Lui è un professore di psichiatria in pensione, lei una giovane gatta abbandonata o forse fuggita da chissà dove. Lui è calmo, riflessivo e un pò restio a lasciarsi andare a smancerie e coccole... e anche lei. Lui è determinato a difendere la sua indipendenza e libertà da ogni vincolo superfluo... e anche lei! E così "Il vecchio e il gatto" è la storia di come lui e lei diventino alla fine un'unica famiglia, dove c'è spazio per la sicurezza affettuosa come per la libertà e le proprie abitudini irrinunciabili. Nils Uddenberg scrive questo libro con chiaro intento autobiografico, raccontandoci di come una gattina trovatella, Micia - che con ostinazione ha scelto proprio la sua casa come luogo "eletto" dove trasferirsi - sia riuscita in breve tempo a fare breccia nelle consuetudini, nelle convinzioni e nel cuore del professore e di sua moglie, inizialmente incalliti assertori di una famiglia "senza animali", per poi riscoprirsi gattofili convinti.
La trama in sè è quella che tutti noi possiamo immaginare: dai primi approcci della micia trovatella che, con tenacia e grande dignità, cerca di entrare a far parte della comunità domestica del professore, fino a diventarne l'anima più speciale. Non banali sono invece le domande che Nils Uddenberg si pone sul gatto e la sua psiche: "Lei chi è? Le piaccio? Adesso cosa pensa? Perchè si comporta così? Domande a cui l'autore (...) risponde facendo appello alla letteratura, alla filosofia, all'etologia" (dal retrocopertina). A mio parere il pregio e contemporaneamente il difetto maggiore di questo libro è l'occhio clinico dell'autore, che rifiuta categoricamente di "antropomorfizzare" la sua gatta e non concede troppo spazio alla possibilità che effettivamente Micia provi sentimenti consapevoli, o sia in grado di pensieri complessi. Infatti l'autore, pure se "innamorato" della sua Micia, sembra comunque asserire che la loro affettuosa convivenza sia frutto di una sorta di "equivoco": uomo e gatto in realtà non possono capirsi davvero, ma hanno trovato un modo incredibilmente felice per beneficiare della reciproca "incomprensione". E così uomo e gatto si scambiano fusa, parole e coccole, condividono leccornie e pisolini sul divano, restando però due universi irrimediabilmente separati. Certamente è un punto di vista personale, eventualmente dovuto anche a una certa "deformazione professionale" di Uddenberg. In ogni caso, a fronte di una vasta (e ormai ripetitiva) letteratura dove il gatto è un protagonista fin troppo antropomorfizzato, "Il vecchio e il gatto" si discosta da questo filone per riscoprire la "gattità" del felino, piccola tigre domestica che conserva abitudini, vocazioni e istinti selvatici, anche quando perfettamente inserito in un'amorevole famiglia.
Trovo questa recensione di una bellezza inaspettata! Ho sempre adorato il modo chiaro e lineare con cui ci hai sempre proposto con semplicità le letture, ma con questa hai fatto breccia nel mio (fino a poco tempo fa sopito) animo letterario. E la coerenza e linearità delle belle persone hanno sempre avuto un certo ascendente su di me! Trovo che la tua analisi del personaggio sia contestualizzata e fondamentalmente giusta e mi invoglia alla lettura, ancor di più perché il punto di vista (seppur in questo caso non concorde al mio) di un medico della mente è per me sempre stato un curioso campo da sondare.
RispondiEliminasebbene io non sia una miciofila, hai recensito con tale pathos, dal portarmi a volerlo leggere!
RispondiEliminaRoby e Patalice, vi dirò che io stessa mi sono "stupita" del trasporto con cui ho scritto questa recensione! A volte, quando un libro ci lascia con un pò di perplessità o di sentimenti contrastanti (come in questo caso), probabilmente ci lascia anche qualcosa su cui riflettere e da ricordare più di altri... ;-) Grazie di cuore comunque per i vostri commenti e complimenti!! Un abbraccione
RispondiEliminaQuando mi sentirò credo che questo libro mi piacerà leggerlo perché lo hai reso così intetessante, inoltre il rapporto uomo-animale è l'unico vero puro che resta in questo mondo corrotto artefatto e dettato da valori solo di immagine. Grazie. Un abbraccio da me e....avrei voluto scrivere da Otto.
RispondiEliminaE' sicuramente interessante osservare il rapporto uomo gatto anche da un punto di vista scientifico, siamo talmente abituati a considerare i nostri gatti parte della famiglia che fatichiamo a rapportarci a loro in modo diverso.. mentre scrivo mimì è steso accanto a me e mi osserva, a volte mi sembra così umano..
RispondiEliminaUna bella lettura. Ciao e buona settimana.
RispondiEliminaMi piace questo modo di vedere la cosa: in effetti noi e i nostri gatti comunichiamo attraverso quella serie di piccoli rituali che ci costruiamo giorno per giorno, troviamo delle brecce nella loro riservatezza in cui entrare a passi felpati rispettando i loro tempi e la loro indole, col rispetto di due creature che si apprezzano reciprocamente ma che sanno dove finisce la libertà che possono prendersi l'uno con l'altro. Poi ci sono gatti veramente spudorati che ti chiedi se non siano cani o persone, ma la maggior parte delle volte ho notato che considerare il gatto come un umano è un errore...e anche loro col cavolo che ci considerano gatti!
RispondiEliminaCapiti a pennello perché sto preparando un post "gattesco" in cui parlo anche di questo :). Leggerti è sempre un piacere!
@ Silvia: grazie Silvia per essere passata, so che è un momento davvero difficile per te… ti sono vicina. Un abbraccione!
RispondiElimina@ Lolle: hai ragione, sono così umani i nostri animali domestici che siamo abituati a considerarli davvero come tali… credo che la verità stia nel mezzo: magari non saranno umani, ma pensare anche che vi sia un’insuperabile differenza e distanza tra noi e loro per me è improponibile, con tutte le dimostrazioni di affetto, intelligenza e sensibilità che ci danno quotidianamente.
@ Robby: grazie! Buona settimana a te!
@ Nata di Marzo: che bel commento che mi hai lasciato! Credo proprio che i nostri gatti non ci considerino in effetti “gatti troppo cresciuti”, sono certa che avvertono la differenza, ma sono anche convinta che questo a loro importi ben poco “cosa” siamo. E forse sta proprio in questo il valore così prezioso della loro fiducia e del loro affetto. Mi è capitato di difendere Paciocca dalle incursioni di un gatto randagio, anni fa: in quei momenti, anche se non ero della sua stessa specie, eravamo noi (io e la mia gatta) una famiglia, una squadra, mentre il gatto invasore era l’estraneo da respingere. Sono molto curiosa allora di leggere il tuo post gattesco ;-)