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lunedì 23 settembre 2019

Il vivere, tra il distaccato e il "promiscuo", con i gatti

Oggi un post forse un po' "scomodo", che sicuramente non mancherà di accendere in voi una ben precisa opinione. Recentemente, per varie ragioni, mi è capitato di riflettere sulle abitudini di vita e di condivisione della casa che si instaurano con il proprio gatto (o i propri animali, più in generale). C'è chi il micio lo fa dormire accanto a sè sotto le lenzuola tutte le notti, chi non fa una piega nel vederlo saltare sul top della cucina, sul tavolo o sui vari pensili, chi invece addirittura gli sbarra stanze della casa "vietate" e gli riserva eventualmente solo le zone "di servizio" (ingressi, magazzini, sgomberi) della propria abitazione. Ora, dove sta la giusta condotta? A mio parere prima di tutto si tratta di capire se il gatto è davvero considerato parte integrante della famiglia, oppure se è un "membro minore" che non può accedere alla sfera (ambientale e affettiva) più intima del nucleo famigliare, ma oltre a questo non basta: servirebbe sempre quella certa dose di buon senso che aiuti a mediare tra necessità igieniche e necessità sentimentali.


Il gatto da cortile "cattura topi"
Questa situazione è oggi sempre meno diffusa, ancora esistente soprattutto nelle campagne e nelle famiglie "di una certa età" con una mentalità antiquata: il felino domestico, adottato con l'intenzione primaria di avere un "cattura topi", viene tenuto solo all'esterno dell'abitazione, nel cortile. Qui gli si può organizzare un giaciglio e un riparo più o meno solido: eventualmente lo si fa entrare in un capanno per gli attrezzi o in un magazzino, oppure gli si prepara una cuccia sotto un portico o una tettoia. Non si tratta necessariamente di una relazione anaffettiva nei confronti del gatto, che pure viene coccolato (in cortile) e nutrito, eppure è la situazione in cui l'animale non fa davvero parte della famiglia - non più di quanto lo farebbero le galline del pollaio, che altrettanto vengono nutrite e messe al riparo durante la notte. 
Si tratta ancora di una visione estremamente "strumentale" dell'animale, al pari di un cane da caccia addestrato unicamente per questo, che spesso trascorre la sua settimana in un box e trova la libertà e la condivisione del tempo con il proprio "padrone" solo nelle infauste battute di caccia del weekend. Che si può dire di questo tipo di rapporto con i propri animali? A mio avviso ci troviamo al limite estremo inferiore per disponibilità affettiva e vero interesse a sviluppare una relazione nei loro confronti. Per fortuna, sono casi sempre meno diffusi, ormai reperti di una mentalità di cent'anni fa.




Il gatto si ferma qui, perchè "sporca"
Siamo ad una piccola evoluzione della situazione precedente: il micio viene adottato con le migliori intenzioni, con l'idea di fornirgli cure, nutrimento e coccole, eppure non viene ammesso a pieno titolo nella vita della famiglia. La questione parte essenzialmente come un problema di "igiene ambientale": si crede - ancora un pregiudizio vecchio di cent'anni - che il gatto sia "sporco" e quindi che non gli si debba concedere pieno accesso a tutta la casa. Gli vengono riservate alcune stanze "di servizio", come ad esempio un ingresso secondario o uno sgombero, il magazzino, una lavanderia... anche in questo caso spesso si tratta di famiglie "vecchio stampo", che risiedono in case di campagna dotate di tante stanze e di tanti ambienti "di lavoro" nella propria abitazione. 
Ma in questo modo la zona più "viva" dell'abitazione, come la cucina e il soggiorno, dove si consumano e avvengono normalmente tutti i momenti più importanti della routine pratica e affettiva famigliare, non viene mai aperta al gatto, che ne resta escluso. L'esilio ambientale comporta di conseguenza anche un esilio sentimentale e relazionale, per cui il micio non può partecipare a quei momenti nella giornata in cui potrebbe dare un proprio apporto fondamentale, andando a costruire con gli umani della famiglia una relazione ben approfondita e sfaccettata. Ad esempio è un gatto che non si accoccolerà mai sul divano per guardare la tv o leggere un libro in compagnia della sua famiglia, nè salirà mai sulla sedia della cucina durante la cena o il pranzo, per seguire - a suo modo - le chiacchiere degli umani. 
La tristezza più grande è data dal fatto che in realtà questa situazione è frutto di un pregiudizio totalmente campato in aria: come se tenere il gatto fuori casa garantisse un'igiene e una salute migliori per i famigliari. Non sono nuovi gli studi che, invece, hanno dimostrato come la presenza di animali nella propria abitazione riesca a stimolare positivamente il sistema immunitario (soprattutto dei bambini), rafforzandolo. Certo, serve buon senso.




Il gatto uno di noi, ma diverso da noi
Questa linea di condotta è quella che fondamentalmente mi appartiene, quella che metto in pratica e, lungi dal dichiarare di avere la verità in tasca, credo sia piuttosto equilibrata tra le necessità igienico-sanitarie e la volontà di instaurare con il proprio animale un rapporto profondo e il più possibile completo, ben integrato nella vita famigliare.
In questo caso, al gatto viene concessa piena libertà di circolare nell'abitazione, nessuna porta gli viene sbarrata nè alcuna stanza vietata, eppure fin dai primi giorni dell'adozione vengono fissati alcuni limiti fondamentali per una convivenza "igienica". Ad esempio, anche se le porte delle camere da letto sono aperte e l'ambiente è sempre accessibile al micio, il letto è off-limits: il gatto non dorme sotto le lenzuola, nè sulle coperte. Allo stesso modo, in cucina il micio può comodamente sedersi e appallottolarsi sulle sedie, ma il tavolo, il top della cucina (peraltro pericolosissimo a causa del piano cottura) e i pensili non devono essere "territorio accessibile" al gatto. 
In questo caso il micio è parte integrante della famiglia, ha l'occasione di partecipare ad ogni momento "conviviale" o meno dei componenti del gruppo e ha la possibilità di accedere interamente a tutta la casa che diventa pienamente anche sua, sapendo però di avere alcuni precisi limiti.
Qual è il trucco? I trucchi sono due:
- Avere l'occasione di adottare un gattino di pochi mesi, per potergli insegnare fin da piccolo queste abitudini di vita (con un gatto adulto, già abituato diversamente, è un'impresa molto più difficile e non sempre producente... e non si può neppure biasimare troppo il micio, qualora continuasse a ripetere atteggiamenti non graditi che però aveva già interiorizzato nella sua "vita precedente");
- MA SOPRATTUTTO: fornirgli sempre le alternative più che adeguate. Non volete che il vostro micio salga sul letto? La soluzione non è sbarrargli la porta della camera da letto (questo equivale per lui ad una sfida ancora più stuzzicante), bensì fornirgli nella stessa stanza un giaciglio altrettanto appetibile (no, di solito non basta un tappeto per terra...), come ad esempio un cesto imbottito, una poltrona "sacrificabile", una nicchia con un pile tutto per lui. Questo vale un po' per tutte le zone della casa: la libertà di andare ovunque, il limite di avere spazi per noi e spazi per lui, condivisi nella stessa stanza. Questo di solito funziona sempre. 

Paciocca sul divano di casa mia
I gatti sono animali estremamente intelligenti e sensibili, in grado di cogliere sottigliezze sorprendenti. Per cui anche i limiti che per me sono fondamentali per una corretta igiene in cucina, su cui non sono disposta a transigere in nome di nessun buon rapporto con il mio gatto, vanno insegnati con buon senso. La mia gatta è abituata al divieto assoluto di salire sui ripiani dei mobili e delle librerie, ma soprattutto sul tavolo e sul top della cucina. Eppure, nel tempo, le è stato invece concesso di salire sulle due scrivanie di mio padre, accovacciandosi volentieri su pile di quotidiani da leggere o documenti vari. Altrettanto le viene sporadicamente concesso di salire sul tavolo del soggiorno (dove talvolta mangiamo) quando c'è forte temporale: è estremamente spavantata e si sente al sicuro solo lì. Lei sa bene che in altre condizioni non le sarebbe concesso, noi sappiamo altrettanto bene che è un'eccezione derivante dalla sua paura. Per cui noi tolleriamo e passato il temporale puliamo il tavolo, e con il bel tempo la nostro micia non si è mai sognata di salirci per capriccio. Come dicevo: buon senso... da parte di uomini e gatti. 
Spendo ancora una parola su questo "regime" vigente in casa mia: mi rendo conto che probabilmente l'equilibrio che siamo riusciti a trovare con la nostra gatta Paciocca deriva anche dalla sua possibilità di uscire in giardino e di sfogare tutta la sua voglia di esplorare, arrampicarsi, farsi le unghie e cacciare nell'ambiente esterno. Un'altra cosa su cui, ad esempio, non sono mai dovuta intervenire, è stato il farsi le unghie sui divani o sui mobili di casa: mai successo, forse perchè è la mia gatta per prima che trova più confortevole grattare la corteccia degli alberi che ha a disposizione. Allo stesso modo, dal momento che Paciocca può arrampicarsi su querce enormi, pioppi e ginkgo biloba, non credo che possa mai trovare una libreria particolarmente accattivante, una volta rientrata in casa. 
Capisco che la cosa possa cambiare nel caso di gatti "unicamente di appartamento", per cui anche in questo caso dovrebbero raddoppiare gli sforzi per fornirgli un arredamento "a sua misura", in modo da rendere ragionevole un eventuale divieto nei confronti di uno specifico tavolo, un tale complemento d'arredo, ecc...

Paciocca si stira soddisfatta sulla scrivania di mio padre

Il vivere "promiscuo" con il proprio gatto
Arriviamo a quello che identifico con l'altro limite estremo: il gatto ha pieno accesso a tutta la casa, condivide con noi tutti i momenti importanti della nostra routine famigliare, ma non incontra neppure un divieto. Per cui il micio dorme sotto le coperte con i propri famigliari, può tranquillamente saltare e accedere ad ogni piano e arredo disponibile, compresa la cucina. Ho assistito di persona a gatti che stavano tranquillamente appollaiati sul top della cucina o sul tavolo da pranzo, mentre il resto della famiglia preparava da mangiare a poche spanne di distanza o apparecchiava senza troppi problemi, oppure persone che prendevano the e biscotti con il micio adagiato sulla tovaglia vicino alla zuccheriera. Generalmente questo atteggiamento si riscontra soprattutto nelle famiglie che adottano un gatto e lo possono tenere solamente in appartamento. In parte diventa una necessità concedergli la totale libertà, soprattutto nel caso di famiglie lavoratrici (come ormai quasi tutte) che trascorrono buona parte della giornata fuori casa e quindi non possono davvero "controllare" le azioni del gatto, che con buona pace diventa il padrone solitario e incontrastato dell'abitazione per tante ore... in parte, secondo me, ci si "nasconde" dietro alla scusa che "tanto il gatto non esce, è pulito". Da "è sporco" a "è pulito": da un estremo all'altro. 
Un gatto non è nè sporco, nè pulito: è un gatto.
Ora, comunque voi la pensiate, anche se è certo che un animale che può cacciare topi, lucertole e uccellini verrà a contatto con tanti più batteri, parassiti e microrganismi, è altrettanto certo che anche i gatti di appartamento defechino e - dato che non hanno altro modo - si puliscano con la stessa lingua con cui si puliscono il resto del mantello e delle zampe. Per cui quando io vedo un gatto d'appartamento traquillamente seduto sul tavolo dove poco dopo si mangerà, o un micio che cammina placidamente sul top della cucina e si "snuma" sul rotolo di carta assorbente, sapendo che prima ha camminato per terra dove io stessa ho camminato con le mie scarpe fatte di mondo, mi dispiace ma non riesco ad approvarlo. 
Per carità: sono convinta che non sia mai morto nessuno, nè probabilmente nessuno morirà mai, facendo dormire il gatto sotto le proprie lenzuola (e credo anche che sia una sensazione molto bella!) o facendo camminare il micio sulla propria cucina... però trovo anche che sia un eccesso di "promiscuità" che non va assolutamente ad aggiungere niente all'intimità e alla solidità relazionale con il proprio gatto.  



E voi come vi comportate? Siete riusciti a instaurare con il vostro gatto una serena convivenza, oppure ancora dovete battagliare per insegnargli determinate abitudini? E ancora: rinuncereste mai a dormire con il vostro micio in nome dell'igiene, oppure credete che non debba esserci limite alla condivisione fisica e affettiva con il vostro animale? Spero che questo post, nel quale mi sono apertamente schierata a favore di una specifica posizione, possa essere occasione di confronto e riflessione. Raccontatemi tutto!

lunedì 7 gennaio 2019

Pensieri alla rinfusa su topi e animalismo

Nelle scorse settimane, complice un novembre molto mite e il freddo arrivato tutto in una volta poco prima di Natale, si è verificata una questione problematica da risolvere: sia nel mio magazzino, che in quello dei miei genitori (soprattutto), abbiamo avuto una sorta di invasione/infestazione di topi. E con "topi" intendo non solo i topolini di campagna, per i quali in realtà nutro un'aperta simpatia, ma anche i meno gradevoli ratti. Intendiamoci: viviamo in campagna, abbiamo campi coltivati dietro, davanti e a lato delle nostre case, in tanti anni è capitato più di una volta che un piccolo topolino potesse fare incursione in magazzino, perfino in casa. Quando possibile l'abbiamo scacciato, quando invece non c'era altra soluzione, abbiamo dovuto ricorrere ai tipici rimedi di lotta ai topi: trappolini e veleno. Ma mai in dosi troppo massicce, mai avviando una "disinfestazione" in piena regola. E una volta risolto "il problema", la questione finiva lì. 
Quest'anno no: nelle scorse settimane i topi hanno fatto letteralmente il disastro. Escrementi ovunque e in quantità avvilenti, rosicchiature di carta, cartone, sacchetti e tessuti, barattoli rovesciati, perfino l'allarme si è messo a suonare nel pieno della notte, per la baraonda provocata da un grosso ratto. Insomma, una situazione completamente fuori controllo e purtroppo non tollerabile in nessun modo. Non è solo una questione igienica, ma anche pratica ed economica: i danni agli ambienti e agli oggetti (per non parlare del cibo in dispensa, per fortuna salvato in extremis non appena abbiamo avuto il sospetto che ci fossero "ospiti" lì vicini) non sono da sottovalutare.

Topo comune, foto da Wikipedia di 3268zauber

E quindi ci siamo rassegnati ad avviare una "campagna anti-topo": prima con un dissuasore ad ultrasuoni (che mi auguro funzioni d'ora in poi almeno a livello preventivo, scoraggiando i topi ad entrare...) che però non è riuscito a scacciare gli sgraditi ospiti già installati nei magazzini, quindi siamo poi passati a trappole per ratti, trappole per topi e veleno. Per giorni. Finchè il veleno, nottetempo divorato, non ha iniziato a restare intatto. Nel mio magazzino abbiamo preso un ratto gigantesco, con la trappola apposita. Oltrepassando l'impressione di vedere un animale di quella taglia, mi sono anche chiesta quali siano stati i suoi ultimi pensieri, le sue ultime emozioni, prima di morire. Ho trovato un topolino morto, nascosto in uno stivale incoscientemente lasciato incustodito. Ho provato un moto di pietà inevitabile, nel vedere quella piccola palla di pelo senza vita ma ancora apparentemente perfetta, sentendomi in colpa per la sofferenza che avrà passato a causa nostra. Insomma, pur capendo che era inevitabile risolvere il problema dei topi in magazzino, ogni giorno mi domandavo: "Come si concilia tutto questo con il mio sentirmi tendenzialmente animalista?".
Non è certo l'unica incoerenza che vivo, da viscerale amante degli animali: come già scrivevo lo scorso mese, non sono vegetariana (anche se di carne ne mangio poca)... e mi rendo conto che, qualora anche lo diventassi, non ci sarebbe modo di sfuggire a tante altre azioni che vanno a danno degli animali. 

Ratto, foto da Wikipedia di Reg Mckenna

Mi sono poi documentata su topi e ratti, per cercare di capirli meglio, e la cosa non ha fatto altro che mettermi ulteriori pensieri. Il ratto infatti è il secondo mammifero di maggior successo sul pianeta (il primo, ovviamente, è l'uomo) e può contare su una spiccata intelligenza e ottima memoria. Studi di psicologia animale hanno dimostrato che i ratti possiedono coscienza di sè stessi... significa quindi che riescono a percepire loro stessi come soggetti agenti nel mondo, che può sembrare una stupidaggine (noi la diamo per scontata), mentre invece è una caratteristica che possiedono solo pochi altri animali particolarmente evoluti. Non per niente, dal ratto selvatico sono state selezionate alcune varietà domestiche, che vengono considerate "da compagnia" alla stregua dei criceti: con la differenza che manifestano intelletto ed empatia verso l'uomo di molto superiori rispetto ad altri roditori. Non bastasse questo, le tane che costruiscono possiedono diverse camere, ciascuna con una funzione diversa: c'è la camera per immagazzinare cibo, quella per gli escrementi e quella per il riposo. Vi ricorda qualcosa?
Insomma, ammetto di essermi sentita sollevata non appena ho visto che la trappola nel mio magazzino era scattata, mettendo fine al problema "più grosso" in circolazione. Ma il secondo pensiero è stato di dispiacere per quell'essere vivente che ha avuto la malaugurata idea di venire ad installarsi proprio lì.  Razionalmente, so di non aver avuto scelta. Umanamente, mi dispiace tanto.
E mi domando: un animalista "duro e puro", magari un vegano che segue rigidamente in ogni campo della sua vita pratiche cruelty-free, come avrebbe affrontato quella questione? C'è un limite al cercare di non nuocere ad alcuna forma vivente? Il fatto stesso che la vita e le azioni di un'altra creatura vadano a mio danno, mi giustifica nell'ucciderla? 
Domande a cui credo che ognuno possa trovare una sua propria e personale risposta, ma a maggior ragione mi piacerebbe proprio sapere la vostra opinione ed eventualmente le vostre esperienze in merito.

lunedì 10 settembre 2018

Anche ai gatti può spezzarsi il cuore

Oggi voglio raccontarvi due episodi della mia vita, due momenti completamente differenti che però, nel tempo, mi hanno sempre dato da pensare all'abisso profondo di sentimenti, consapevolezza, intelligenza e sensibilità che si cela dietro allo sguardo spesso imperscrutabile di un animale. Siamo portati a considerare i nostri gatti come allegri birbanti, simpatici giocherelloni, curiosi esploratori, pigri dormiglioni, quasi avessero un animo eternamente bambino. Siamo abituati a vederli esprimere, al massimo, disappunto per le nostre stranezze, oppure irritazione per i divieti che imponiamo loro nella nostra convivenza. Se li portiamo dal veterinario potremo vedere la loro paura e difficoltà nel gestire situazioni impreviste, se hanno modo di incontrare un loro simile "invasore" del loro territorio, potremo vedere la loro aggressività. I gatti di un gattile spesso esprimono tristezza e avvilimento, come ho già avuto modo di raccontarvi.
Difficilmente però assistiamo da parte di un gatto all'espressione di uno stato d'animo più complesso, come può essere ad esempio la speranza. E non parlo della normale, quotidiana aspettativa fiduciosa di ricevere la propria porzione di croccantini o le coccole, parlo di quella speranza esistenziale, intima e radicata che noi esseri umani riserviamo alle cose di cui più ci importa, quella speranza che, se delusa, fa davvero male, spezza il cuore. 
Avete mai visto ad un gatto spezzarsi il cuore? Perchè succede, anche a loro.

Orlando, uno dei gatti adottati al Gattile di Ferrara

La speranza è l'ultima a morire.
Nell'agosto del 2009 in famiglia dovemmo affrontare le perdite dei nostri amati gatti Trilli e Nico. Erano rispettivamente la mamma e il fratello di Paciocca, e se ne sono andati entrambi a causa di incidenti stradali. Morì prima Trilli e, dopo cinque giorni, Nico, probabilmente andato alla ricerca disperata della madre.
Anche Paciocca si era certamente accorta dell'assenza della mamma - per quanto fossero già tutti adulti e Trilli avesse smesso da almeno 6 mesi di trattare i suoi figli amorevolmente... anzi, era una gatta piuttosto stizzosa - ma, meno intraprendente di Nico, non si era azzardata ad allontanarsi da casa. Nico invece, animo esploratore e indomito come la madre, era partito irrimediabilmente, per non tornare più. Il pomeriggio che non lo vidi più in giardino, cinque giorni dopo la morte di Trilli, sentii una morsa di gelo nel cuore. Servì a poco chiamarlo per ore, dal primo pomeriggio fino a notte fonda. Nico non tornò mai più e quando, il giorno successivo, ne trovai il corpo esanime, fu solo l'ultima, tremenda conferma di qualcosa che avevo già intuito. Io ero francamente distrutta, non ci sono molte altre parole. Non occorre stare a spiegare che "era solo un gatto" è una frase completamente priva di significato, quando dobbiamo affrontare la perdita di qualcuno che amiamo, umano o non umano che sia.
Per Paciocca fu diverso, non potevo spiegarle a parole quello che era successo e non le avevo certo mostrato il corpo del fratello senza vita. La mia gatta - con cui allora, se paragonato al rapporto intenso che avevo con Trilli e Nico, non c'era ancora un feeling approfondito - apparentemente non tradiva alcuna particolare emozione: sempre discreta e riservata, Paciocca sembrava tranquilla come se non fosse cambiato niente. Ma era ovvio che anche lei dovesse provare qualcosa, fosse anche solo inquietudine: nel giro di cinque giorni erano spariti due componenti fondamentali (forse all'epoca, i più importanti) della sua famiglia.
Ebbene, arrivo al dunque, per raccontarvi l'episodio che mi spezzò il cuore, e probabilmente anche a Paciocca. Non credo di aver mai assistito prima alla palese manifestazione di una chiara speranza e felicità esistenziale da parte di un gatto, per aver ritrovato qualcuno di amato che si era perduto. E al successivo smarrimento nel comprendere che in realtà non è così.
Nico mancava ormai da 48 ore e, se io stavo già volente o nolente affrontando il lutto, per Paciocca non c'era ragione di pensare che i suoi compagni felini non potessero tornare da un momento all'altro. Distrattamente, spostai in cucina (il posto preferito di Paciocca) un cesto che negli ultimi tempi usava solo Nico, senza cambiare la coperta di pile che vi era dentro. 
Paciocca si avvicinò al cesto e, non appena vi fu entrata, annusando la coperta iniziò a fare profondissime fusa, mentre con le zampe scavava nel panno con convinzione, rovistando tra le pieghe alla ricerca del fratello, convintissima che fosse finalmente lì, tornato a casa. Mentre la osservavo ripresi a piangere silenziosamente, perchè non potevo spiegarle niente, non avevo modo di comunicarle che Nico non sarebbe più tornato, e che per quanto lei potesse cercarlo in quella coperta ancora impregnata del suo odore, non l'avremmo visto più. Man mano che i secondi passavano e Paciocca, pur avendo praticamente rivoltato in tutto e per tutto la coperta con le zampe, si rendeva conto che lì il fratello non c'era, smise di fare le fusa. Mi guardò, dal cesto, interdetta. L'olfatto le aveva giocato un brutto scherzo, Nico non era ritornato. Il mio cuore, già in lutto, quel giorno si spezzò di nuovo, nel capire che Paciocca, nella sua apparentemente composta tranquillità, stava invece sperando tanto quanto avevo sperato io di rivedere suo fratello... e quando avrebbe capito, in un modo o nell'altro, che Trilli e Nico non sarebbero tornati mai più da lei, sarebbe stata male esattamente come me.

Paciocca!

Un tradimento è un tradimento.
Il secondo episodio è ben più recente, e risale a quando dovetti portare a malincuore Silver in gattile. Dopo un paio di giorni che avevo lasciato il micio là, visibilmente confuso e disorientato, tornai a trovarlo. Per me il giorno peggiore era stato esattamente quello della decisione di affidarlo al gattile, unitamente al momento concreto in cui lo avevo chiuso nel trasportino - lui sempre fiducioso - e portato nella struttura. Per lui quel giorno deve essere stato senz'altro traumatico, ma è stato due giorni dopo credo di averlo davvero "ferito a morte", almeno a livello sentimentale. Fino a quel momento c'era, per lui, ancora la possibilità che il trasferimento in gattile fosse una specie di lunga permanenza da un veterinario, un viaggio inspiegabile ma temporaneo, certamente un errore. Perchè mai avrei voluto portarlo via da casa e lasciarlo nella gabbia di un gattile? Non c'era ragione, ci volevamo bene. E mi dimostrò con i fatti questo logico ragionamento, dal momento che non appena mi vide sulla soglia della stanza dove stava la sua gabbia, si drizzò subito in piedi, con la coda alta e vibrante, facendo un sacco di miagolii felicissimi. Anche io ero ero felice di vederlo, avevo voglia di coccolarlo di nuovo, anche per capire come effettivamente avesse preso l'entrata in gattile. E quello che accadde poco dopo spezzò il cuore a entrambi. 
Mi avvicinai alla gabbia (in gattile i primi giorni i gatti vengono tenuti lì, perchè si "abituino" in sicurezza agli altri felini della stanza) e la aprii: subito Silver si sporse per farmi un mare di fusa e darmi le sue usuali testatine, mi mise anche le zampe sulle spalle come era solito fare, per poi "appollaiarsi" tra collo e schiena. Io non lesinai coccole e grattini, e le frasi tipicamente "dolci" che si riservano ai gatti di famiglia. Ma quando lo ricollocai nella gabbia, sempre aperta, restando ferma lì davanti e continuando a fargli le coccole, senza però accennare a rimetterlo in un trasportino, o a portarlo fuori dalla stanza... qualcosa si ruppe. 
Le fusa diminuirono, l'entusiamo calò all'improvviso e Silver, dopo avermi dato un'ultima occhiata, si appallottolò nella gabbia, voltandomi le spalle, come se all'improvviso non avesse più importanza che ero venuta a trovarlo. La gabbia era ancora aperta, io ero ancora lì davanti a lui che gli accarezzavo la testa, il collo, le orecchie... ma lui aveva capito, dopo averci creduto davvero, che quel giorno non ero venuta per riportarlo a casa e che lui sarebbe rimasto lì. E questo era tutto, non c'era più speranza, non c'era più dubbio: non mi ero sbagliata, il gattile non era temporaneo, non era uno brutto scherzo, il mio era stato un abbandono, un tradimento in piena regola. 
Mi viene ancora la pelle d'oca a pensare a quel momento, quando si girò di spalle e si appallottolò di fronte a me... non tanto per il rifiuto che mi propose, che capisco e che era inevitabile, quanto per aver assistito esattamente all'attimo in cui ho deluso, tradito la speranza viva e fiduciosa di un gatto che mi ha voluto bene, che chiaramente aveva creduto che io fossi tornata per riportarlo a casa, mentre invece gli ho dato l'orribile conferma di averlo - nella pratica - abbandonato definitivamente.
Le volte seguenti in cui tornai al gattile, quando Silver era già libero e inserito nella comunità felina della struttura, con me non fu mai scostante o indifferente, anzi era sempre ben disposto alle coccole, ma non vidi mai più quell'entusiasmo, quella felicità, quella confidenza speciale che si riserva a una persona amata. Beneficiava delle mie coccole più o meno come di quelle di chiunque altro. L'avevo abbandonato, non ero più la sua famiglia. Nei confronti di un gatto non conta meno, un tradimento è un tradimento.

Silver: se vi siete persi la sua storia e volete sapere come è andata a finire, potete leggere qui e anche qui.

Ora, non so cosa ne pensiate di questi due episodi che vi ho raccontato. Chi non ha esperienza di gatti potrebbe perfino commentare che ho esagerato nell'interpretarli, caricando di troppo significato gli atteggiamenti di Paciocca e Silver... eppure ogni volta che ci ripenso, le mie conclusioni sono sempre queste. Perfino chi conosce e già ama moltissimo i gatti, potrebbe comunque stupirsi della profondità e sfaccettatura dei loro sentimenti, che si avvicinano molto ai nostri... Io stessa, nel rendermi conto di quanto a fondo arrivasse la consapevolezza felina, mi sono sentita estremamente toccata. Per quanto mi sforzi, resta anche in me quella tendenza antropocentrica a considerare l'essere umano "su un altro piano", rispetto alle altre creature viventi. Come se i nostri sentimenti fossero di serie A, rispetto ad altri. E capire che invece non c'è poi tanta differenza tra le speranze, le delusioni, il senso di abbandono che possono abitare nel profondo dell'animo umano e di quello non umano, mi ha dato parecchio da pensare. Immagino che il mio discorso valga per qualsiasi altro animale dotato di un certo livello di intelligenza e sensibilità, ma non ho modo di dimostrarlo con altre testimonianze... ben volentieri ascolterò le vostre, anche riguardanti altri animali.

domenica 24 aprile 2016

L'affetto di un'anatra, oltre il nostro antropocentrismo

Buona domenica a tutti! Oggi un video di pochi secondi, che potrà stupirvi, commuovervi o darvi la più semplice conferma che ogni animale è una creatura sensibile, intelligente e capace di esprimere sentimenti molto, molto specifici: un germano reale, in trepida attesa, saluta festoso il suo amico umano che torna da scuola! Una visione simpatica, capace anche di far riflettere sulle nostre convinzioni più radicate: troppo spesso pensiamo di essere gli unici esseri viventi in grado di stringere relazioni emotivamente significative (e solo con i nostri simili). 
Del resto già Konrad Lorenz, nel corso delle sue ricerche etologiche che gli valsero il Nobel, ebbe modo di relazionarsi con oche selvatiche, germani reali ed altri uccelli: soprattutto alcune specie, se allevate in un contesto umano, riconoscono come propri "famigliari" gli uomini, nonostante le differenze evidenti. In quest'interessante articolo dedicato a Lorenz, si legge peraltro che i germani reali sono tra le specie più attente ed "esigenti" per quanto riguarda il riconoscimento della propria madre e non si legano agli esseri umani per semplice "imprinting"... ancora meglio allora: questo video è quindi la più genuina manifestazione di affetto tra un'anatra e un bambino.


Un vero peccato pensare che siamo proprio noi uomini a svalutare, con gretta indifferenza, l'intelligenza, la personalità e l'affettività degli animali non umani. Così facendo, non solo perdiamo la preziosa occasione di stringere legami arricchenti con le altre specie, ma al contempo perpetriamo su di esse ingiustizie, supplizi e crudeltà. Forse, se tutti ci rendessimo conto che un'anatra è capace di una tale manifestazione di affetto, non saremmo più capaci di considerarla "solo un'anatra" (minimizzando il significato della sua esistenza): dovremmo invece arrenderci all'evidenza che è un soggetto pensante, che ama e agisce sulla base di sentimenti. Ma in questo modo si affievolisce il sicuro confine che, nelle nostre menti, tiene ben separato l'importante essere umano dal resto del mondo vivente. Un confine che, purtroppo, come umanità non siamo ancora in grado di mettere sufficientemente in discussione.

mercoledì 29 ottobre 2014

I gatti e la musica: amore, indifferenza e straordinarie esperienze

Come reagiscono i nostri felini domestici alla nostra canzone preferita in onda alla radio, al suono di un pianoforte, al concerto di Capodanno in tv o al nostro canto sotto la doccia? Riescono ad apprezzare un brano di musica classica e si inquietano ascoltando un pezzo heavy metal, oppure non colgono alcuna differenza tra i due? E' difficile dare una risposta univoca e soprattutto "scientifica", perchè molto dipende da ciascun gatto e dai motivi per cui reagisce in quel certo modo, di fronte agli stimoli musicali. Esistono gatti che mostrano uno spiccato interesse per la musica, così come si può osservare in altri mici una completa indifferenza verso ogni stimolo sonoro, o ancora ci sono gatti che dimostrano un aperto fastidio per i suoni, anche quelli che noi umani giudichiamo piacevoli. Sarebbe bello e simpatico affermare che i gatti siano animali musicali e amanti della musica a tutto tondo, in realtà dobbiamo fare attenzione a non "antropomorfizzare" troppo i nostri amici a quattro zampe: ci sono mici che apprezzano la musica, altri che ne sono infastiditi, ma più spesso la maggior parte di loro si dimostra indifferente.

Ecco Paciocca in uno dei suoi posti preferiti
Perchè il gatto dovrebbe reagire alla musica, una delle arti più complesse che l'uomo sia mai riuscito a creare? Anzitutto, perchè i gatti hanno un udito finissimo (in particolare per quanto riguarda i suoni acuti): quindi ogni stimolo sonoro viene da loro colto e, di volta in volta, valutato come degno di interesse o di disinteresse. E dobbiamo farcene una ragione: per natura, il gatto troverà sicuramente più interessante l'impercettibile squittìo del topo, rispetto ad un concerto per orchestra sinfonica. Inoltre il gatto, proprio perchè così sensibile ai suoni, non sempre reagisce positivamente alla musica poichè potrebbe essere colta come troppo "frastornante", se a volume troppo alto. Ci sono però una miriade di esperienze contrastanti: mici che iniziano a fare le fusa, rotolarsi sul pavimento e leccare le mani del pianista che esegua una musica di Debussy; gatti che al contrario cercano di tappare la bocca con la zampina al cantante che raggiunga un suono acuto; gatti palesemente eccitati dal punto di vista sessuale qualora sentano una specifica nota o addirittura felini che, udendo una sequenza di note, cadono vittime delle convulsioni.

Fonte immagine: QUI
Per quanto mi riguarda posso raccontarvi che Paciocca, tra tutti i gatti che ho avuto, è l'unica che ha dimostrato la più spiccata predisposizione per la musica: ha sempre amato sentirmi suonare il piano (tant'è che per lunghe ore non si muoveva dalle mie vicinanze, anche quando suonavo brani particolarmente aspri e dissonanti) ma, non appena accenno a mettermi a cantare, inizia a fare le fusa, mi salta in braccio e miagola in modo agitato, annusandomi la bocca. Ho il sospetto - per nulla gratificante, a dire il vero - che colga il mio canto come una specie di lamento sofferente e che quindi accorra per consolarmi. Diversamente da Paciocca però, la maggior parte dei gatti che ho avuto era assolutamente indifferente alla musica. Eventualmente, se iniziavo a suonare il piano (anche brani piacevoli e rilassanti di Mozart o Bach) e nella stessa stanza c'era un gatto addormentato, questo si svegliava infastidito dall'improvviso "frastuono" musicale e se ne andava a proseguire il pisolino in un'altra stanza, indignato per la brusca interruzione della sua tranquillità.

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La spiegazione più scientificamente credibile delle più sorprendenti reazioni dei mici di fronte a note, musiche e fischiettii, è che i nostri animali reagiscano non alla musica in quanto tale, bensì solo a particolari note che ricordano loro "messaggi" specifici nel loro linguaggio felino. I gattini di poche settimane, ad esempio, emettono miagolii molto acuti, specie quando si trovano in difficoltà o sono spaventati: ecco perchè le gatte, di fronte alle note acute, spesso si agitano e cercano di "consolare" chi sta emettendo quei suoni. Ugualmente anche l'eccitazione sessuale, lo spavento o il fastidio, possono essere spiegati allo stesso modo: una determinata altezza di suono viene interpretata dal gatto come un segnale caratteristico di precise situazioni sociali feline (riproduzione, lotte, segnali di pericolo), che richiedono una risposta adeguata. E questa spiegazione può valere in linea generale per tutti i gatti.

Nora, the piano cat! Fonte immagine: QUI
Esistono poi casi particolari e sorprendenti, che mettono in discussione quanto detto finora: gatti che, al di là di ogni spiegazione scientifica, sono apertamente interessati alla musica, alla sua produzione e alla sua esecuzione. Un esempio per tutti è la celeberrima gattina Nora, diventata diversi anni fa una star su youtube, per la sua passione per il pianoforte. E non intendo - come per Paciocca - predilezione per l'ascolto di brani pianistici... intendo proprio passione per il suonarlo! Se risulta ancora abbastanza ovvio che un gatto più di un altro possa apprezzare l'ascolto di musica classica (emotivamente rilassante, non solo per noi umani), vedere Nora che sembra davvero trarre piacere dal produrre note sul pianoforte, è qualcosa di quasi surreale! 


Come potremmo chiamare questo tipo di esperienza? Il comportamento di questa gattina quanto è vicino a quello di un bambino di pochi anni, che strimpelli sulla tastiera le prime note solo per il piacere sensoriale di produrre suoni? E' qualcosa di davvero straordinario, che apre orizzonti nuovi sulle inclinazioni musicali dei gatti... o almeno su quelle di alcuni in particolare. E i vostri mici come reagiscono alla musica? Ne sono interessati, oppure si dimostrano infastiditi o indifferenti?

martedì 10 giugno 2014

Prendere in braccio il gatto: un gesto d'affetto su cui riflettere!

I gatti sono morbidi, pelosi, caldi e irresistibili:  non appena vediamo il nostro gatto, magari dopo una giornata trascorsa fuori casa, il nostro primo istinto è quello accarezzarlo e subito dopo di sollevarlo, per stringerlo a noi in un affettuoso abbraccio. Quanti di noi si ritrovano in questa abitudine? Certamente la maggior parte, io stessa amo moltissimo avere tra le braccia la mia soffice gatta! Ma avete mai pensato che questa dinamica - che per noi umani è un chiaro gesto per trasmettere il nostro affetto e la nostra contentezza di vederlo - possa avere un significato diverso per il nostro amato micio?


A illuminarmi a tal proposito è stata sempre la dott.ssa Sonia Campa, esperta consulente comportamentale specializzata in etologia felina. Abbracciare il gatto è un gesto spontaneo e molto comune per noi uomini, che naturalmente il nostro micio ha imparato a interpretare correttamente come un modo per manifestargli amicizia: non a caso, tanti gatti fanno fusa a volontà quando abbracciati dai propri umani. Tuttavia, se ben ci pensate, è molto comune che il vostro micio cambi reazione se provate ad abbracciarlo davanti ad estranei o in una situazione nella quale non si sente a suo agio: cercherà di divincolarsi il prima possibile e fuggirà lontano da voi. Questo perchè "l'abbraccio" è un nostro bisogno etologico per trasmettere affetto, mentre per il gatto è prima di ogni altra cosa una forma di "trattenimento" fisico! Ci avete mai pensato?

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I gatti - come la maggior parte dei quadrupedi - trovano la loro posizione ottimale quando hanno le quattro zampe ben piantate a terra: ogni situazione che li costringa ad avere meno equilibrio, li rende anche più vulnerabili. A maggior ragione figuriamoci quando si ritrovano a zampe all'aria, tra le braccia di un essere umano! Ecco perchè spesso i gatti più diffidenti, che hanno subìto maltrattamenti o hanno un passato particolarmente "selvatico", anche se potranno abituarsi alla vita casalinga, difficilmente riusciranno ad accettare l'abbraccio: continuerà sempre ad essere percepito come una situazione nella quale l'animale non ha più il controllo della situazione, cosa invece fondamentale per il suo bisogno di sentirsi al sicuro.

Lo scrittore Burroughs con il suo amato micio, fonte: QUI
Va detto che il gatto è un animale intelligente e dotato di una grande capacità di adattamento: i nostri mici di casa, soprattutto se non hanno mai avuto brutte esperienze a contatto con gli esseri umani, capiscono ben presto che il nostro abbracciarli non significa "trattenimento" nè minaccia, ma è semplicemente una bizzarra manifestazione di affetto da parte nostra! Il micio, dal canto suo, esprime il suo affetto in modo ben diverso dall'abbraccio: di solito il miglior modo per dichiararsi un "ti voglio bene" consiste nella reciproca pulizia corporea. Osservare due gatti che si leccano il pelo a vicenda equivale ad assistere alla miglior dichiarazione d'amicizia che potrebbero farsi! Vedere due gatti dormire abbracciati (come talvolta capita) è certo segno di reciproca fiducia, ma ha più a che fare con una comodità fisica temporanea che con una dimostrazione affetto... ad esempio, d'estate - con il caldo torrido - sarà molto difficile trovare due gatti abbracciati, mentre continueranno certamente a pulirsi a vicenda!

Fonte della foto: QUI
Infine, pensiamo ad una cosa affascinante che ci fa capire quanti comportamenti umani derivino soprattutto dalla nostra istintualità animale, prima ancora che dalle "buone maniere". Provate a pensare alla classica scena di una mamma che abbraccia il proprio bambino: in questo gesto si racchiude tutta la cura, l'affetto, la protezione, la necessità pratica di tenere il proprio piccolo vicino. Mamma gatta non abbraccia mai i suoi micini, li trasporta per la collottola, dà loro zampatine e li lecca: ecco il suo modo di curarli, proteggerli e manifestare loro il suo amore materno... ma invece, sapete chi altri si comporta esattamente come noi umani con la propria prole e i propri simili?

Fonti delle foto: Mamma e figlio; Scimpanzè
Questo ci fa capire che ogni specie esprime il proprio affetto in modo specie-specifico... e noi non siamo certo gli unici animali che impiegano l'abbraccio come gesto fondamentale per esprimere amore e attaccamento! E come disse Giorgio Celli: "Gli animali […] non solo ci riguardano e costituiscono i nostri compagni di strada sul pianeta, ma sono in noi e noi in loro".

venerdì 9 maggio 2014

Il peso di ogni vita (era "solo" un piccione)

Questa è una storia triste, di quelle di cui cerco di non parlarvi mai. Ma oggi è giusto, perché forse è l’unico modo per dare voce alle vite di quelle creature che, per noi uomini, non hanno peso. Oggi vi racconto qual è il peso di una piccola vita, una di quelle verso cui spesso ci sentiamo giustificati a provare la più assoluta indifferenza, se non addirittura disprezzo. E più della morte in sé, ecco il vero male del nostro mondo: l’indifferenza, quella bestia cieca e irresponsabile, che ci fa pensare che, in fondo, era solo un piccione.

***

Il pomeriggio era favoloso: il cielo terso, un sole splendente, il caldo stemperato da un vento continuo e vigoroso; le strade di campagna si aprivano varchi in mezzo ai campi verdeggianti e alle cascine, ed era un piacere percorrerle pedalando. Vincevo la resistenza del vento, mentre lo sforzo si trasformava in soddisfazione ad ogni metro, il sudore che si asciugava immediatamente nelle folate. Le rare macchine sfrecciavano veloci, fin troppo, ma se ne stavano a debita distanza su quelle strade pulite ed immerse nella campagna, dove vedere contemporaneamente più di tre automobili era molto raro. Nelle orecchie: il rumore del vento, dell’acqua del Volano che costeggia la strada, i cinguettii degli uccelli, passando accanto agli alberi e ai cespugli.
A un certo punto avevo notato qualcosa, in mezzo alla strada, alcuni metri davanti a me. Un ammasso di penne e piume grigie, già completamente appiattito: l’ennesima vittima della strada, di quelle macchine che sfrecciano nella solitudine di una strada sgombra e non si preoccupano minimamente di essere un pericolo per qualcuno, per qualcosa. Chi mai potrebbero uccidere?
Un gatto, un riccio, una nutria… un piccione? Beh, ma sì, ma poi tanto i piccioni volano, si sposteranno, non occorre neppure rallentare, non c’è motivo… tanto volano, adesso volerà, adesso si sposterà… e invece no, il piccione non aveva fatto in tempo, probabilmente incapace di valutare la velocità di un’automobile. E il conducente? Cosa avrà pensato? Forse che, in fondo, era solo un piccione. Che peso può avere la vita di un piccione?

Ora vi racconto il peso della vita di quel piccione, perché la storia non è finita.
Avvicinandomi in bici all’ammasso di penne in mezzo alla strada, già completamente schiacciato perché su di esso erano passate più e più auto, ho visto qualcosa che mi ha colpita profondamente, facendomi provare una compassione che a stento riesco ad esprimere a parole.
Giù di strada, al di là della linea della carreggiata, c’erano un altro piccione adulto e, accovacciato lì accanto, un piccolo pullo di piccione, che pigolava disperato. Il piccione adulto immobile, stava fissando l’ammasso di penne sulla strada: chissà da quanto tempo erano lì, chissà quando era successo l’incidente. Anche il piccolo pullo, con il becco già molto pronunciato, il corpo coperto di piumette grigie dalla sfumatura ancora gialla, fissava quello che era stato uno dei suoi genitori… e il suo pigolare, quel suo richiamo continuo, disperato e shockato, mi ha spezzato il cuore.
Quando mi sono avvicinata a piedi (sono arrivata a pochi passi da loro) il piccione adulto è rimasto fermo, con la precisa volontà di restare a vegliare il suo piccolo sopravvissuto e l’altra metà della sua vita, improvvisamente spazzata via. Lo sapevate che i piccioni sono monogami e che le coppie che formano durano per tutta la loro vita? E ora quel piccione era lì, a vegliare su un ammasso di penne: tutto ciò che era rimasto dell’altra metà della sua vita. E il piccolo pullo, senza uno dei suoi genitori, sarebbe sopravvissuto?
Sono rimasta lì alcuni minuti, senza capire cosa dovevo o potevo fare. Era chiara l’intenzione dei due uccelli nel voler restare lì, incapaci di spiegarsi cosa fosse successo all’altro membro della loro famiglia. O forse lo capivano fin troppo bene, e non riuscivano ancora ad andarsene. Intanto era già passata, sfrecciando come un ossesso, qualche altra macchina… che, vedendomi, aveva accuratamente evitato di passare troppo vicina ai due uccelli. Già, perché lì c’ero anche io, e la mia vita vale molto di più di quella di un piccione, non è vero?
Tutto quello che alla fine ho potuto fare, è stato spostare dal centro della strada quell’ammasso di penne, appoggiandolo tra l’erba, a qualche passo dall’adulto e dal piccolo, in modo che almeno non tentassero di raggiungerlo in mezzo alla carreggiata. Non so che ne sarà di quel pullo che pigolava, né so cosa ne sarà di quel piccione adulto che stava vegliando sul dramma che aveva colpito la sua famiglia.
Avrei dovuto raccoglierli, forse? Non lo so, quello che so e che ho capito bene, è che in quel momento erano sconvolti come lo saremmo noi di fronte alla perdita di un genitore, di un membro della nostra famiglia. Questo era quanto valeva la vita di quel piccione.

Mi dispiace tanto, non ho potuto fare altro per voi.
Non sono qui per sostenere la realizzazione di un’illusoria utopia dove ogni creatura al mondo possa vivere felice, morendo di vecchiaia: so bene che l’equilibrio naturale si basa su ben altri meccanismi, ai quali è difficile, forse impossibile, sottrarsi. Ma non possiamo più permetterci di pensare che esistano vite senza peso, senza valore. Perché ciò a cui ho assistito, nella sua drammatica tristezza, è stata la più viva testimonianza che ogni vita ha un peso, un valore, un’importanza fondamentale per qualcun altro. Fosse anche quella di un solo piccione.

lunedì 14 aprile 2014

"Nel regno dell'armonia" di Jeffrey Moussaieff Masson

Ovvero "quello che gli animali possono insegnarci sulle origini sociali della tolleranza e dell'amicizia".  Il celebre J.M. Masson, già autore di numerosi e famosi saggi sulla vita emotiva degli animali, ci narra un suo personale e ardito "esperimento": cosa può succedere se si allevano insieme e fin da piccolissimi alcuni animali "nemici per natura"? Le "naturali" ostilità possono venire appianate e sostituite da una pacifica (o quantomeno indifferente) convivenza, grazie all'abitudine quotidiana a "frequentare" le rispettive diversità? Gli istinti predatori possono venire "dominati" in nome di un riconoscimento reciproco come componenti di una stessa famiglia? E, se gli animali dovessero riuscire proprio in questo, perchè per noi esseri umani è così difficile evitare i pregiudizi, le ostilità, perfino le guerre e i genocidi? Queste le domande a cui questo interessante libro cerca di dare una risposta, partendo proprio dall'esperienza dell'autore nell'allevare insieme un gatto, un cane, due polli, due ratti e un coniglio.


Con stile personale e appassionante, Masson ci racconta di come ha scelto e individuato gli animali che avrebbero fatto parte della sua famiglia per questo "esperimento"... e, pagina dopo pagina, ci narra di come sia complesso, ma anche sorprendente e straordinario il processo che porta diversi animali a riconoscersi a vicenda come parte di una stessa famiglia, superando anche gli istinti primordiali. Uno dei tratti migliori di questo libro è l'obiettivo puntato su ratti e polli, animali di solito bistrattati e disprezzati, che qui dimostrano di avere una personalità e una capacità comunicativa eccezionali. Per non parlare dell'affetto che tutti manifestano verso gli uomini, considerati "i punti di riferimento" della loro piccola ma eterogenea comunità: che si tratti dei "soliti" cani e gatti, oppure degli inusuali ratti, conigli e polli, è all'uomo che tutti guardano come il loro benefattore, il loro capofamiglia, il loro protettore. E' qualcosa che fa riflettere: la fiducia che i nostri animali domestici ripongono in noi ci investe di una grande responsabilità. Ma ancora di più fa riflettere il fatto che gatti e ratti, cani e polli possano trattenere i propri istinti predatori e la propria aggressività nel momento in cui si riconoscono membri di una stessa famiglia. E l'umanità, da sempre attraversata da sanguinosi conflitti, scontri e prevaricazioni di ogni genere, quanta strada ha ancora da fare prima di riconoscersi come un'unica famiglia? Eppure, "contatto, familiarità, conoscenza ed educazione, sotto forma di esperienza diretta, possono racchiudere il segreto della coesistenza pacifica - anche per gli umani" (J.M. Masson, Nel regno dell'armonia, Tropea, p. 126).

martedì 15 ottobre 2013

Gregory Berns: i cani si emozionano come gli esseri umani

Di pochi giorni fa è la notizia che conferma ciò che ciascun padrone di un cane sperimenta ogni giorno: il più fedele amico dell'uomo prova emozioni al pari dell'essere umano. Il dott. Gregory Berns, neuroeconomista all'Università Emory negli Stati Uniti, ha appunto condotto una ricerca volta a scoprire se e quanto il cervello canino rispondesse agli stimoli in modo analogo al cervello umano. Il risultato ha confermato che i cani si emozionano allo stesso modo degli umani, in particolar modo dei bambini. Non si tratta di una ricerca basata sull'osservazione del comportamento dei quadrupedi, bensì sull'attivazione di specifiche zone neurali di fronte agli stimoli di vario tipo. Per le sue ricerche, il dott. Berns ha infatti sottoposto a risonanza magnetica alcuni cani, tra cui la sua trovatella Callie: di fronte a determinati input, nel cervello canino si attivano zone analoghe a quelle che si attivano nel cervello dell'essere umano, specialmente in quello dei bambini. I risultati del dott. Berns sono stati pubblicati recentemente in questo libro: How Dogs Love Us (Come i cani ci amano).

Spero sia tradotto presto anche in italiano!
Potete anche vedere il video che vi mostra il dott. Berns, la sua equipe e i cani alle prese con le ricerche: a scanso di equivoci, per mostrarvi anche come i cani siano stati trattati con amore e rispetto. Grazie a queste ricerche si è scoperto che, ad esempio, muovendo le mani in un modo che il cane associa a carezze e eventi piacevoli, si attiva una zona cerebrale chiamata "nucleo caudale", la stessa che si attiva negli uomini nel momento in cui proviamo gioia e piacere. Vi lascio i link per leggere l'articolo originale sul New York Times oppure questo approfondimento in italiano "Anche i cani sono persone?", che ho trovato ben dettagliato anche su come si è svolta la ricerca.
E per chiudere questo post, vi lascio un video azzeccatissimo, che gira da un pò sulla rete e ha già fatto "impazzire" tante persone... cagnolini che si addormentano, appunto, proprio come bambini grazie a una ninna-nanna:


I cuccioli sono sempre fonte di grande tenerezza, ma in questo caso è impareggiabile vedere questi cagnolini addormentarsi solo grazie a una ninna-nanna... E' l'ennesima ed ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che tra esseri umani ed animali c'è un confine molto più labile di quanto spesso ammettiamo.