lo è la tenerezza del vedere i due piccoli orsetti uscire dalla tana, su un abbagliante crinale coperto di neve, e seguire passo dopo passo le lezioni di mamma orsa. E poi ci sono monti, laghi, foreste, fiumi, cascate, salmoni che si tuffano tra le rapide come se volassero, imponenti orsi dalla folta pelliccia... Come in tutte le produzioni Disney, il documentario viene narrato in forma leggermente favolistica: mamma Sky e i piccoli Scout e Amber dovranno imparare a sopravvivere ai tanti pericoli di tutto il loro primo anno di vita. 


Fondamentale, per mamma Sky, sarà riuscire a tenere i piccoli lontani dai predatori (gli altri orsi stremati dalla fame, ma anche il lupo Tikaani) e a mangiare a sufficienza per poterli allattare durante il letargo, anche durante il loro secondo inverno insieme. Si viene proiettati nel mondo degli orsi grizzly, dei quali impariamo a scoprire abitudini, debolezze, capacità (ad esempio, hanno un olfatto migliore di quello dei segugi!) e temperamento giocoso... e mentre lo sguardo si sofferma su panorami incantevoli e la storia prosegue, il cuore coglie una naturale verità: al di là della specie, l'istinto materno e la dolcezza di una mamma con i suoi cuccioli è la stessa tra tutti i mammiferi. Fortunatamente, trattandosi di una produzione Disney, il lieto fine è assicurato: non preoccupatevi di dover tenere alla vostra portata dei fazzoletti, le uniche lacrime che potrete eventualmente versare saranno di commozione per lo spettacolo tanto bello, accattivante e maestoso che è la vita degli orsi in Alaska. Quindi che altro dirvi di questo film? Ve ne consiglio fortemente la visione!

Un'immagine del film "Bears", fonte QUI
Non a caso in questo documentario a lieto fine non compare mai l'uomo, nè viene mai nominata la sua presenza come possibile minaccia per gli orsi. Sappiamo fin troppo bene che, invece, a mettere a rischio la vita di questi splendidi animali spesso siamo proprio noi uomini: che sottraiamo per le nostre attività sempre più spazio vitale agli animali selvatici, o che interveniamo in modo diretto sulla vita di questi, è indubbio che il peggior nemico dei selvatici restiamo sempre noi. Non serve che nomini la penosa vicenda di Daniza, maldestramente uccisa nel tentativo di catturarla, lasciando orfani i suoi due cuccioli di pochi mesi. Che fine hanno fatto questi due orsetti, privi della fondamentale presenza materna, che avrebbe dovuto proteggerli e guidarli nei primi anni della loro vita? I due cuccioli sono sorvegliati e pare che finora siano riusciti a cavarsela; conforta inoltre vedere che sono totalmente diffidenti nei confronti dell'uomo, cosa fondamentale per la loro crescita e sicurezza in un contesto selvatico. 

Cuccioli di orso, fonte wikipedia QUI
Purtroppo la cucciola che veniva monitorata ha perso l'apparecchio e, per evitare un nuovo intervento invasivo, non si provvederà a ripristinarlo, continuando il monitoraggio dei due orsetti con "fototrappole" e avvistamenti. Proprio qualche giorno fa c'è stato un tavolo tecnico organizzato dalla provincia di Trento, volto a stabilire linee guida per gestire i cuccioli e le eventuali emergenze in cui incorreranno. Al tavolo di discussione hanno partecipato i referenti del Parco Naturale Adamello Brenta, nonchè Ispra, ministero dell'Ambiente, Corpo forestale dello stato, ed esperti di Austria, Slovenia, Norvegia, Croazia e Spagna, ma la LAV ha denunciato questo convegno come un intervento di facciata. Una cosa è certa: non deve calare l'attenzione verso i due piccoli orsetti di Daniza, perchè purtroppo non si trovano in un film Disney e la loro sorte potrebbe volgere al peggio in ogni momento.

martedì 14 ottobre 2014

Autunno, andiamo: è tempo di migrare...

"Settembre, andiamo. E' tempo di migrare", diceva la poesia di D'Annunzio. E ora che siamo in ottobre e l'autunno prende forma ogni giorno di più, gli uccelli sono continuamente indaffarati: chi è già partito, chi invece è tornato (come il Pettirosso, che arriva da noi a fine settembre), chi si sta preparando a migrare proprio in queste settimane, affrontando un lungo volo pieno di pericoli per raggiungere luoghi più caldi. Spesso nella mia campagna, in particolare a fine ottobre, posso osservare ed ascoltare centinaia di uccellini tutti appostati sui fili dell'alta tensione: il loro chiacchiericcio concitato e i loro piccoli voli frenetici sui fili sembrano proprio essere grandi riunioni collettive, per prendere gli ultimi accordi prima di spiccare, tutti insieme, un volo che li metterà a durissima prova ma che, se arriveranno a concluderlo, garantirà loro la sopravvivenza.

Immagine da wikipedia, QUI
Le grandi migrazioni sono un imponente e antichissimo fenomeno che riguarda centinaia di specie di uccelli, che con il cambiare delle stagioni o con l'avvicinarsi del periodo riproduttivo, partono per un viaggio capace di coprire fino a 3000 km al giorno. Sorvolano boschi, fiumi, montagne, oceani ed interi continenti, deserti e città, seguendo rotte millenarie ed orientandosi grazie ai campi magnetici, ai riferimenti geografici e alle stelle. Un vero e proprio esodo che gli uccelli compiono due volte all'anno, in primavera ed in autunno, che li sottopone ad un'enorme fatica e a pericoli letali, e non sempre si conclude felicemente. Eppure migrare è un impulso antichissimo che risponde proprio all'istinto di sopravvivenza, alla ricerca di cibo e temperature più miti, luoghi più ospitali e adatte alla riproduzione... e per noi uomini è ispiratore di libertà, fonte di grande fascino e mistero. 

Immagine tratta dal sito LIPU
Recentemente ho visto uno straordinario documentario dedicato alla migrazione degli uccelli, "Il popolo migratore" (2001), di Jacques Perrin: "Da ottanta milioni di anni gli uccelli attraversano i cieli, superano montagne, sorvolano terre e mari. Ogni primavera essi coprono distanze enormi per raggiungere i luoghi in cui nidificare. In Autunno si involano di nuovo a ritroso verso le stesse rotte. Questo film è il risultato di 4 anni di lavoro inseguendo la straordinaria impresa degli uccelli migratori negli emisferi nord e sud attraverso mari e continenti". Il film documentario è veramente qualcosa di unico: fenomenali riprese ravvicinate di stormi in pieno volto, paesaggi mozzafiato della più selvaggia ed incontaminata natura, tramonti fiabeschi e tempeste di neve che fanno da cornice al viaggio di oche selvatiche, rondini, cigni, svassi, cicogne, gru, rapaci, pappagalli, pinguini e tantissime altre specie avicole. 

La locandina del film
Il film è parlato veramente pochissimo e lascia spazio soprattutto alle immagini, perchè parlano da sole: e, alla fine, ci si abitua ad ascoltare solo il frullare continuo delle ali, lo stridore dei canti degli uccelli, i suoni dell'oceano, delle montagne e dei fiumi. Le scene sono eccezionali: svassi che corrono letterlamente sull'acqua, come se potessero camminare su di essa; francolini di monte durante il corteggiamento, spettacolari come opere d'arte, ma anche l'abominio della caccia e l'ingiustizia della cattività sono mostrati con poche, paradigmatiche riprese. Dopo aver visto questo film, oltre ad essere rimasta a bocca aperta per l'enorme varietà di specie di uccelli e per la meraviglia del nostro pianeta, mi è parso davvero di essere tornata "a terra" dopo un lungo e libero volo. "Il popolo migratore" si trova anche su youtube, ma io vi consiglio di cercarlo in dvd (magari in biblioteca, è un film assai diffuso), perchè per apprezzarne in pieno la visione serve ammirarlo ad alta risoluzione.
Se volete saperne di più sulla migrazione, vi consiglio questo articolo della Lipu, che vi svela tutti i segreti della migrazione. D'ora in poi, in autunno e in primavera quando vedrete uno stormo di uccelli volare verso l'orizzonte, augurate loro buon viaggio e buona fortuna: è la loro sfida più grande, ma anche la loro migliore chance di sopravvivenza, da secoli.

venerdì 14 marzo 2014

"L'uomo che piantava gli alberi" di Jean Giono

Il post di oggi è un piccolo regalo per tutti coloro che ancora non hanno avuto la fortuna di conoscere il meraviglioso racconto "L'uomo che piantava gli alberi" dello scrittore francese Giono Jean. La storia è toccante: il solitario pastore Elzèard Bouffier, contando semplicemente sulle proprie forze, un'incrollabile convinzione e un impegno quotidiano, dedica l'intera vita a piantare alberi in una regione arida vicino alle Alpi della Provenza. Elzèard parla poco ma lavora sodo; sembra vivere in uno stato di pacificazione e di serenità personale che riescono a garantirgli una determinazione ammirevole nel portare avanti la sua "missione", senza curarsi delle difficoltà presenti o degli eventuali fallimenti futuri. Ed è così che l'arida zona si trasforma, seme dopo seme, anno dopo anno, in una verdeggiante vallata dove la vita - anche umana - si manifesta con gioia e spontaneità. 


Credetemi: le mie parole non bastano per descrivervi quanto bene possa fare leggere questo meraviglioso racconto, facendone proprio lo spirito. Si tratta di una storia talmente bella, sapientemente narrata e poetica, che si spera con tutto il cuore possa essere accaduta realmente. In verità è frutto della fantasia dell'autore, una storia davvero esemplare sul rapporto uomo-natura ma anche sul rapporto di ciascuno di noi verso il resto dell'umanità: il nostro prossimo più immediato, così come le generazioni che verranno. Il libro, edito in Italia da Salani, è lungo circa 50 pagine, le quali racchiudono più e più spunti per preziose riflessioni sul nostro ruolo nel mondo e nella nostra epoca, sull'importanza di essere "gocce nell'oceano" e su quali principi dovrebbero ispirare la nostra vita. Il racconto di Jean Giono è stato poi d'ispirazione per questo cortometraggio del 1987, diretto da Fredric Back, che ha vinto meritevolmente l'Oscar nel 1988.


E io lo propongo a voi, consigliandovi davvero di cuore di prendervi una mezz'ora del vostro tempo per assaporarne la poesia e il messaggio che tutti noi dovremmo fare nostro: "gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione". Buona visione, in questo ultimo weekend d'inverno!

martedì 7 gennaio 2014

"Nata Libera: la straordinaria avventura della leonessa Elsa" di Joy Adamson

Best-seller degli anni '60, "Nata Libera" è un romanzo autobiografico della naturalista e pittrice inglese Joy Adamson sulla "sua" leonessa Elsa, dall'adozione fino al riadattamento alla vita selvatica. La vicenda ha inizio in Kenya dove il marito di Joy, George Adamson - anch'egli naturalista e oggi ricordato come uno dei più attivi promotori della conservazione della fauna selvatica - svolge il ruolo di guardiacaccia. Proprio per via del suo lavoro deve uccidere una coppia di leoni, accorgendosi solo in seguito che i due avevano al seguito tre cucciole. George decide allora di portarle con sè per allevarle, facendo la gioia di sua moglie Joy che adora gli animali. Le tre leonesse, tra qualche difficoltà e molti disastri, crescono bene e in fretta, diventando ben presto tre cicloni inarrestabili: troppo domestiche per essere re-introdotte in natura, troppo impetuose per continuare a vivere insieme agli uomini, Joy e George decidono a malincuore di affidarle ad uno zoo in Europa. Ma Elsa, la più piccola, ha fatto talmente breccia nei cuori dei due Adamson che decidono di tenerla con loro.

Edizione Bompiani del 2000. L'edizione originale è del 1960.

"Nata Libera" è quindi la storia della felice e sorprendente convivenza tra gli Adamson ed Elsa, che nonostante la sua specie e le sue dimensioni, si comporta più o meno come un grosso cane affettuoso ed esuberante. Ma naturalmente il titolo fa riferimento a qualcosa di più: Elsa è un leone e come tale non è adatta a vivere a stretto contatto con gli uomini. Senza alcuna cattiveria nè violenza, inizia infatti a spaventare altri animali - come gli elefanti - che a loro volta, presi dal panico, creano diversi incidenti nei villaggi. Gli Adamson si vedono quindi costretti a un'alternativa: mandare anche Elsa in uno zoo, oppure tentare la disperata impresa di insegnarle a diventare un leone selvatico, per ridarle la libertà. Joy non ha dubbi: dovranno provare il tutto e per tutto affinchè Elsa possa vivere libera, seppure tra i pericoli della vita selvaggia. Lo stesso George nutre forti dubbi: la giovane leonessa non sa cacciare, non ha idea delle dure regole della natura selvatica, nè delle leggi sociali che regolano la vita dei leoni. Ma soprattutto: come si potrà indurre Elsa ad abbandonare gli umani che ama, per farle preferire la vita libera?

Gli attori Virginia McKenna, Bill Travers e Girl, leonessa che interpreta Elsa nel film "Nata Libera". Fonte QUI
Le pagine che raccontano del graduale processo di adattamento di Elsa alla vita libera sono insieme buffe e commoventi, piene di preoccupazioni e di speranze: come reagirà la leonessa al primo incontro con i suoi simili selvatici? E come percepirà il temporaneo "abbandono" nella savana da parte di Joy e George, quando arriva il momento di testare la sua capacità di adattamento? Riuscirà ad imparare a cacciare? Sarà ferita dagli altri animali selvatici, lei che è così giocherellona e non ha mai imparato quanto la vita possa essere dura? Tutte domande a cui, non senza qualche incidente, verrà data una risposta positiva. Elsa, e sta in questo la straordinarietà della sua storia, dalla piacevole ma pur sempre cattività nella quale era cresciuta domestica, inoffensiva e giocherellona, riuscirà infatti a diventare un leone selvatico a tutti gli effetti, integrandosi in un branco di suoi simili e diventando lei stessa madre. Gli ultimi capitoli di "Nata Libera" sono colmi di commozione e affetto per Elsa che, nonostante sia ormai diventata una leonessa selvatica, non ha mai dimenticato Joy e George. I due naturalisti torneranno infatti più o più volte nel territorio di Elsa, la quale li accoglierà sempre con un incredibile affetto e giocosità, in memoria dei tempi trascorsi insieme. 

Da sinistra: Virgina McKenna, George Adamson, Bill Travers e Joy Adamson. Fonte QUI
La capacità di Elsa di essere sia una letale cacciatrice nella savana, ma anche un'affettuosa giocherellona con i suoi amici di un tempo, fu qualcosa di eccezionale per l'epoca (ma anche oggi, se ci pensiamo), poichè testimoniava non solo un'intelligenza non comune dei leoni, ma anche una loro spiccata personalità. Dall'immagine stereotipata e generalizzata dei "leoni mangiatori di uomini", si passò a considerare ciascun leone come un individuo singolo, dotato di un proprio carattere, sentimenti e volontà ben specifici: Elsa, tornata selvatica, avrebbe facilmente potuto aggredire Joy e George ma non lo fece mai, proprio perchè l'affetto intercorso tra i tre si era conservato e li riconobbe sempre come parte del suo branco.
Il libro ha avuto talmente tanto successo che ne è stato fatto un film omonimo, interprertato da Virginia McKenna e Bill Travers, che ha avuto la stessa strepitosa popolarità. Nonostante il film risulti inevitabilmente un pò datato, anch'esso merita di essere visto, ma magari solo dopo aver letto il libro, avvicente ed interessante.

La locandina italiana del film (1966)
La storia di Elsa ha contribuito a dare vita a una serie di importanti associazioni e attività per la conservazione della fauna selvatica, avendo messo in luce come l'uomo può influire fortemente sull'habitat e la vita degli animali selvaggi. Ad esempio gli stessi attori del film, i coniugi Virginia MCKenna e Bill Travers, hanno fondato la "Born Free Foundation", tutt'oggi attiva in una serie di importanti campagne a favore degli animali selvatici. Naturalmente anche i coniugi Adamson, i quali hanno dedicato l'intera loro vita alla difesa della fauna selvatica, si sono attivamente impegnati in questo: oggi continuano ad operare sia la "Elsa Conservation Trust" che la "George Adamson Wildlife Preservation Trust". Vi suggerisco di visitare tutti questi siti, ricchi di belle foto di Elsa e degli Adamson, nonchè degli altri animali di cui si sono occupati. All'avventura di Elsa si collega anche la celebre vicenda del leone Christian, di cui vi parlerò prossimamente. Chiudo questo post con una citazione, tra le più belle, di "Nata Libera", un libro che merita di essere letto e conservato, preziosa testimonianza non solo di una straordinaria vicenda, ma anche del nascere di una nuova consapevolezza rispetto agli animali selvaggi.

"George e io ci guardammo in silenzio. Aveva trovato il suo destino? Molto probabilmente ci aveva sentiti, ma seguendo i leoni aveva deciso del proprio avvenire. Significava questo che le nostre speranze di restituirla alla sua vita naturale erano esaudite? Eravamo riusciti ad allontanarla da noi senza ferirla? 
Tornammo al campo soli e molto tristi. L'avremmo lasciata, ora, chiudendo così un importantissimo capitolo della nostra vita? George suggerì d'aspettare ancora qualche giorno per assicurarci che Elsa fosse stata accettata dal clan.
Tornai al mio studio sul fiume e continuai a scrivere la storia di Elsa, che era stata con noi fino a quella mattina. Ero triste d'essere sola, ma cercai di rincuorarmi immaginando che proprio in quel momento Elsa strofinava la sua soffice pelliccia contro la pelliccia di un altro leone e riposava con lui all'ombra, come spesso aveva riposato con me" (Joy Adamson, Nata Libera, Bompiani, 2000).