mercoledì 27 gennaio 2016

"Un gatto non è un cuscino" di Nöstlinger Christine

Un libro pieno di pregi e di difetti, in egual misura: tante le cose che mi sono piaciute di questa lettura, quante quelle che proprio non mi hanno convinta. "Un gatto non è un cuscino" è l'originale titolo di questa storia per bambini di Nöstlinger Christine, autrice per l'infanzia piuttosto famosa e vincitrice anche del prestigioso premio Hans Christian Andersen. La storia che qui racconta riguarda un miciotto bianco e nero, che nasce in una stalla, ultimo e più magrolino di una cucciolata di mici bianchi e neri. Il nome del gatto? Ne avrà alcuni: Miciomicio, Samuele, Muccibù e Cicciobomba, a seconda delle famiglie dove si ritroverà a vivere, tra diverse disavventure... per poi concludere, alla fine della storia, che preferisce non avere alcun nome, per essere un gatto libero.
Intendiamoci: la storia è narrata ottimamente, l'autrice sa il fatto suo. Ed è anche fortemente educativo per un bambino leggere le vicende di questo micione bianco e nero: prima come Samuele, adottato da una famiglia incapace di educare i figli al rispetto di un gatto; poi come Muccibù, affidato ad un'anziana e buona signora del tutto inconsapevole di come si alimenta un micio (non a cioccolata e budino!); infine come Cicciobomba, accolto nella mansarda di una giovane coppia che si deciderà a portarlo dal veterinario per sterilizzarlo... e qui finisce la vita domestica del nostro protagonista a quattro zampe, perchè dallo studio veterinario fuggirà per darsi alla macchia, diventando un randagio complessivamente soddisfatto della propria vita.


Punto di forza è indubbiamente il descrivere il gatto in maniera simpatica, adatta ai bambini ed al contempo estremamente puntuale per quanto riguarda le esigenze naturali di un felino domestico: cacciare, marcare il territorio, non essere strapazzato come un cuscino o un giocattolo, scavare per fare i propri bisogni, esplorare, arrampicarsi. E questa è una bella lezione per tutti i giovanissimi lettori, che comprendono così le specificità del gatto, il suo temperamento, il suo bisogno di indipendenza e il suo essere certamente meno "addestrabile" rispetto al fedelissimo cane.
Meno credibile è che le tutte famiglie nelle quali il gatto vive siano inadeguate, per un verso o per un altro, come se tutti gli esseri umani fossero incapaci di rispettare la natura felina: non è sempre così! Per quanto ahimè le situazioni descritte siano dei cliché direttamente tratti dalla vita quotidiana (famiglie frenetiche dove il gatto viene preso come fosse un pupazzo per bambini; vecchine che ingozzano il micio come fosse un'oca da ingrasso, ecc.), ad esempio non mi convince che anche l'ultima famiglia - peraltro dimostratasi responsabile nel portare a far sterilizzare il gatto, un messaggio che dovrebbe passare come importante! - complessivamente venga "bocciata" e abbandonata dal gatto. 
Ma ancor meno convince la fine del libro, quasi un "inno al randagismo": "Piuttosto che tornare a essere un 'Miciomicio',un 'Samuele', un 'Muccibù' o un 'Cicciobomba', preferisco rimanere un gatto affamato, raffreddato, sudicio, pieno di pulci e senza nome. Un gatto libero!" (C. Nöstlinger, Un gatto non è un cuscino, p. 79).
Ecco: la morale proprio non mi piace e trovo che sia fortemente diseducativa per i bambini che leggeranno questa storia. Giustissimo il sottolineare che "un gatto non è un cuscino", ma trovo sbagliato chiudere questa storia lasciando il nostro protagonista felicemente in strada, tra l'altro consapevole del rischio di lasciarci le penne ("Probabilmente non arriverò alla vecchiaia, come i gatti casalinghi coi loro bravi nomi. Ma non è detto che invecchiare sia sempre questa gran fortuna.", p. 78). 
D'accordo l'indipendenza, d'accordo l'amore per l'esplorazione e la caccia, ma il gatto resta pur sempre un animale domestico e promuovere la convinzione che invece possa cavarsela anche da solo in strada e che non soffra eccessivamente per una condizione randagia, per quanto mi riguarda è un'evidente pecca di questo libro. C'è solo da augurarsi che i bambini traggano solo il meglio da questa storia, imparando a rapportarsi con il loro micio nel rispetto della sua natura.

5 commenti:

  1. Ciao Silvia! L'idea che il gatto stia "meglio" libero in strada secondo me è un pregiudizio fortemente radicato...c'è gente che li abbandona senza farsi il minimo scrupolo perchè pensa che "tanto i gatti si arrangiano"...ma sappiamo benissimo che non è così e che sopravvivono malissimo e non a lungo...Però pensavo che all'estero e soprattutto al nord fossero più civili...ma evidentemente non è così..

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  2. Forse l'autrice nel finale ha perso il giusto equilibrio. D'altra parte i gatti nel corso dei secoli non hanno avuto una convivenza troppo facile con l'animale umano!

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  3. Io invece leggo tutto come una metafora: meglio la libertà anche difficile piuttosto della vita stabilita da altri, che hanno pure la presunzione di cambiarci nome!
    Emanuela

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  4. In effetti oggi la liertà per un micio non è certo vivere in un amiente adeguato alla sua felinità, ma tra automobili, traffico, zero possibilità di cacciare se non topolini e insetti, uomini non così inclini ad una carezza! Insomma se è vero che questa autrice cerca la libertà per il suo protagonista, per renderla una storia a "lieto fine" per i bambini avrebbe anche potuto contestualizzare la libertà del micio in un ambiente adatto a renderla appunto felice e non così pericolosa come spesso e volentieri è!
    Silvia come al solito un plauso all'oggettività con cui ti approcci ad alcune tematiche! Mi piacciono i complimenti, ma anche le critiche mosse all'autrice, perché puntuali e date con cognizione! :)

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  5. @ Carmen: hai ragionissima, purtroppo è un pregiudizio diffuso e radicato… e forse è proprio per questo che quando ho letto questo libro non sono riuscita a “chiudere un occhio” e a leggerla in maniera metaforica come suggerisce Emanuela (la cui interpretazione mi ha molto colpita!). Purtroppo sono “ipersensibilizzata” agli abbandoni dei gatti sul territorio “perchè tanto se la cavano” o addirittura di gatti trascurati e tenuti in stato semirandagio, credendo che quella sia la loro natura. Dobbiamo deciderci: o il gatto è selvatico e allora sì che sa arrangiarsi cacciando da solo, stando all’erta nel suo territorio (e anzi, se confinato soffrirebbe), oppure è domestico, ma allora va trattato con le cure e i riguardi che merita.

    @ Andrea: guarda, forse l’autrice più che altro voleva essere “scherzosa”, portando fino in fondo l’ideale di un gatto estremamente indipendente e non adatto ad essere ridicolizzato come “cuscino da appartamento”. Ma sicuramente nel corso dei secoli il gatto e il suo ruolo nella nostra società è cambiato tanto… dalle stelle alle stalle, e ancora oggi si cerca la giusta via di mezzo, tra randagi che sopravvivono a stento e mici ipernutriti nei nostri salotti.

    @ Emanuela: non sai quanto piacere mi ha fatto leggere il tuo commento! Mi ha davvero aperto gli
    occhi, che tenevo ben serrati nella mia “ipersensibilizzazione”a chi sostiene che il gatto sta bene libero. Ma tu hai piena ragione, sulla morale metaforica di tutta la vicenda e in questo caso tutto prende un tono più leggero e condivisibile. Poi guarda, leggendo il libro sono però certa che una parte dell’intento dell’autrice sia descrivere proprio un gatto, in maniera realistica, al di là della morale “universalizzabile” di questo racconto. E in questa prospettiva il finale continua a non convincermi. Ma grazie davvero per la tua “lettura” illuminante! Questo è proprio il senso di avere un blog con lettori appassionati che condividono pensieri e opinioni!

    @ Roby: giustissima osservazione e finale alternativo PERFETTO! Roby, dovresti scriverlo tu un libro, sai? Non avevo pensato a come poter risolvere la storia in maniera da valorizzare lo spirito libero del gatto, senza scadere appunto in questo paradosso del “randagio libero ma in pericolo”. E tu l’hai suggerita subito! :-D Grazie mille, anche il tuo commento ha arricchito di parecchio le mie riflessioni in merito a questo libro e in generale alla vita che facciamo condurre ai gatti della nostra epoca, nel bene e nel male.

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