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lunedì 21 settembre 2020

La frase del giorno: Jacques Prevert

Lasciate entrare il cane coperto di fango: si può lavare il cane e si può lavare il fango. Ma quelli che non amano né il cane, né il fango, quelli no, non si possono lavare.

Jacques Prevert


Una frase celeberrima con una foto del vivacissimo Archibald, di cui avete letto la storia in questo post. Si avvicina il tempo dei saluti e avrei voluto avere modo di curare meglio il blog in quest'ultimo mese... ma una serie di problemi mi sta tenendo piuttosto impegnata, mentalmente e concretamente. Intanto mio figlio Stefano cresce che è un piacere e, per tornare alla citazione di Prevert, sicuramente gli insegnerò a simpatizzare per i cani e il fango, due cose dalle quali i bambini di solito sono naturalmente attratti, guarda caso. Invece spero diffiderà da chi non ama gli animali, così come pure il fango... e anche tutte le occasioni che ci riportano in contatto con la natura o anche solo con la nostra parte più spontanea e, perchè no, un po' selvaggia. Chi disprezza, sminuisce, allontana, rifiuta tutto ciò, a mio parere dimostra un'infelice povertà d'animo.
Oggi sono davvero di corsa, passo solo per lasciarvi questo saluto e questi brevi pensieri... ai prossimi, ultimi ma sentiti post! Buona settimana a tutti!

giovedì 10 settembre 2020

"L'amore che dai è l'amore che resta" di Myriam Jael Riboldi

Il folgorante titolo di questo saggio per me non è solo una frase, è piuttosto una profonda verità, infatti è sempre stata una mia intima convinzione, un vero e proprio principio di vita: l'amore che diamo è l'amore che resta, e resterà anche oltre noi. Ed è questo a dare significato alle nostre esistenze, le nostre e quelle di tutti gli esseri viventi a loro volta, costruendo ed intrecciando insieme relazioni.
Così mi sono lanciata nella lettura di questo libro di Myriam Jael Riboldi, con l'aspettativa di emozionarmi ad ogni sua pagina; in realtà si tratta di un saggio di stampo piuttosto accademico, impegnato nel delineare il quadro dell' "etologia relazionale".

 


Ammetto che avrei preferito che il libro fosse più ricco di racconti di vita vissuta dell'autrice a contatto con gli animali, invece gli emozionanti episodi che vengono narrati sono piuttosto rari. Ma ad ogni modo è stata una lettura assolutamente interessante.
Uno dei lati più affascinanti del saggio, e che in questo momento peraltro mi tocca moltissimo, è la cosiddetta "triangolazione" che viene usata nell'etologia relazionale per costruire rapporti positivi tra due soggetti per mezzo di un terzo, il quale già stringe relazioni di fiducia ed empatia con i primi due. La cosa funziona tra tutte le specie: l'autrice riesce ad esempio a far accettare un capretto neonato, inizialmente "rinnegato", da mamma capra, in virtù del suo ottimo rapporto con la femmina adulta.
Ampio spazio viene dedicato alla triangolazione tra "etologo relazionale", bambini e animali, per andare a costruire e promuovere rapporti positivi tra le nuove generazioni e le creature non umane. 

"I bambini assorbono per osmosi e il suggerimento dell'etologia relazionale è di essere mentori responsabili, pieni di entusiasmo, di competenza, di passione ed empatia. I bambini, ma anche i ragazzi, imparano a riconoscere e a leggere le intenzioni degli animali molto più facilmente di noi, ma è negli occhi degli adulti di cui si fidano che cercano le indicazioni su come orientarsi, su come muoversi, su quale strada imboccare nel rapporto con l'animale".

 (M.J. Riboldi, L'amore che dai è l'amore che resta, p. 68)

Stefano e Paciocca

Per me, da neomamma appassionata di tutto ciò che concerne il mondo degli animali, è stato davvero entusiasmante leggere queste pagine... e ho capito che, a mio modo, sto anche io avviando una triangolazione: quella tra me, la mia amata gatta Paciocca e il mio bimbo Stefano, ancora ignaro di avere una mamma gattofila che gli sta trasmettendo, spero nel modo più corretto ed autentico possibile, l'amore per tutti gli animali e in particolare i gatti.

martedì 11 agosto 2020

Adottare un cane, con un gatto in famiglia

Cari amici, oggi vi propongo un'intervista che è insieme un autentico racconto di vita e pure una piccola guida da cui prendere spunto, per affrontare positivamente l'adozione di un cane, introducendolo in una famiglia in cui è già presente un gatto. La voce è di Filippo, affezionato e storico lettore di questo blog, nonché amico, che avete già conosciuto grazie ai post dedicati alle sue gatte Alice, Maud e Dinah, ma anche ammirando le sue splendide foto della Borgogna, dal momento che vive in Francia.
Filippo e il suo compagno Olivier hanno da poco adottato il cucciolone Archibald, facendo del loro meglio perché fosse accettato anche dalla loro micia Dinah (e dalla tartaruga Platone!).
Che altro dire? Vi lascio alle sue parole e spero apprezzerete come me la sua onestà, sensibilità e giudizio nel affrontare una situazione potenzialmente delicata e destabilizzante quale l'introduzione di un cucciolo di cane in una famiglia già "dotata" di gatto. Buona lettura!

 

Dinah la gatta e Archie il cucciolo!

Come è maturata la decisione di adottare un cane, dopo tanti anni passati solo in compagnia di gatti?
Io sono un gattofilo, da sempre e per sempre, ma i cani mi sono sempre piaciuti. Quando ero studente ho fatto un po’ il dog sitter, e inoltre mio zio aveva un border terrier (si chiamava Jim) di cui mi sono spesso occupato.
Mi è sempre piaciuto fare trekking e da quando ho la fortuna di avere una casa in campagna (cinque anni) faccio anche lunghe passeggiate nei boschi nei fine settimana. L’idea di un cane che mi accompagnasse in queste escursioni mi piaceva, ma avevo paura che fosse un impegno troppo grande per me nel mio quotidiano in città. È inconcepibile immaginare la mia casa e la mia vita senza un gatto, ma il cane mi pareva una sorta di “bonus” da aggiungere a tempo debito. Sapevo che un cane sarebbe un giorno arrivato ma non sapevo quando. Due anni fa ho incontrato il mio attuale compagno, anche lui amante degli animali e della vita all’aria aperta. Era d’accordo sull’adozione di un cane “più tardi”, ma con i nostri tre gatti (due mie e uno suo) che viaggiavano con noi tra Parigi e la campagna e una tartaruga (che è in pianta stabile in campagna) non ci sembrava davvero opportuno per il momento. Purtroppo, l’inverno scorso una delle mie gatte è morta di vecchiaia, e il micio del mio compagno è stato portato via da un tumore. Siamo rimasti con la mia gatta Dinah e la tartaruga Platone e abbiamo iniziato a riparlare del cane. E una volta che un’idea entra in testa, è davvero difficile buttarla fuori, almeno per me!  Il mio compagno lavora spesso da casa, e comunque il suo ufficio è a cinque minuti da casa nostra. Io lavoro più lontano ma ogni tanto anche io sto a casa a lavorare. Ci siamo informati sulla possibilità di muoversi con un cane nei mezzi pubblici e abbiamo entrambi parlato con i nostri rispettivi colleghi chiedendo se fossero stati d’accordo con la saltuaria presenza di un cane in ufficio. Erano tutti entusiasti. Superati questi scogli organizzativi, abbiamo deciso di lanciarci nell’avventura, approfittando del fatto che l’isolamento avrebbe permesso di dedicare molto tempo all’educazione di un cucciolo.

 
In che modo vi siete orientati fino ad arrivare a scegliere proprio Archibald?
Io ero sopratutto preoccupato dalla convivenza con la gatta e con la tartaruga e volevo un cane senza troppo istinto predatorio. La decisione iniziale era quella di adottare presso un’associazione una femmina di taglia medio piccola, adulta, il cui carattere fosse compatibile con la presenza di altri animali.
Volevo adottare in un’associazione per dare una seconda possibilità a un animale sfortunato, una femmina perché mi preoccupava la vita in città con un maschio che fa pipì ogni 3 metri e si ferma ad annusare ogni marcatura di possibili “rivali”, di taglia medio-piccola perché più facilmente gestibile negli spostamenti e adulta perché i cuccioli sono davvero molto impegnativi e presentano più incognite di un cane con un carattere già definito. So che quest’ultima decisione può sorprendere alcuni. Molti si fermano al cliché dei cani adulti nei canili “traumatizzati e problematici”, ma in realtà i motivi per cui un cane finisce in un rifugio sono tanto numerosi quanto i cani stessi. Ognuno ha la sua storia e se l’associazione è seria i volontari sanno benissimo consigliarti sul cane più adatto alla tua vita. 
Una obiezione che mi è spesso stata fatta era “ma un cucciolo lo educhi come vuoi tu” e a me questa frase è sempre sembrata soprattutto molto presuntuosa: non è possibile fare “quel che si vuole” di un essere vivente. Il carattere del più malleabile dei cuccioli presenterà sempre una grande parte di unicità e individualità che la più rigorosa delle educazioni non potrà mai cambiare. Se si possono insegnare molte cose a un cucciolo, nessuno potrà mai insegnargli ad essere... ciò che non è. 
Purtroppo, nonostante tutte queste buone intenzioni, niente è andato come previsto: l’isolamento e le conseguenti misure sanitarie hanno reso impossibili le visite ai rifugi, la procedura di adozione in questo contesto era diventata quasi impossibile e gli stessi volontari ci hanno sconsigliato di intraprendere una strada difficile e carica di troppe incognite per due “neofiti canini” come noi. 
A malincuore, e con un po’ di senso di colpa, ci siamo incamminati verso decisioni più convenzionali : abbiamo cominciato a valutare quale razza (che brutta parola) fosse la più adatta a noi e a una vita divisa fra una grande città e i fine settimana in campagna e alla convivenza con una gatta e una tartaruga. Alla fine, la scelta è caduta sul golden Retriever, la cui indole sembrava corrispondere al nostro stile di vita. 
Abbiamo cercato di non farci influenzare dalle caratteristiche estetiche (anche se un po’ è inevitabile!) ma di selezionare un cane con cui vivere una bella “prima esperienza canina”. Abbiamo parlato con tanti allevatori, e L’allevatrice che ci ha convinto di più aveva due cuccioli maschi disponibili. Dopo qualche esitazione (avevamo detto femmina!) abbiamo deciso di prenderne uno e seguendo le indicazioni dell’allevatrice abbiamo scelto il più introverso e dolce dei due. 
E così, abbiamo adottato Archibald, un cucciolo maschio di razza di taglia medio grande. L’opposto di quel che avevamo deciso 😊!
 
 
 
Come avete gestito e organizzato i primissimi giorni dall'arrivo a casa del cucciolo, in relazione alla vostra micia? 
Un mese prima dell’arrivo di Archibald abbiamo spostato le ciotole di Dinah, che erano posizionate per terra in cucina vicino al lavello. Le abbiamo messe in un luogo inaccessibile per il cucciolo, sopra un mobiletto della cucina. Inoltre, abbiamo messo altre ciotole su un mobiletto in camera, perché la gatta potesse scegliere dove bere e mangiare senza incontrare il cane.
Quindici giorni prima dell’arrivo del cucciolo, abbiamo cominciato a posizionare il cesto dove questo avrebbe dormito e le ciotole dove avrebbe mangiato e bevuto. Quella dell’acqua è stata riempita da subito, perché Dinah la potesse usare  se avesse voluto. 
L’obiettivo era di dare a Dinah nuove abitudini senza che le collegasse all’arrivo del cane, cosa che l’avrebbe ulteriormente scombussolata. 
La lettiera era già posizionata in un posto strategico: dentro una cassapanca, accessibile tramite una gattaiola posta su un lato. A prova di qualsiasi cane!

Come ha reagito Dinah inizialmente? E come sta andando via via la convivenza tra i due?
Ero molto preoccupato perché Dinah è la più paurosa e timida dei gatti che ho avuto. Certo è più presente e sicura di sé da quando è diventata l’unica gatta di casa, ma resta sempre un animale molto riservato con gli estranei e diffidente nei riguardi di qualsiasi situazione nuova. È ben diversa da Maud e Cosmo, che si imponevano di più. 
Senza far generalizzazioni, l’inserimento di un cucciolo in una casa dove vive un gatto è sempre più problematico di quello di un gattino in una famiglia dove c’è un cane. In quest’ultimo caso, se il cane non è un cat-killer, il buon esito dell’inserimento è praticamente scontato : i gattini considerano i cani come enormi montagne da scalare, piene di appendici a cui aggrapparsi e con cui giocare. E i cani accetteranno con entusiasmo il ruolo di balia del micino.
Nel caso contrario invece, difficilmente un animale abitudinario e silenzioso come il gatto accetterà immediatamente la presenza di un cucciolo irruente, vivace e maldestro. 
Per fortuna, l’arrivo di Archie non ha terrorizzato Dinah come mi aspettavo. Era spaventata certo, ma non si è nascosta negli armadi come fa di solito quando qualcuno -umano o cane- entra in casa: ha preferito osservare Archie dall’alto dei mobili o da dietro le poltrone. Inizialmente chiudevamo Archie in cucina per la notte, ma adesso abbiamo smesso ed entrambi sono liberi di dormire dove vogliono, anche se poi di fatto ognuno dei due ha conservato la propria postazione : Dinah ai piedi del letto e Archie nella zona giorno. 
La cosa più dura da accettare è stata che Dinah si allontanasse temporaneamente da noi: c’è stato un momento in cui lei ha dovuto raccogliere nuove informazioni sulla situazione che stava vivendo. Stava molto in disparte, passava tanto tempo fuori casa, tornando essenzialmente per mangiare e dormire.
Noi cercavamo di non escluderla mai da nulla, ma non era facile: Archie era sempre incollato ai nostri piedi! Per qualche giorno è stato faticoso far riterrete Dinah in casa la sera : ci osservava dal bordo della terrazza, rifugiandosi sui tetti appena noi ci avvicinavamo.
 
 
 
Abbiamo capito che, poiché Archie è molto rispettoso verso Dinah, la cosa migliore da fare era non mettersi in mezzo, per far capire a lei che “noi siamo noi, e il cane è il cane”. Dissociandoci da lui, Dinah è tornata ad essere quella di sempre.
 
 

Certo è ancora un po’ contrariata dalla sua presenza, ma con noi è proprio la stessa di prima. 
Di fatto, lo ignora quasi sempre, anche se quando entra in una stanza la prima cosa che fa è verificare la sua posizione. 
 
 

Lui invece è intrigato dalla sua presenza: lo vedo spesso osservarla mentre sono entrambi in giardino, oppure mentre lei si pulisce o dorme.
La osserva anche mentre caccia.
 
 

L’altro giorno ero uscito per delle commissioni e al mio ritorno ho trovato Archie sistemato vicino al divano dove Dinah stava già dormendo quando ero uscito di casa. Ho trovato molto dolce il fatto che lui avesse preferito la vicinanza della gatta, seppure poco amichevole, alla completa solitudine. 



Quanto è impegnativo gestire un cucciolo di cane?
Tantissimo! Ma proprio tantissimo!!! Il primo mese è stato estenuante: seguendo i consigli dell’allevatrice, mettevo la sveglia per portarlo fuori anche di notte, perché imparasse più in fretta le regole di pulizia. E ciò nonostante non era sufficiente a evitare incidenti. Un cucciolo necessita di una sorveglianza praticamente continua, per 1000 ragioni. Bisogna essere severi, premiare e scoraggiare quasi in continuazione. Non ci si possono autorizzare neanche tutte le dimostrazioni di affetto di cui si avrebbe voglia. Un cagnolino che ti salta addosso per salutarti fa tenerezza, ma bisogna pensare che quello stesso cane presto peserà almeno 35 kg...
Bisogna proibire da subito l’accesso a letti e divani, bisogna scoraggiare ogni effusione troppo brusca... e non è sempre facile, un po’ perché i cuccioli fanno tenerezza, un po’ perché a volte si è veramente stanchi di dire “no, giù, basta” tutto il giorno. 
E poi gli incontri con gli altri animali, l’insegnamento a stare al guinzaglio, a non mangiare le cose trovate per terra, a non elemosinare a tavola... tutto, ma proprio tutto deve essere riflettuto, valutato, non soltanto per la situazione presente, ma in prospettiva: anche se sul momento si può dire “va bene così, non è grave” bisogna pensare a quella stessa situazione con un cane adulto e chiedersi se saremo ugualmente in grado di gestirla. Per esempio un cucciolo che tira al guinzaglio è una cosa, ma un cane adulto è un’altra... oppure i bisogni : Archie ha imparato presto a non farli in casa, ma per lui non era facile capire che giardino e terrazzo, che lui legittimamente considerava “esterno” per noi invece continuano a essere “casa”. E sul momento si può avere la tentazione di lasciar perdere, dirsi che è già un grande successo non dover pulire più il pavimento del salotto... ma i bisogni di un cagnolino sono una cosa, i bisogni di un cane adulto... sono un’altra storia. 
 Confesso che eravamo un po’ scoraggiati a momenti, soprattutto io perché avendo più tempo libero mi occupavo tantissimo di Archie. In certi momenti è inevitabile chiedersi “ma chi me l’ha fatto fare?”. 
Nelle settimane le cose sono migliorate tantissimo, Archie impara in fretta e bene, si direbbe che “agire correttamente” è importate per lui quanto lo è per noi. 
Non ho mai sgridato i miei gatti (ne lo farò mai) perché ad un gatto manca totalmente lo “spirito di squadra”: farà una determinata cosa perché lo fa star bene e non per “far piacere”. Un divieto genererà in lui soltanto frustrazione, ansia e diffidenza nei confronti di chi lo impone. Con un cane è diverso: lo stesso fatto di “far bene” è per loro fonte di soddisfazione, come lo è la lode e la ricompensa che che ne consegue. Ci si può quindi permettere di domandare un po’ di più a un cane, e di essere un po’ più severi 
Pensando alla differenza della vita con un gatto, direi inoltre che si hanno priorità opposte. Con Dinah, siamo sempre attenti a curare e a mantenere i legami che abbiamo creato, e incoraggiamo praticamente qualsiasi interazione che lei decide di avere con noi. Siamo coscienti di come questi legami vadano preservati e rinnovati ogni giorno, pena un allontanamento da parte sua che ci rattristerebbe moltissimo; con Archie, non facciamo altro che monitorare è incanalare queste interazioni, stando attenti che la sua presenza non prenda troppo spazio. 



Quali sono gli aspetti più positivi di quest'adozione canina?
La cosa più bella è che vivendo con un cane sto imparando una nuova lingua, quella dei cani appunto, che non è meno sfumata e ricca di quella felina, anche se forse è un po’ più facile da imparare, perché più esplicita.
Un’altra cosa, che esula dal cane in sé ma che mi piace tanto : passeggiando con un cane, incontri e parli con un sacco di persone, proprietari di cani e non ! Per me, che sono così socievole, è davvero una cosa divertente.
E poi c’è il fatto di poter portare Archie dappertutto, sopratutto adesso che siamo in vacanza : dagli amici, al ristorante, in macchina, al lago, al fiume, nel bosco... Quello che a lui importa è stare con noi. Cerchiamo di fargli fare un sacco di esperienze, ma stiamo anche attenti a non stancarlo e stressarlo. Compirà 4 mesi il 20 agosto !
È anche bello il tipo di affetto che da e chiede, così diretto e diverso da quello di un micio, fatto spesso di sguardi e di momenti di inattività insieme. 
Con un cane “fai” più cose, ma non sto dicendo che i cani sono migliori intendiamoci! Se la condivisione è maggiore, direi che è più una questione di quantità che di qualità. Anzi, secondo me la qualità del tempo passato con un gatto non ha pari! 
Come dicevo all’inizio dell'intervista la mia passione sono sempre stati i gatti, da sempre, anche se non mi piacciono i paragoni tra gli animali. 
C’è però un detto: “chi ama i gatti ama tutti gli animali, mentre chi ama i cani ama solo il proprio cane”, e in effetti, tante volte mi sono trovato a discutere mio malgrado con cinofili convinti che snocciolavano senza interruzione le prove di fedeltà, intelligenza e lealtà dei loro cani (che a me sembravano un po’ numeri da circo in realtà 😉).  Di fronte a questi discorsi mi facevo quasi un dovere di difendere i miei gatti e il loro modo d’essere, ma mi veniva sempre risposto “è solo perché non hai mai vissuto con un cane”. Frase di fronte alla quale non era possibile ribattere, perché era la verità. Oltretutto, i contro argomenti di un gattofilo sono sempre debolucci per la mente di un amante dei cani, perché l’amore dimostrato da un gatto è fatto di piccolissimi gesti, posizioni del corpo, stati d’animo. Niente a che vedere con le effusioni senza ritegno dei cani! E oltretutto la relazione con un gatto si sviluppa totalmente al riparo da sguardi altrui, nell’intimità della casa e del giardino, quando solo “gli eletti” nel cuore del gatto di casa sono presenti.
L’amore dei gatti è un mistero assoluto per chi non lo vive in prima persona. Ad un occhio esterno e poco avvezzo ai codici felini, tutti i gatti sembrano uguali. 
 
Ora che Archie fa parte della nostra famiglia, amato, coccolato e vezzeggiato a dovere, all’ennesimo amico/conoscente/familiare/vicino di casa che mentre gioca estasiato con il mio cucciolo mi chiede “allora, adesso che c’è Archie riconosci anche tu che i cani sono davvero fantastici?”, posso rispondere senza paura di repliche saccenti “sì, lo sono, ma continuo a preferire i gatti”, e godermi lo stupore oltraggiato del cinofilo deluso. 😊

venerdì 3 luglio 2020

Dai domestici ai selvatici: una visione d'insieme

"La diversità, per capirla fino in fondo, bisogna esperirla sulla pelle e farsela entrare nelle ossa. Gli amanti degli animali 'd'affezione' rischiano l'eccessiva focalizzazione sulle dimensioni dell'affettività e dell'affiliazione (...). Occuparsi di selvatici che, invece, richiedono distanza, discrezione e spesso rinuncia, non solo consente di fare un bagno d'umiltà che costringe a spostarsi da qualunque ottica autocentrata; l'esperienza con animali da maneggiare poco, da stressare poco, da non rendere dipendenti perchè per loro si deve prospettare una liberazione in natura, insegna il valore profondo della libertà per gli esseri viventi, il loro struggente attaccamento al contesto ambientale, il valore del loro ruolo nel sistema della vita e la relatività della nostra posizione nel pianeta".

(Sonia Campa, L'insostenibile tenerezza del gatto, p. 313)




Quando ho letto questa frase ho avuto un colpo al cuore, perchè finalmente stavo leggendo nero su bianco e comprendendo l'importanza di alcune esperienze della mia vita che mi avevano aperto le porte su tutto un altro mondo nel quale ero immersa, come una dimensione parallela, sempre sotto i nostri occhi ma perennemente "nascosta" dal nostro sguardo, disabituato a coglierla. 
Piccoli ricci orfani e svariati ricci adulti, decine di bruchi e farfalle, dozzine di uccelli (upupe, cince, fringuelli, luì, piccioni, gufi...), centinaia di lucciole, qualche rospo e rana toro, insetti di tutti i generi... quanti incontri ho fatto, in questi anni, con la natura selvatica, solo uscendo dalla porta di casa mia e facendo due passi in giardino. Si è trattato di occasioni uniche, esperienze che tassello dopo tassello hanno arricchito straordinariamente la mia percezione del mondo e completato, in maniera commovente, il ventaglio delle forme d'amore che ero abituata a conoscere, esperire, ricercare.
Siamo abituati a stringere legami con i nostri simili e, i più sensibili ed empatici di noi, anche con gli animali domestici. Ho sempre amato i gatti e, per mia fortuna, per buona parte della mia vita fino a qui ho avuto il grande privilegio di condividere con loro la mia quotidianità. Mi hanno insegnato tanto e, al contempo, sono stati da subito un "ponte" per il resto della natura, quella più selvaggia. Non ci avevo mai appositamente riflettuto prima ma, quando sono venuta a contatto con gli animali selvatici, prendendomene cura se serviva o semplicemente osservandoli da lontano con il dovuto rispetto, ho provato tutta un'altra emozione, qualcosa di ancora più universale dell'amore per i miei gatti. Qualcosa che mi ha davvero insegnato il valore profondo della libertà per gli esseri viventi e la relatività del mio punto di vista ma anche il ruolo della mia esistenza nell'ecosistema del mondo. 


Coccolando ed amando i miei gatti non avvertivo certo alcuna "mancanza", intendiamoci: il rapporto con un animale domestico è meraviglioso e arricchente, sicuramente più diretto e facilmente esperibile. Non può essere considerato "manchevole" di nulla, se ben vissuto: si impara a comunicare con un linguaggio che non è nè umano nè non-umano, bensì una splendida sintesi di entrambi; si viene rassicurati dall'amore privo di filtri, giudizi e intenzioni che gli animali sanno riservarci; si diventa responsabili per la qualità di vita di quell'essere vivente che sta vivendo proprio accanto a noi; si scende a reciproci compromessi nella diversità di specie. Insomma, è qualcosa di davvero meraviglioso!
Eppure, dopo aver letto quel pensiero di Sonia Campa, ho capito cosa mi ha emozionato tanto quando ho potuto fare un passo oltre i miei gatti, quando sono venuta a contatto - inizialmente per caso e poi, sempre più, per mio specifico interesse - con gli animali selvatici. 
E ho compreso che si tratta di un mondo necessariamente complementare a quello degli animali domestici, nel quale entrare in punta di piedi, con grande rispetto ma anche con grande determinazione, perchè in grado di "regalarci" un senso di comunione con il nostro pianeta che - duole dirlo - tramite gli animali domestici si perde. Anzi, talvolta ho avuto spesso l'impressione che - per alcune persone, sia chiaro, non per tutti - il rapporto esclusivo con il proprio animale domestico possa addirittura tramutarsi in una barricata rispetto al resto del mondo, umano e non umano. 



E così eccomi qui a scrivere queste mie riflessioni per rilanciarle a voi, cari lettori, per incitarvi a uscire da casa vostra e, se ancora non l'aveste fatto, inseguire, ricercare, perseguire ogni possibile opportunità di venire in contatto con l'autentica natura selvatica, passo dopo passo, con rispetto e gradualità... perchè vi cambierà, vi arricchirà, completerà la vostra comprensione di voi stessi, del mondo che vi circonda ma anche i vostri sentimenti in proposito. Se potete, se avete un cane o un gatto, fatevi inizialmente guidare da loro nell'esplorazione del territorio e dell'ambiente. Cercate di togliere i vostri "occhiali antropocentrici" per indossare, anche solo temporaneamente, lo sguardo felino o canino del vostro compagno a quattro zampe... già questo vi condurrà sulla strada giusta. E se non avete invece animali domestici, magari dovrete fare uno sforzo in più, ma non negatevelo: iniziate a fare attenzione a un'ape o una mosca in giardino, agli uccelli che migrano, alle formiche che dominano in giardino. Nutritevi anche di natura selvatica, non limitatevi al rapporto - appagantissimo, lo ribadisco - con i vostri animali domestici, perchè si tratta di due facce di una stessa medaglia che vale davvero la pena di "conquistare". 
Cosa ne pensate? Quali esperienze uniche avete già fatto a contatto con gli animali selvatici? Aspetto i vostri racconti nei commenti e... se vi rendete conto che non ve ne viene in mente neppure uno, allora cogliete l'opportunità per iniziare oggi stesso a ricercare occasioni a contatto i selvatici, ad esempio visitando il CRAS della vostra città o partecipando a eventi e iniziative di valorizzazione della fauna selvatica. Basta poco per partire in questo viaggio che, potenzialmente, potrà durare poi per l'intera vostra vita.

mercoledì 20 maggio 2020

"La meravigliosa vita delle api" di Gianumberto Accinelli

Buongiorno amici! In occasione dell'odierna "World Bee Day", giornata mondiale dedicata alle api e istituita dall'ONU ormai da alcuni anni, vi presento una lettura in tema: La meravigliosa vita delle api. Amore, lavoro e altri interessi di una società in fiore del sempre a me caro Gianumberto Accinelli. 
Diversamente da altre pubblicazioni che fanno soprattutto il punto sull'emergenza del declino delle popolazioni di api in tutto il mondo, minacciate a morte da inquinamento, cambiamenti climatici, malattie, perdita di habitat naturali sufficientemente accoglienti e un uso spropositato dei prodotti chimici in agricoltura, questo libro di Accinelli è piuttosto un viaggio affascinante sulle caratteristiche speciali e la vita delle api, quelle che ancora sono rimaste almeno. E quante scoperte meravigliose e inconsuete!



L'ape è l'insetto impollinatore per antonomasia, ma sapevate ad esempio che è anche estremamente metodico e molto più efficiente di altri impollinatori come farfalle e mosche? Sì, perchè l'ape bottinatrice, quando esce di buon mattino alla ricerca di nettare, arrivata in un prato fiorito sceglie a inizio giornata un tipo specifico di fiore dal quale rifornirsi, e continuerà per tutto quel giorno a visitare solo quei fiori, garantendo così il massimo successo dell'azione impollinatrice per quella specie floreale. Il giorno dopo la storia ricomincia: la bottinatrice sceglierà magari un altro tipo di fiore e vi resterà "fedele" fino al concludersi del suo "turno di lavoro". 
Un'altra curiosità che mi ha colpita molto è la seguente: mai avvicinarsi a un alveare se si sta mangiando una banana matura, perchè questo scatenerà le ire delle api che vi attaccheranno con ferocia e, soprattutto, in massa. Il problema sta nel fatto che l'odore di banana matura assomiglia a quello dell' "isopentyl acetato", la sostanza lasciata dall'ape insieme al pungiglione quando ci punge. E' una sorta di segnale odoroso per dire: "Attenzione! Qui ho dovuto attaccare, questo è un invasore! Se non se ne va, attaccare ancora!". L'odore di banana farà credere quindi alle api che sia avvenuto un attacco e ci sia bisogno di intervenire in massa contro l'invasore che non fugge ma anzi, resta inconsapevolmente fermo a sbocconcellare il frutto maturo.

Un'ape vola verso i fiori del pesco

Naturalmente molto del libro è dedicato alla straordinaria intelligenza, individuale ma soprattutto sociale, delle api: insetti ligi al proprio dovere e ben inquadrati nella loro società dell'alveare. Scopriamo quindi vita morte e miracoli di questi imenotteri, dai loro riti (cruenti) di accoppiamento alla loro giornata lavorativa, dal loro sofisticato modo di comunicare alle loro incredibili abilità ingegneristiche e matematiche. 
Anche per questo l'ape, oltre che per il suo fondamentale ruolo di impollinatore (un'enorme percentuale del cibo che mangiamo lo dobbiamo all'azione degli impollinatori spontanei), è stata impiegata anche in altri campi diversi dall'agricoltura: ad esempio, come "segugio" da mina antiuomo. Con uno specifico addestramento (si miscelano acqua e zucchero all'odore dell'esplosivo, per far sì che gli insetti siano sensibili ad esso), alcune api esploratrici infatti sono in grado di individuare una mina sotterrata, posandosi sul terreno senza far detonare la bomba (l'ape pesa troppo poco!). Con un sistema d'addestramento analogo, le api  possono venire impiegate anche in medicina, per la ricerca dei tumori, o negli aereoporti per individuare traffici illegali di droga. Insomma, veri e propri segugi!
Il libro si chiude comunque con il problema serissimo dello spopolamento degli alveari, di cui abbiamo preso coscienza circa 13 anni fa: "Nel 2007 la popolazione di api in Europa è stata decimata di una quota che varia dal 30% al 50%. (...) In America (...) le perdite di alveari hanno raggiunto, in alcune zone, il record del 70% sul totale. In Italia, sono 200.000 le arnie che, ogni anno, cessano il loro allegro ronzio diventando delle gelide e silenziose lapidi che costellano il territorio nazionale alla stregua di un gigantesco cimitero" (G. Accinelli, "La meravigliosa vita delle api",  p. 122). 

Foto di Eigene Aufnahme su Wikipedia.

Uno scenario desolante e drammatico, da tutti i punti di vista. Cosa si può fare per arginare il fenomeno e dare una chance di sopravvivenza alle api? 
Anzitutto in agricoltura si devono eliminare i neonicotenoidi e gli insetticidi di sintesi, dando ampio spazio alla lotta biologica. Si dovrebbe inoltre ripensare completamente il sistema delle monocolture intensive, tornando a preferire (o almeno dando modo di conservare) un paesaggio agricolo ricco di siepi, alberi e vegetazione che possano fungere da "corridoi ecologici" anche per le api.  Ma è auspicabile pure ricreare piccole oasi sicure per questi impollinatori nel nostro privato, in campagna, in periferia e in città, andando a piantumare fiori spontanei ricchi di nettare ovunque possibile: aiuole, balconi fioriti, cortili, giardini e parchi. Ecco una lista utile di piante che attirano particolarmente le api:

La lista è tratta dal libro di Accinelli, le foto (facelia, borragine, cosmea) sono tutte su Wikipedia.

Quello delle "oasi" per insetti utili è un progetto che Eugea promuove da anni e che vi invito a visitare, per prendere parte voi stessi a questa piccola, grande rivoluzione... un segnale concreto e non solo "ideale", nella giornata dedicata alle api.

lunedì 20 aprile 2020

Due ottime guide per orientarsi nel mondo del birdwatching

In queste settimane di quarantena, forse tra le attività più rasserenanti che è possibile fare è proprio l'osservazione degli uccelli che popolano il nostro giardino o che visitano i nostri balconi. Sulla scorta di questo post, mi sono accorta di non avervi mai presentato i miei "alleati" formidabili nell'identificazione degli uccelli che ammiro grazie al birdgardening (ed eventualmente, nei luoghi naturalistici che frequento, grazie al vero e proprio birdwatching). Certo ci sono uccelli così celebri da non aver bisogno di presentazioni: le tortore, le gazze, i pettirossi, i merli e forse le cince... ma se vi appassionerete un pochino al birdwatching, ben presto scoprirete che, ad esempio, le cince non sono tutte uguali, e vorrete saperne di più! Allo stesso modo, vi troverete febbrilmente a sfogliare una guida di riconoscimento degli uccelli quando vi capiterà di osservare un fringuello maschio e femmina: come si distinguono? Per tacere di altre specie meno diffuse o semplicemente più elusive, come le upupe, i picchi, i codirossi...


Il primo libro che vi presento è "Guida agli uccelli d'Europa, Nord Africa e vicino Oriente" di Lars Svensson: è semplicemente un gioiellino, il mio preferito in assoluto, talmente bello, pratico, intuitivo ma al contempo completo, che spesso e volentieri mi sono ritrovata a sfogliarlo come fosse un libro di racconti, prima di addormentarmi. E credetemi, dal momento che si tratta di una guida al riconoscimento degli uccelli, assolutamente non romanzata e anzi estremamente sintetica e schematica, la cosa è alquanto incredibile! La verità è che, una volta capita l'impostazione e decodificate le mappe, le sigle e i simboli (cosa piuttosto facile, a dire il vero), nonostante l'estrema sintesi, ci sono tutte le informazioni più importanti per riconoscere l'uccellino su cui vi state informando... e vi scoprirete entusiasti nel ritrovare, anche in un solo aggettivo, esattamente quella caratteristica peculiare che vi aveva così colpiti all'osservazione diretta del pennuto!

Ecco, ad esempio, la tavola delle cince (una prima parte) della guida Svensson

Il secondo manuale che utilizzo e consulto, sebbene con minore frequenza del primo, è "Birdwatching facile. Guida illustrata agli uccelli d'Europa" di Detlef Singer. Un primo pro di questo manuale è il fornire una scheda identificativa con informazioni precise e ordinate per ogni uccello: tipicità, caratteristiche generali, specie simili (ottimo per fare eventuali confronti), voce, distribuzione, riproduzione e alimentazione. Per cui se, ad esempio, si vuole scoprire cosa mangia il tal pennuto, è più immediato arrivare subito al punto. Ma il più grande pregio di questo volume sono senz'altro le 1400 bellissime fotografie a colori, mentre nella guida Svensson troviamo invece "solo" magnifiche illustrazioni (di Killian Mullarney e Dan Zetterstrom, che sono riusciti a creare vere e proprie "mappe" da esplorare, grazie alle didascalie). Vi dirò che non necessariamente una foto è più esaustiva di un'illustrazione (soprattutto se si vuole cogliere un dettaglio specifico per l'identificazione), ma nel caso di alcuni uccelli ho trovato indispensabile il confronto tra illustrazioni e foto per chiarirmi le idee definitivamente.

Sempre le cince, sulla guida Singer... foto meravigliose!

Entrambi i volumi sono editi da Ricca Editore e li ho scoperti grazie all'iscrizione come socia alla Lipu, ma sono liberamente acquistabili da chiunque. Quindi che dirvi? Secondo me per partire l'ideale è la guida Svensson, ma non sarebbero soldi sprecati neppure quelli per l'acquisto della guida Singer, che in un qualche modo va ad essere "complementare" rispetto alla prima e può darvi la giusta conferma rispetto a un'identificazione.
Si tratta di due ottimi volumi che vi consiglio spassionatamente, sia che siate già bird-watcher appassionati, sia che invece siate alle prime armi... io ho imparato e tuttora sto imparando così! E devo dire che, dopo aver avvistato un pennuto sconosciuto, non c'è soddisfazione più grande che sfogliare il libro fino a trovare un possibile "candidato"... non fatevi ingannare dalle facili ricerche su Google, rintracciare il "proprio" uccellino su una guida, per poi divorare tutte le informazioni che lo riguardano, è un piacere impagabile!

martedì 25 febbraio 2020

Un piccolo "Luì" a sorpresa: considerazioni sul birdgardening

Cari amici, su questo blog ho già dedicato diversi post ai simpatici pennuti che visitano i nostri giardini; durante le stagioni fredde ho spesso pubblicato articoli sulle mangiatoie e qualche reportage fotografico "casalingo" sulla mia gratificante attività di birdwatching-birdgardening, tra cince, pettirossi e fringuelli che venivano a rifocillarsi... ma anno dopo anno, stagione dopo stagione, come per l'allevamento dei bruchi di macaone, anche nel caso del birdgardening non si finisce mai imparare qualcosa di nuovo. Basta variare di poco i propri gesti, che la natura risponderà "a tono", sorprendendoci sempre... ed è un meraviglioso dialogo, che potenzialmente può non esaurirsi mai!
Quest'inverno, ad esempio, mi è bastato arricchire il menù del mio "buffet" con le palle di grasso casalinghe, per osservare una specie che non avevo mai visto prima nel mio giardino e di cui ignoravo l'esistenza: il "Luì piccolo" (Phylloscopus collybita)!
Questo piccolo passeriforme si riconosce dal "gemello" Luì grosso (Phylloscopus trochilus) dalle zampette (scure nel piccolo, più chiare nel grosso) e dal movimento della coda, poichè il Luì piccolo infatti dà frequentissimi colpi di coda all'ingiù, ben riconoscibili.

Ecco il primo luì piccolo che si è avvicinato alla mangiatoia!
"Non sono carinissimo?"

L'approccio è stato curioso, per me che ho avuto modo di osservarlo giorno dopo giorno... dopo un mesetto di esposizione della nuova mangiatoia con le palle di grasso casalinghe, ho visto per la prima volta un nuovo uccellino, di dimensioni ridottissime, contendersi il posto al buffet con le audaci cince. Il tipetto era solo e sparuto, ma ben convinto... il tempo di scattare qualche foto per identificarlo, che era già volato via, ma tornava alla mangiatoia sempre più spesso.
Dopo un paio di giorni, la sorpresa: i "Luì" erano diventati due! Ho pensato ad una coppia, come per i fringuelli, ma sarei stata smentita in breve tempo... perchè ben presto la mangiatoia si è affollata fino a quattro, perfino cinque "Luì" contemporaneamente, che a quel punto insieme a un gruppo altrettanto folto di cinciallegre e cinciarelle, rendevano la postazione una vera e propria voliera a cielo aperto... uno spettacolo per gli occhi e per il cuore! Una dozzina di uccellini tutti insieme, chi sulla mangiatoia appesa, chi sulle palle di grasso nella retina, chi tra i rami ad aspettare il suo turno, chi sul piattino a rubare un "pellet energetico". Quando poi, ai "suoi" orari", arrivava anche il pettirosso (a dire il vero piuttosto indispettito dalla presenza dei Luì), il quadretto idilliaco è stato proprio completo... per non parlare delle visite, sempre ben educate, della ghiandaia.

Tre luì in un colpo solo!!!

Tutto questo mi ha portata a riflettere in generale sull'attività di birdgardening dei mesi autunnali e invernali, e da qui questo post che vorrebbe essere un "sunto" della mia passione sviluppatasi in questi anni, da quando ho iniziato ad esporre in giardino cibo per gli uccelli selvatici. Mi sono resa conto che se si vuole instaurare un contatto con la natura bisogna seguire le sue regole e imparare il suo linguaggio, per cui la prima parola chiave per un birdgardening "di successo" è sicuramente... varietà, che fa rima con biodiversità.
Non pensiate che basti esporre bricioline di pane o semi di girasole per attirare davvero un buon ventaglio di specie: magari arriveranno gazze e passerotti (dove ancora ce ne sono), ma se volete godere di un più ampio panorama ornitologico, dovete tenere in considerazione che ciascuna specie ha i suoi gusti e le sue esigenze. Senza saperlo, grazie alle mie palle di grasso casalinghe, ho ad esempio attirato i Luì piccoli, specie che mai avevo visto (nè della quale avevo sentito parlare) in tanti anni di birdgardening... eppure, ci sono sempre stati, e in grande numero a quanto pare!
Per cui differenziate il più possibile il menù delle vostre mangiatoie e anche la tipologia di esse: quelle che lasciano posarsi gli uccelli, quelle adatte per gli uccelli che si "appigliano" (come le cince), ecc... insomma, varietà, varietà e ancora varietà: questo vi garantirà di poter osservare tante specie diverse, ciascuna con il proprio comportamento.

Fringuello maschio, raramente si posa sulle mangiatoie perchè preferisce "razzolare" per terra

Luì sulla mangiatoia e, a destra, fringuella femmina che studia la situazione

E' chiaro che ciascuno deve poi anche fare i conti con la propria disponibilità di spazi, ma se possibile, non limitatevi ad un solo "menù" generico e una sola mangiatoia. Inoltre vi consiglio spassionatamente di provare a fare con le vostre mani le palle di grasso (in questo post la ricetta, potete omettere le mele per conservare più a lungo il prodotto), perchè ho trovato in generale un maggior gradimento di queste da parte degli uccelli rispetto ai mangimi (comunque sicuri e ben bilanciati) industriali.
Un'altra parola chiave è... continuità e rispetto dei tempi giusti. Una mangiatoia esposta a metà settembre, quando un giorno di pioggia si alterna a dieci giorni di bel tempo e caldo, probabilmente verrà snobbata fino all'arrivo del freddo. E' importante "beccare" il momento giusto per esporre il cibo e le mangiatoie: nè troppo presto, nè troppo tardi. Lo scorso anno, ad esempio, mi è capitato di aver temporeggiato troppo nell'esporre la mangiatoia e ho avuto pochissimi pennuti frequentatori: questo perchè si erano già abituati alla mangiatoia del vicino, presa d'assalto. Chiaramente è tanto più importante rifornire quotidianamente e comunque non far mai esaurire il cibo del vostro "buffet", che deve essere continuo per tutti i mesi di stagione avversa: una volta che gli uccellini l'avranno preso come riferimento, soprattutto d'inverno ne diventeranno dipendenti e sarebbe una vigliaccata lasciarli senza cibo all'improvviso.

Cinciarelle, più piccole e dai toni azzurrini
Cinciallegra, più grande e con il capo nero

Una terza e ultima parola chiave che serve per godere a pieno del birdgardening, ed è forse la più difficile da garantire e garantirsi, è... pazienza e, se possibile, tanto tempo. Mi rendo conto che esporre mangiatoie "curando" la loro gestione (in termini di varietà, continuità ma anche igiene, non dimentichiamolo) per aiutare e al contempo ammirare gli uccelli, è qualcosa che richiede tempo, quotidiano e settimanale. Più per l'osservazione che per il resto, perchè come in ogni "caccia", serve pazienza, tempo e ancora pazienza. Gli uccellini non arriveranno subito e, anche quando si sarà consolidata la loro abitudine a frequentare la nostra mangiatoia, restano animali selvatici poco propensi al contatto umano, in allerta ad ogni minimo movimento: bisognerà avere l'accortezza di posizionarsi discretamente dietro ad una finestra, muovendosi lentamente per non spaventarli. Se poi vorrete "catturare" il pennuto in uno scatto fotografico, allora armatevi davvero di tanta pazienza e tanto tempo: non sarò certo io ad insegnarvi i rudimenti della fotografia naturalistica, ma sappiate che per un solo scatto "appena dignitoso" ce ne saranno almeno venti da buttare.
Che dire poi dei nostri ritmi di vita, che spesso ci costringono ad uscire al mattino presto, tornando a casa quando già è buio in autunno e inverno? Vi potrete domandare il senso di aver posizionato una mangiatoia, se poi durante il giorno non potete godere della vista dei suoi frequentatori. La risposta in questo caso è la seguente: un'abitudine e una frequentazione assidua a una fonte di cibo si formano nei giorni e, se nel weekend potrete ammirare qualche pennuto rifocillarsi nel vostro giardino, sarà solo grazie al fatto che durante tutta la settimana gli avrete dato la possibilità di rifornirsi quotidianamente. Ed infine, dovete avere chiaro l'obiettivo primario per cui esponete una mangiatoia: non le foto, non le vostre osservazioni, bensì l'aiutare a sopravvivere gli uccelli in cerca di cibo durante i mesi invernali. Il poter ammirare i pennuti, liberi, ed eventualmente persino fotografarli, è una gradita conseguenza, ma non può esserne la ragione principale, pena tanta frustrazione inutile.


Varietà, continuità, pazienza e tempo... mi rendo conto che queste sono proprio delle parole chiave, quasi delle "regole d'oro", che vigono in natura in tanti frangenti, ben oltre il mondo degli uccelli selvatici! E voi quale lezione avete imparato dal birdgardening? Se non vi foste ancora approcciati a quest'attività, vi consiglio davvero di farlo... anno dopo anno diventerete sempre più esperti e il piacere di ammirare una "voliera a cielo aperto", nei mesi peraltro considerati cupi come quelli dell'autunno e dell'inverno, sarà davvero una gioia per l'animo.

mercoledì 5 febbraio 2020

"Ranocchi sulla luna (e altri animali)" di Primo Levi

Una raccolta di racconti estremamente originali, che ci rivela un lato sconosciuto di Primo Levi: non fu solo il chimico italiano passato alla storia per essere uno dei più importanti testimoni della Shoah, ma anche un vero e proprio scienziato curioso del mondo, un intellettuale a tutto tondo capace di sintetizzare scienza e temi morali in un'unica opera. Questo "Ranocchi sulla luna" ne è l'esempio perfetto: una raccolta di storie suggestive, che fanno perno su animali veri, o mitologici, che diventano il pretesto per parlare anche dell'uomo, o per fare da specchio all'umanità.



Le tinte che colorano questi racconti sono varie, mai troppo scanzonate. Talvolta si respira l'atmosfera spiazzante de "La metamorfosi" kafkiana, talvolta sembra di leggere un mito classico, alcuni racconti strizzano l'occhio addirittura alla fantascienza e alla letteratura orrorifica, altre storie ci mostrano - dallo sguardo animale, senza alcuna forzatura antropocentrica - tutta la capacità distruttrice dell'essere umano. Paradossi e fantasia, ma anche studio della natura realistica e delle sue strategie di sopravvivenza tra gli animali: non è un libro leggero, bensì una raccolta capace di far riflettere e aprire nuovi mondi nell'immaginazione del lettore, soprattutto oggi che vi è una sempre maggiore sensibilità rispetto agli animali. Se siete alla ricerca di un libro originale e denso di contenuti, ve lo consiglio spassionatamente!
Non trovo parole migliori per concludere questa breve recensione che quelle dello stesso Primo Levi: "Se potessi, mi riempirei la casa di tutti gli animali possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli, ma anche per entrare in comunicazione con loro. Non farei questo in vista di un traguardo scientifico (non ne ho la cultura né la preparazione), ma per simpatia e perché sono sicuro che ne trarrei uno straordinario arricchimento spirituale e una compiuta visione del mondo...".
E tutti noi amanti degli animali non possiamo che confermare.

sabato 30 novembre 2019

Aspettando il Natale... un po' controcorrente!

Ultimo giorno di novembre: da domani, anche i più recalcitranti (come ahimè lo sto diventando io), dovranno rassegnarsi ad entrare a pieno diritto nell'atmosfera natalizia, che ci è stata imposta ormai con diverse settimane d'anticipo. Devo essere sincera... amerei molto il periodo di Natale, adoro decorare la casa fuori e dentro, fare i dolci tipici, così come mi piace organizzare cene e pranzi festivi con amici e parenti. Altrettanto amo pensare ai regali per le persone care, mi immergo volentierissimo in letture natalizie, mi sciolgo in brodo di giuggiole di fronte ai mielosi film di Natale, programmo sempre almeno un giorno in qualche località famosa per mercatini natalizi, meglio se con la neve... eppure, anche per un'entusiasta come me, negli ultimi anni trovo che si stia amaramente esagerando, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche: al supermercato il primo panettone l'ho avvistato (non scherzo) a fine settembre. In ottobre, mentre imperversava il marketing spinto per Halloween, in tv iniziavano già a comparire le pubblicità con jingle natalizi completamente fuori luogo. Con l'arrivo dei primi di novembre, non c'è stato più freno... sembrava che fosse già pieno periodo natalizio: alberi di Natale e decorazioni ovunque nei negozi, eventi in città pompati all'inverosimile (inaugurazione delle bancarelle a metà novembre, con annesse luminarie già tutte completamente accese... spettacolari, lo ammetto, ma ora di Natale non ci avremo già fatto l'abitudine?), perfino qualche coraggioso (?) cittadino ha decorato il giardino e acceso le luci natalizie in contemporanea, aumentando il mio fastidio.

Le vie di Ferrara già illuminate a Festa a metà novembre...

E' come se la nostra società volesse cancellare i periodi "normali", come lo era un tempo novembre: un mese forse un po' lugubre, lo ammetto, molto piovoso... ma era l'anima più cupa dell'autunno, forse proprio quel periodo che poi faceva salutare con ancora più gioia il primo albero di Natale, il primo balcone illuminato dalle lucine, l'idea di iniziare a pensare ai regali, il desiderio di un weekend sulla neve tra i mercatini, l'aspettativa delle festività, la festa in tavola per un dolce dal sapore tipicamente natalizio. 
E' chiaro che il Natale fa vendere molto e di più di un anonimo novembre... ma a questo punto, se guardassimo a come gira il mondo in Occidente, potremmo comodamente cancellare novembre dal calendario o cambiargli nome, rinominandolo ad esempio "Predicembre". L'anima di novembre è stata uccisa, neanche troppo lentamente o timidamente, da una società dove è il marketing a dettare il calendario e come ci dobbiamo sentire: Natale sta arrivando, è già ora di pensarci e fare compere, di sentirci felici! 
E invece, affrettando così le cose, felici probabilmente ci sentiamo sempre meno... e arriviamo al 25 dicembre già nauseati, sicuramente già assuefatti al clima festivo, per cui non resta più nulla da apprezzare davvero: la piazza illuminata a festa è solo un insieme di edifici e di lucette a led, il panettone in tavola ha il sapore usuale come quello di un Buondì (in fondo, lo stiamo mangiando da settimane, no?), le musiche natalizie ci fanno lo stesso effetto di un ripetitivo e martellante tormentone estivo. Che bel guadagno!

Un bel panettone: sicuri di averne ancora voglia a Natale, se iniziamo ad assaggiarlo a novembre? Foto di Nicola Wikipedia.

Ovviamente sta ad ognuno di noi vivere in maniera personale e critica ciò che la società ci propone/impone, decidendo cosa accogliere e cosa rifiutare, eppure è sempre più difficile sfuggire a questa finta euforia natalizia che si scatena fin dai primi di novembre... e parlo io che vivo in campagna, per cui per fortuna non devo ritrovarmi ad ogni uscita da casa le vie di Ferrara illuminate a festa, le vetrine con la neve finta e le palle di Natale! 
Se guardo fuori dalla mia finestra, siamo ancora in un autentico e naturale novembre: le foglie ormai quasi tutte a terra, tanta pioggia, gli uccellini che visitano ormai quotidianamente la mia mangiatoia, nessun segno del Natale che sta arrivando. Per carità, a brevissimo inizierò anche io i preparativi tradizionali, ma mi secca tanto avere sempre meno entusiasmo per un periodo che adoravo... 
Ad ogni buon conto, questo post non vorrebbe essere solo uno sfogo personale e abbastanza fine a sè stesso sul marketing natalizio... anzi, l'idea principale sarebbe un'altra! 
Girellando in internet ho trovato una bella idea per vivere un po' diversamente l'attesa natalizia, per riempire questo periodo che ci separa dal 25 dicembre con attività legate alla natura. Si tratta di un vero e proprio "calendario d'avvento" in versione "wild", inerente solo e unicamente al mondo naturale o, eventualmente, agli animali domestici. L'idea mi è piaciuta tanto e ho pensato di riproporvela!



L'originale arriva dal sito americano "Wilder Child" (per incentivare nei bambini un legame più quotidiano e stretto con la natura, soprattutto grazie all'educazione e al coinvolgimento dei genitori e delle famiglie): se conoscete l'inglese, potete seguire comodamente anche la loro versione (graficamente più bella e curata della mia). Oggi come oggi il "calendario d'avvento" è una pratica destinata ai bambini più o meno grandi, ma se impostata in maniera seria può dare degli spunti di riflessione anche a noi adulti... in particolare una versione come questa, che si propone di darci l'occasione di entrare quotidianamente a contatto con la natura e il mondo non umano. Un bell'antidoto contro il folle marketing "natalizio", non trovate?
E così vi offro la mia versione, ispirata chiaramente a quella di Wilder Child ma tradotta in italiano e riadattata... l'idea sarebbe di ritagliare ogni bigliettino (ciascuno corrisponde ai giorni 1-24 dicembre), piegarli e metterli alla rinfusa in un contenitore a vostra scelta: ogni giorno estrarre a sorte un bigliettino e cercare di mettere in pratica il suggerimento scritto. Ovviamente c'è ampia libertà di adattamento: se alcune attività proposte non si adeguano al meteo o ai vostri impegni di quel giorno, si può liberamente scegliere un altro bigliettino. Così come si può, al contrario, non ritagliare i bigliettini e tenerli semplicemente così, in bella vista, scegliendo giorno per giorno l'attività che ispira di più... o cambiandola, modificandola a proprio piacimento. L'importante è trovare un po' di tempo quotidiano, da qui a Natale, per la natura. Forse arriveremo alle feste un po' meno nauseati, sicuramente molto arricchiti dalle esperienze che avremo maturato a contatto con il mondo selvatico... l'opposto del mondo umano patinato (e spesso finto) che ci circonda in questo periodo. E poi, chissà... forse in questo modo scopriremo che anche dicembre ha un'anima tutta sua speciale e selvatica, indipendente dalle feste di Natale... vi va di provarci insieme?


Clicca sull'immagine per visualizzarla grande e poi salvala sul pc. Altrimenti... contattami via email (rumoredifusa@gmail.com) ti spedirò il PDF!

Io ci proverò senz'altro e vi aggiornerò a iniziativa finita di com'è andato il mio "avvento selvatico"! Vi consiglio davvero di lanciarvi in questa (o in una simile) iniziativa, non perchè sia io a proporla, bensì perchè ho già sperimentato come un piccolo proposito come questo possa davvero dare una qualità diversa alle giornate e alle settimane... e ai più fortunati di voi dico: non chiudetevi dietro al pensiero "beh, tanto io vivo già abbastanza a contatto con la natura, non ho bisogno di un'attività così strutturata", perchè tante volte l'ho pensato anche io per me stessa... per poi ricredermi e scoprire che un piccolo impegno effettivamente progettato e ideato per ogni singolo giorno, vi dà modo di assaporare anche meglio il vostro "vivere selvatico". Un po' come è successo a me per l'estivo "30 days wild", di cui vi parlai anni fa... per cui amici, se l'idea vi piace e come me siete davvero già nauseati dal Natale commerciale, vi aspetto per questa piccola avventura natalizia controcorrente!
Buon inizio dicembre a tutti... e buona autentica attesa del Natale!